Archivio mensile:Marzo 2017

Il Decameron di Pasolini e quello di Boccaccio: osservazioni e confronti

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La novella di Andreuccio inizia con quello che è chiamato raccordo sullo sguardo, in inglese eye shot, si tratta di una sequenza di due immagini, nella prima viene presentato un personaggio che osserva, nella seconda quello che il personaggio osserva, è l’equivalente della focalizzazione interna della narrazione scritta.

Nella novella di Andreuccio di Pasolini ci sono alcune differenze con la versione originale di Boccaccio. Pasolini muta il rapporto tra fabula e intreccio, per esempio anticipa il racconto dell’inganno ordito dalla giovane siciliana ai danni di Andreuccio ed elimina uno degli episodi della sua avventura napoletana .

Il realismo di Boccaccio utilizza uno stile medio, che unisce il realistico a una elegante forma linguistica, anche quando descrive la realtà più bassa, volgare, popolare utilizza sempre uno stile elegante, raffinato.
Pasolini invece non ingentilisce la realtà, la rappresenta senza mutarla.
Pasolini usa il napoletano nel suo Decameron perché è la lingua del popolo. “Ho scelto Napoli”, dirà Pasolini, “perché è una sacca storica: i napoletani hanno deciso di restare quello che erano e, così, di lasciarsi morire”. Napoli e i napoletani sono il simbolo della resistenza a quella trasformazione causata dal capitalismo industriale che Pasolini riteneva disastrosa per l’uomo e il mondo. La scena finale di Andreuccio che esce dalla chiesa danzando è inventata da Pasolini e aggiunge una nota di gioia alla vittoria finale del giovane.

 

 

La novella di Lisabetta ha inizio con quello che è chiamato il trattamento oggettivo della scena (objective treatment of a scene); allo spettatore viene presentato ciò che sta di fronte alla camera nella narrazione della storia. Lo spettatore non vede la scena attraverso il punto di vista di un personaggio; è l’equivalente del narratore esterno della narrazione scritta.

Pasolini dedica la lunga scena iniziale a uno degli incontri notturni di Lisabetta e Lorenzo, nella novella di Boccaccio non c’è traccia di questi incontri che sono appena accennati in un breve passaggio “e sì andò la bisogna che, piacendo l’uno all’altro igualmente, non passò gran tempo che, assicuratisi, fecero di quello che più disiderava ciascuno.” Nella lunga scena iniziale Pasolini prefigura la fine della novella e crea un racconto a struttura circolare. Subito dopo l’inquadratura della finestra Lisabetta bacia Lorenzo sdraiato a torso nudo sul letto, il giovane è immobile e appare come morto, l’ultima inquadratura è quella di Lisabetta con le braccia tese verso il vaso di basilico sulla finestra.

Pasolini modifica il racconto di Boccaccio mostrando la reazione violenta di uno dei fratelli di Lisabetta. Il realismo di Pasolini è molto più crudo di quello di Boccaccio, non esclude, non nasconde nulla, neanche ciò che può disturbare, infastidire il lettore o spettatore.

Elio Germano: La Ginestra di Leopardi un inno alla fragilità

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Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell’alma generoso ed alto
Non chiama sé né stima
Ricco d’or né gagliardo, 90
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma 95
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene, 100
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest’orbe, promettendo in terra 105
A popoli che un’onda
Di mar commosso, un fiato
D’aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza. 110
Nobil natura è quella
Che a sollevar s’ardisce
Gli occhi mortali incontra,
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo, 115
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire
Fraterne, ancor più gravi 120
D’ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l’uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che de’ mortali
Madre è di parto e di voler matrigna. 125
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L’umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima 130
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune.

Parafrasi

Un uomo povero e malato
ma di animo generoso e nobile
non si chiama né si ritiene ricco e forte
e non  mostra di avere
una vita splendida o  di essere forte
suscitando il riso tra la gente,
ma si mostra bisognoso di forza
e di ricchezza senza vergognarsi
e parlando riconosce apertamente
il suo stato e lo ammette per quello che è.
Io non credo che sia un uomo di animo
grande, ma che sia invece uno stolto
chi, nato per morire, cresciuto in pene
dice “sono fatto per godere”
e nei suoi scritti pieni di fetido orgoglio
promette agli uomini un grande futuro e
straordinarie felicità, assolutamente
sconosciute in cielo e in terra,
a uomini che invece, un’onda di mare,
un fiato di vento maligno, un crollo
sotterraneo distrugge così che
a mala pena ne rimane il ricordo.
L’uomo forte è quello che ha il coraggio
di guardare in faccia la realtà comune a tutti
e di riconoscere, con sincerità,
senza togliere nulla alla verità
la condizione dolorosa e misera e fragile
che ci è stata assegnata
Quello che sa sopportare
con forza e dignità i dolori e la miseria
e non aggiunge alle sue sofferenze
l’odio e l’ira contro gli altri uomini
incolpandoli del suo male,
ma dà la colpa a quella che è
la vera colpevole, la natura,
che li genera come una madre,
ma li tratta come una matrigna.
Questa è la nemica,
e ritenendo, come effettivamente è, che l’umanità,
è stata  disposta contro di lei,
ritiene tutti gli uomini alleati tra di loro,
si sente unita a tutti da vero amore,
e offre aiuto immediato e valido
e lo aspetta in cambio dagli altri
nei pericoli e nelle angosce
della comune guerra.