Archivio mensile:Aprile 2015

Video: Emilia Galotti cortometraggio regia di Alessandro Berdini, sceneggiatura di Paolo Fallai

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Emilia Galotti è un corto di 30 minuti liberamente ispirato a “Emilia Galotti” di G.E Lessing, scritto da  Paolo Fallai ediretto da Alessandro Berdini. Il corto è stato presentato alle Giornate degli autori della Festa del cinema di Venezia. Interpretato tra gli altri da Elettra Mallaby, Alberto Di Stasio, Luigi Di Fiore, Paola Rinaldi, Daniele Griggio. Nel 2009 ha vinto come “best short film” al “New York Short Film Festival”, il premio per la migliore regia al Mar del Plata Short Film Festival, è stato premiato al Raindance Film Festival di Londra. Nel 2010 è andata in scena al teatro India di Roma   la versione teatrale  del testo.

L’Emilia Galotti di Lessing La tragedia del potere di Marino Freschi (professore ordinario di letteratura tedesca all’Università di Roma Tre, dal 2015 Cavaliere al merito della Repubblica di Germania)
Le grandi opere della letteratura universale hanno questo in comune: continuano a parlare nei secoli, a essere lette, rappresentate, interpretate, amate, contraddette o perfino odiate. Continuano a fungere da specchio, trasparente o deforme, del suo tempo, ma anche del tempo del lettore, dello spettatore, dell’interprete. E ciò è più che mai vero per la tragedia Emilia Galotti di Lessing. Lessing è stato il più audace uomo del Settecento tedesco, intellettuale, poligrafo, animo audace e indomito, ha tentato per tutta la vita di essere uno spirito libero, anticonformista. Ha condiviso tutti gli interessi intellettuali della cultura del suo tempo. Si è confrontato, lui, figlio di un povero pastore luterano, con la critica teologica, segnando nettamente il confine tra libero pensiero, libera investigazione e accettazione del dogma, asservimento a qualsiasi autorità temporale o confessionale. Ma la sua peculiarità consiste che non ha mai seguito le mode, nemmeno quella vincente nella seconda metà del Settecento: l’illuminismo. Lessing vive la sua militanza illuministica come ricerca costante dell’autentico al di là degli idoli e delle icone del suo tempo. E ciò che costituisce la sua cifra più segreta, più singolare e irripetibile è proprio questa curiositas per l’altro, per il diverso, questa capacità di immedesimarsi nelle ragioni dell’avversario. Così conferma la sua tragedia più famosa, l’Emilia Galotti. Il tema sembra scontato per la sua epoca: il principe di uno staterello (collocato in Italia per sfuggire all’inesorabile censura del suo Duca) si invaghisce di una fanciulla, promessa sposa a un Conte, veramente nobile di nome e di fatto. Mal consigliato e in preda al suo desiderio che non conosce limiti e non rispetta i sentimenti dei sudditi, il Principe fa uccidere il Conte, rapisce Emilia, che resiste e muore in una circostanza confusa e tragica: si getta sul pugnale in mano al padre, lasciando il dubbio se si tratti di omicidio o suicidio. Questa alea di ambiguità è la vera novità della tragedia lessinghiana, che affiora potentemente nel celebre monologo di Emilia della penultima scena: « Violenza! Violenza! Chi può opporsi alla violenza?Ciò che si chiama violenza è nulla: seduzione è la vera violenza!…Io ho sangue nelle vene, padre mio, sangue giovane e caldo come ogni altra donna ». Sì, Emilia ha sangue giovane e caldo come ogni altra donna giovane, ma è la prima donna che lo proclama apertamente, creando un disorientamento, uno sconcerto nel pubblico dell’epoca, abituato ad applaudire le giovani attrici che sulla scena s’immolavano per la virtù immacolata, che veniva dimenticata subito dopo lo spettacolo di fronte alle insistenze galanti degli aristocratici spettatori. Quell’invocazione alla propria totalità etica ed erotica è ciò che ancora ci intriga; è ciò che permise a Goethe di ritenere Emilia innamorata del principe o almeno profondamente, definitivamente turbata da lui. Anzi, Goethe, una volta ministro a Weimar e poeta dell’ ancien régime, insiste su questa interpretazione che in un certo senso scagiona il principe, trasformando l’Emilia settecentesca in un’anticipazione nobile delle attuali escorts. Ma forse non è poi tutto così chiaro. Perché Werther nell’ora del suicidio legge l’Emilia Galotti? Proprio per trovare un conforto nell’eticità assoluta della fanciulla martire umanissima. In Germania il dramma continua a venire rappresentato e stupisce che in Italia abbiamo dovuto attendere 238 anni per vederlo sulle nostre scene grazie al coraggio e all’intuito di Alessandro Berdini. Oggi il teatro tedesco si confronta ancora con il dramma, trasformando, come è avvenuto recentemente a Berlino, la tragedia di Emilia in una commedia, dando così ragione a Dürrenmatt quando affermava che il nostro non è più tempo di tragedie, ma al massimo di tragicommedie. A vedersi attorno, sorgono però dei fondati dubbi e la discussione resta più che mai viva, dimostrando la vitalità di Lessing e di Emilia. E l’Italia è ormai pronta per confrontarsi con questa intramontabile tragedia. L’Emilia Galotti di Lessing La tragedia del potere Le grandi opere della letteratura universale hanno questo in comune: continuano a parlare nei secoli, a essere lette, rappresentate, interpretate, amate, contraddette o perfino odiate. Continuano a fungere da specchio, trasparente o deforme, del suo tempo, ma anche del tempo del lettore, dello spettatore, dell’interprete. E ciò è più che mai vero per la tragedia Emilia Galotti di Lessing. Lessing è stato il più audace uomo del Settecento tedesco, intellettuale, poligrafo, animo audace e indomito, ha tentato per tutta la vita di essere uno spirito libero, anticonformista. Ha condiviso tutti gli interessi intellettuali della cultura del suo tempo. Si è confrontato, lui, figlio di un povero pastore luterano, con la critica teologica, segnando nettamente il confine tra libero pensiero, libera investigazione e accettazione del dogma, asservimento a qualsiasi autorità temporale o confessionale. Ma la sua peculiarità consiste che non ha mai seguito le mode, nemmeno quella vincente nella seconda metà del Settecento: l’illuminismo. Lessing vive la sua militanza illuministica come ricerca costante dell’autentico al di là degli idoli e delle icone del suo tempo. E ciò che costituisce la sua cifra più segreta, più singolare e irripetibile è proprio questa curiositas per l’altro, per il diverso, questa capacità di immedesimarsi nelle ragioni dell’avversario. Così conferma la sua tragedia più famosa, l’Emilia Galotti. Il tema sembra scontato per la sua epoca: il principe di uno staterello (collocato in Italia per sfuggire all’inesorabile censura del suo Duca) si invaghisce di una fanciulla, promessa sposa a un Conte, veramente nobile di nome e di fatto. Mal consigliato e in preda al suo desiderio che non conosce limiti e non rispetta i sentimenti dei sudditi, il Principe fa uccidere il Conte, rapisce Emilia, che resiste e muore in una circostanza confusa e tragica: si getta sul pugnale in mano al padre, lasciando il dubbio se si tratti di omicidio o suicidio. Questa alea di ambiguità è la vera novità della tragedia lessinghiana, che affiora potentemente nel celebre monologo di Emilia della penultima scena: « Violenza! Violenza! Chi può opporsi alla violenza?Ciò che si chiama violenza è nulla: seduzione è la vera violenza!…Io ho sangue nelle vene, padre mio, sangue giovane e caldo come ogni altra donna ». Sì, Emilia ha sangue giovane e caldo come ogni altra donna giovane, ma è la prima donna che lo proclama apertamente, creando un disorientamento, uno sconcerto nel pubblico dell’epoca, abituato ad applaudire le giovani attrici che sulla scena s’immolavano per la virtù immacolata, che veniva dimenticata subito dopo lo spettacolo di fronte alle insistenze galanti degli aristocratici spettatori. Quell’invocazione alla propria totalità etica ed erotica è ciò che ancora ci intriga; è ciò che permise a Goethe di ritenere Emilia innamorata del principe o almeno profondamente, definitivamente turbata da lui. Anzi, Goethe, una volta ministro a Weimar e poeta dell’ ancien régime, insiste su questa interpretazione che in un certo senso scagiona il principe, trasformando l’Emilia settecentesca in un’anticipazione nobile delle attuali escorts. Ma forse non è poi tutto così chiaro. Perché Werther nell’ora del suicidio legge l’Emilia Galotti? Proprio per trovare un conforto nell’eticità assoluta della fanciulla martire umanissima. In Germania il dramma continua a venire rappresentato e stupisce che in Italia abbiamo dovuto attendere 238 anni per vederlo sulle nostre scene grazie al coraggio e all’intuito di Alessandro Berdini. Oggi il teatro tedesco si confronta ancora con il dramma, trasformando, come è avvenuto recentemente a Berlino, la tragedia di Emilia in una commedia, dando così ragione a Dürrenmatt quando affermava che il nostro non è più tempo di tragedie, ma al massimo di tragicommedie. A vedersi attorno, sorgono però dei fondati dubbi e la discussione resta più che mai viva, dimostrando la vitalità di Lessing e di Emilia. E l’Italia è ormai pronta per confrontarsi con questa intramontabile tragedia. (Marino Freschi)