Archivio mensile:Marzo 2014

Il Decameron, un’opera che ha ancora qualcosa da dire

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1313. Sono passati 700 anni dal giorno in cui una delle personalità letterarie italiane più conosciute nel mondo venne alla luce. 700 anni di “splendore” per la sua opera più riuscita, il Decameron. 700 anni in cui il valore di quest’opera e la sua attualità non sono mai venuti a meno. Sì, attualità, perché anche dopo 700 anni il Decameron rimane un libro in cui sotto certi aspetti ci si può riconoscere: nell’amore tormentato e spesso rifiutato dalle famiglie, in quello a lieto fine, che si verifica anche ai giorni nostri, nella maturazione a cui si giunge dopo esperienze non del tutto positive.

Ma partiamo dall’inizio. Il Decameron è un libro di Giovanni Boccaccio scritto dal 1348 al 1353 in cui sono raccolte 100 novelle (101 contando quella delle papere). Ciò che rende questo libro innovativo è il fatto che non si tratti di una semplice raccolta di storie. Infatti nel libro si sviluppa anche una cornice in cui, per 10 giorni (da qui il nome Decameron), vengono narrate le vicende di un gruppo di giovani (7 ragazze, 3 ragazzi) rifugiatisi in una villa in campagna per sfuggire alla peste, i quali, per passare il tempo, decidono di raccontare a turno novelle. Ogni giornata si apre con l’elezione di un re o di una regina che sceglierà il tema attorno al quale raccontare la propria novella. Si individuano 3 grandi temi: la fortuna (il caso, la sorte), l’ingegno (unica arma con cui combattere la fortuna) e l’amore (un impulso naturale a cui è inutile cercare di resistere).

Ciò che può stupire è che Boccaccio dedichi il suo libro alle donne per confortarle dalle pene d’amore. Ma bisogna fare attenzione, questa dedica è solamente un espediente narrativo che, secondo molti studiosi, corrisponde a “Donne che avete intelletto d’amore” di Dante. Boccaccio non ha alcuna intenzione di dedicare la sua opera alle donne,anzi. Alcune fonti raccontano che Boccaccio, dato il Decameron a un suo amico, gli intimò di non farlo leggere alla moglie. Infatti le donne, nelle opere dello scrittore fiorentino (ad esempio nel “Corbaccio”) sono spesso caratterizzate da numerosi vizi e difetti. Ciò accade nella novella di Alatiel, in cui a causa della bellezza della principessa araba gli uomini che le stanno attorno vengono uccisi. O nel caso di Lisabetta da Messina, la quale, disobbedendo ai fratelli e quindi in un certo senso ribellandosi alla loro autorità, intreccia una relazione con Lorenzo, un bracciante, che porterà alla morte dei due amanti e alla fine delle attività commerciali dei fratelli a Messina in quanto la verità verrà consegnata a una canzone “Qual esso fu lo malo cristiano che mi furò la grasta et cetera-“. Boccacio dunque, con questi esempi, critica le donne che cercano di accrescere la propria bellezza e mette in guardia da quelle di bell’aspetto, le quali portano alla morte. Si tratta dunque di esempi di tradizione misogina di cui Boccaccio fa parte e che ancora oggi è molto diffusa.

Un altro tratto importante del Decameron è il realismo, una rappresentazione della realtà così com’è, con personaggi belli e brutti, onesti e malvagi, nobili e umili, in sintesi di tutti i ceti sociali. Un esempio di realismo è sicuramente la novella di Andreuccio da Perugia in cui “Andreuccio da Perugia, venuto da Napoli a comperar cavalli, in una notte da tre gravi accidenti soprapreso da tutti scampato con un rubino si torna a casa sua”. In questa novella inoltre è centrale la maturazione del protagonista il quale, da ragazzo ingenuo e privo di esperienza si trasforma in un uomo capace di non credere più alle “favole” e di comprendere gli inganni. La vicenda di Andreuccio inoltre può essere collegata a un rito di iniziazione. Sono presenti infatti tutti i passaggi necessari per trasformarsi da bambino a adulto: l’allontanamento notturno dalla comunità (la novella che si svolge di notte presenta uno stolto Andreuccio lontano per la prima volta da Perugia), le prove che spesso corrispondono a una reclusione in luoghi bui (la caduta nel chiassetto, nel pozzo e nella tomba), una liberazione e infine il ritorno a casa di un individuo più maturo.

Queste sono solo alcune delle caratteristiche che affascinano i lettori del Decameron, opera che sicuramente farà parlare di sé per altri 700 anni.

(tema di Veronica Pizzi classe 3 a.s.2013-14)

L’artista provoca: L.O.V.E. di Maurizio Cattelan

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L.O.V.E. di Cattelan

L.O.V.E. (Libertà Odio Vendetta Eternità) di Maurizio Cattelan Piazza Affari, Milano, 2010

Retro di L.O.V.E.

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Confronto: mano del David di Michelangelo e L.O.V.E. di Cattelan

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Maurizio Cattelan: All – Guggenheim Museum, 2011, N.Y.

Maurizio Cattelan  alla Biennale di Venezia 2013 Venetians by  Pawel Althamer

« Io, senza gli altri, non sono nessuno. Sono davvero vuoto. Anche questo discorso l’ho scritto insieme a un amico, rubando qualche frase qua e là. È dai tempi della scuola che vado avanti così: la mia maestra si arrabbiava perché non avevo neanche la furbizia di copiare dagli studenti più bravi. Come vedete, sono un pessimo modello. A volte credo persino che il mio lavoro incarni alcuni valori dei quali dovremmo essere imbarazzati. Ma l’arte è uno specchio: ci restituisce l’immagine di ciò che siamo, o di ciò che diventeremo. E gli specchi attraggono, anche quando sono poco lusinghieri. A guardarlo così, riflesso nello specchio dell’arte, il mondo non è che sembri un posto particolarmente accogliente. Nell’arte e nella realtà, a volte il mondo ci appare come se fosse temporaneamente nelle mani di un dio sbagliato, mentre quello vero se ne resta fuori dal gioco. Sono un pessimista forse, ma allo stesso tempo credo che nel mondo ci siano molte altre consolazioni da cui trarre beneficio: amore, cibo, musica, l’immensa varietà di lingue e di facce, e poi il brusio continuo delle immagini. » dalla lectio magistralis di Maurizio Cattelan in occasione del conferimento della Laurea honoris causa in Sociologia all’Università di Trento, il 30 marzo del 2004

I Principi di geologia di Charles Lyell e Darwin

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 "A Venerable Orang-outang", a caricature of Charles Darwin as an ape published in The Hornet, a satirical magazine, 1872

“A Venerable Orang-outang”, a caricature of Charles Darwin as an ape published in The Hornet, a satirical magazine, 1871

All’inizio dell’Ottocento vennero ritrovati dei fossili di animali enormi. (…)
l biologi non riuscivano a spiegarsi come avessero fatto quegli animali a finire a diversi metri di profondità, sotto numerosi strati di roccia. Una spiegazione possibile era che i dinosauri fossero annegati durante il diluvio universale di cui si parlava nella Bibbia, rimanendo poi sepolti sotto strati di fango e sabbia che nel corso del tempo si erano trasformati in roccia. Comunque, non potevano essersi estinti tantissimo tempo prima. Nel Seicento, infatti, un famoso
arcivescovo inglese aveva usato la Bibbia per calcolare la data della Creazione, e aveva dedotto che Dio aveva creato il mondo a mezzogiorno del lunedì 23 ottobre 4004 a.C. É evidente, dunque, che una data come questa implicava che i dinosauri non potevano avere avuto il tempo di vivere a
lungo sulla Terra e di estinguersi.
Nel 1830 l’inglese Charles Lyell pubblicò un libro intitolato Principles of Geology (Principi di geologia). Lyell era un geologo: studiava cioè la costituzione e la struttura della Terra e la sua evoluzione nel corso delle varie epoche. Lyell aveva studiato il paesaggio in molte parti d’Europa, osservando il modo cui si era trasformato con il passare del tempo: per esempio, come le valli fossero state scavate dai fiumi, e come fossero emerse le montagne.
Lyell era convinto che la maggior parte delle trasformazioni del paesaggio avvenisse in modo graduale e molto lento. Per esempio; potevano trascorrere migliaia di anni perché un fiume arrivasse a scavare una valle profonda, e un vulcano poteva impiegare decine di migliaia di anni a dare origine a una nuova cima eruttando la sua lava.
Probabilmente la Terra aveva milioni di anni, affermò Lyell. Dunque, era convinto che doveva esserci stato uno spazio di tempo lunghissimo prima del periodo di cui si parlava nella Bibbia. Lyell pensava che in questa «preistoria» fossero esistiti degli esseri viventi che si erano in seguito estinti. I fossili potevano essere i resti di quelle forme di vita. Il fatto che i fossili si trovassero frequentemente sotto spessi strati di roccia risultava molto più facile da spiegare se si avevano a disposizione milioni di anni.
Uno di coloro che lesse i Principi di geologia con grande interesse fu un giovane di nome Charles Darwin. Era figlio di un ricco medico, e aveva studiato sia medicina che teologia, senza diventare né prete né medico. Charles era considerato un fannullone che preferiva andare a caccla e legger libri. Il padre era preoccupato, e pensava che non avrebbe mai combinato nulla. Ma le sue passeggiate nei boschi e nei campi si rivelarono molto utili. Charles amava studiare la natura. In particolare gli interessavano gli insetti, che raccolse per anni mettendo insieme una grande collezione.
Un giorno del 1831 sentì dire che il capitano di un veliero in partenza per il giro del mondo aveva bisogno di un naturalista. Charles convinse suo padre a lasciarlo partire, e il 27 dicembre 1831 si ritrovò a bordo del brigantino Beagle, diretto in America del Sud.
Il primo scalo del lungo viaggio fu il Brasile. Darwin vide per la prima volta una foresta pluviale, e rimase estasiato alla vista di quella vegetazione variopinta e degli animali che vi abitavano. Cominciò subito a collezionare piante e animali, che venivano imballati in casse e inviati in Inghilterra. In Brasile trovò anche il cranio di un enorme bradipo, e capì che si trattava di un fossile.
Avendo letto i Principi di geologia, intuì che quel gigantesco bradipo poteva rappresentare una specie animale estintasi migliaia di anni prima. Non credeva che la causa dell’estìnzione potesse essere il diluvio universale, e ipotizzò che fosse piuttosto la mancanza di cibo o una glaciazione che aveva mutato le condizioni climatiche. Dopo aver navigato per diversi anni, il Beagle attraccò nel 1835 alle Galapagos, un piccolo arcipelago nel Pacifico, al largo dell’Equador.

In « Breve storia della scienza » di Eirik Newth, Salani Editore, 1998, pp.195-197

Sigmund Freud: l’Io non è padrone in casa propria.

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Francis Bacon, Study for a self-portrait, 1964

L’Io dunque “non è padrone in casa propria” perché è abitato da una dimensione inconscia che l’uomo ha sempre evitato di considerare, perché un inganno narcisistico gli ha fatto credere di essere al centro dell’universo, creatura di Dio, e padrone dell’orizzonte dispiegato dalla sua coscienza e dal suo procedere razionale.
Scrive in proposito Freud nell’Introduzione alla psicoanalisi (1915-­1917): «Nel corso dei tempi l’umanità ha dovuto sopportare due grandi mortificazioni che la scienza ha recato al suo ingenuo amore di sé. La prima quando apprese che la nostra terra non è al centro dell’unìverso bensì una minuscola particella di un sistema cosmico che, quanto a grandezza, è diffìcilmente immaginabile. Questa scoperta è associata per noi al nome di Copernico, benché la scienza alessandrina avesse già detto qualcosa di simile .
La seconda mortificazione si è verificata poi, quando la ricerca biologica annientò la pretesa posizione di privilegio dell’uomo nella creazione, gli dimostrò la sua provenienza dal regno animale e l’inestirpabilità della sua natura animale. Questo sovvertimento di valori è stato compiuto ai nostri giorni sotto l’influsso di Charles Darwin, di Wallace e dei suoi precursori, non senza la più violenta opposizione dei loro contemporanei.
Ma la terza e più scottante mortificazione, la megalomania dell’uomo è destinata a subirla da parte dell’odierna indagine psicologica, la quale ha l’intenzione di dimostrare all’Io che non solo egli non è padrone in casa propria, ma deve fare assegnamento su scarse notizie riguardo a quello che avviene inconsciamente nella sua psiche. Anche questo richiamo a guardarsi dentro non siamo stati noi psicoanalisti né i primi né i soli a proporlo, ma sembra che tocchi a noi sostenerlo nel modo più energico e corroborarlo con un materiale empirico che tocca da vicino tutti quanti gli uomini»
in Umberto Galimberti racconta “Freud, Jung e la psicoanalisi”, La Biblioteca di Repubblica, 10 Capire la filosofia. La filosofia raccontata dai filosofi, 2011, pp.12-13