Form per il ripasso e consolidamento dello studio di Leopardi (preparazione alla verifica scritta del 16 dicembre 2015)

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Prima parte: Domande a risposta breve : Rispondi con risposte brevi e precise riprese anche letteralmente dai post, lo scopo del compito è di memorizzare le informazioni essenziali

Vita di Giacomo Leopardi
Recanati 1798-1819
1. Nascita e morte di L.
2. Quali sono i sette anni di studio matto e disperatissimo (rispondere con l’indicazione del periodo cronologico), cosa succede al giovane L. in questo periodo
3. Di quale anno sono le due canzoni All’Italia e Sopra il monumento di Dante
4. Come si intitola la canzone che ha come protagonista un’antica poetessa greca
5. Perché nel luglio del 1819 L. cerca di fuggire da Recanati
6. Titoli dei cinque idilli scritti tra il 1819 e il 1821
Roma
7. Periodo del soggiorno a Roma ospite dello zio Carlo Antici
Recanati
8. Qual è l’ultimo testo poetico scritto da L. prima del cosiddetto silenzio poetico, quando viene scritto
9. Quando sono scritte le prime venti operette morali
1825-1828
10. In quali città vive e lavora L. nel periodo 1825-1828 (indicare le città in ordine e per chi lavora, le opere pubblicate)
11. Quando e dove scrive “A Silvia”
Recanati
12. Periodo dei “sedici mesi di notte orribile”
13. Titoli e periodo dei principali canti pisano recanatesi o Grandi Idilli
Firenze
14. Estremi cronologici ultimo periodo trascorso a Firenze
15. Data e dedica prima edizione dei Canti
16. Lettera al De Sinner come si difende dall’accusa di essere pessimista perché malato
17. Titoli delle poesie dedicate a Fanny Targioni Tozzetti
18. Titolo e anno delle ultime due operette morali

Napoli

19. Estremi cronologici periodo napoletano
20. Titolo delle ultime poesie scritte nel 1836

Natura e ragione (pessimismo storico e cosmico), materialismo e teoria del piacere, illusioni, Operette Morali
1. Arco di tempo di scrittura dello Zibaldone e significato del termine
2. Nel pessimismo storico com’è la natura, come la ragione, a quale pensatore francese fa riferimento questa visione (usare i termini leopardiani) (non c’è nei post bisogna fare riferimento ad appunti lezione)
3. Come cambiano i due termini nel pessimismo cosmico (non c’è nei post bisogna fare riferimento ad appunti lezione) (usare i termini leopardiani)
4. Che cos’è la natura per Leopardi (rispondere con Dialogo della Natura e di un islandese)
5. Questa definizione presuppone una concezione materialistica della natura (rispondere sì no e perché)
6. Perché il dolore è implicito nel materialismo leopardiano ( rispondere con Dialogo della Natura e di un islandese)
7. Qual è l’ultima domanda che l’islandese pone alla Natura, che cosa si afferma indirettamente con questa domanda e la non risposta a questa domanda con cui si conclude l’operetta ( rispondere con Dialogo della Natura e di un islandese)
8. Di che cosa è conseguenza il desiderio di piacere infinito dell’uomo
9. Perché non può mai essere soddisfatto
10. Che cosa significa “l’esistente è per l’esistenza”
11. In che cosa consiste la “contraddizione evidente e innegabile nell’ordine delle cose”
12. Che cosa crede sempre il genere umano, che cosa non crederà mai (rispondere con Dialogo di Tristano e un amico in Le illusioni)
13. Qual è “il più solido piacere di questa vita” secondo L.
14. Quali sono gli aspetti positivi della vita secondo L. (rispondere con le Operette morali, si possono individuare tre operette in cui si parla di aspetti positivi della vita degli uomini)
15. Che cosa sono gli inganni dell’intelletto, quali sono
16. Data e luogo della prima edizione delle Operette morali
17. Spiegazione del titolo dell’opera
18. In che cosa consiste l’agonismo dell’ultimo Leopardi (rispondere con Dialogo di Tristano e/o La ginestra)
19. Perché gli antichi sono come i fanciulli (non c’è nei post bisogna fare riferimento ad appunti lezione)

Canti, poesia d’immaginazione e poesia sentimentale, poetica dell’indefinito e del vago.
1. Sezioni in cui si possono dividere i quarantuno componimenti dei Canti e tipo di ordine che segue la raccolta.
2. Indica il periodo di composizione e i principali titoli delle seguenti cinque sezioni principali dei Canti: canzoni, idilli, canti pisano-recanatesi, ciclo di Aspasia, periodo napoletano
3. Quale posizione prende L. nella polemica tra classicisti e romantici del 1816
4. Come si intitola il testo inviata alla Biblioteca italiana in cui espone la sua opinione
5. Che cosa significa per L. che la poesia “deve illudere”
6. Quando la sua poesia diviene “sentimentale”
7. Che cosa canta la poesia sentimentale (non c’è nei post bisogna fare riferimento ad appunti lezione)
8. Tra quelle lette quale/i poesia /e può/possono essere presa/e come esempio di poesia sentimentale
9. Quali sono i principi della poetica dell’indefinito e del vago. (risposta di rielaborazione: utilizzare il punto: La poetica dell’indefinito e del vago: il piacere delle parole, immagini e sensazioni indefinite).
10. In che modo la poesia dà piacere. (elencare i quattro punti successivi al paragrafo indicato prima)

Testi
Dialogo di un folletto e di uno gnomo
1. Quale inganno dell’intelletto viene messo in ridicolo nel Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo
2. Come risponde il Folletto allo Gnomo che si preoccupa che non si stamperanno più lunari (riportare la frase parafrasandola)
3. Per chi il folletto e lo gnomo sono convinti che sia fatto il mondo
4. Gli uomini di che cosa erano persuasi prima di scomparire dalla terra
5. Che succede nel mondo dopo la scomparsa dell’uomo

Dialogo della Natura e di un islandese
1. Che cosa dice la Natura a proposito dell’estinzione dell’intero genere umano
2. Che cosa rimprovera l’islandese alla natura, quale metafora usa per esprimere il suo rimprovero
3. Qual è la risposta della Natura
4. Quali sono i due finali dell’operetta
5. Qual è il loro significato

Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere
1. Che cosa afferma nell’ultima battuta del dialogo il passeggere a proposito della vita, qual è la vita “ch’è una cosa bella”?

Secondo parte: analisi del testo letterario: studia i testi (Canti di Leopardi) e i commenti, ti serviranno per rispondere alle domande dell’analisi del testo secondo la tipologia A dell’esame di stato. Ripassa “Leggere, comprendere, analizzare, interpretare”, le fotocopie sulle figure retoriche, le indicazioni per lo svolgimento dell’analisi del testo letterario.

L’infinito
Leopardi chiama i componimenti scritti tra il 1819 e il 1821 “idilli” e li definisce “situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo” , sono componimenti di carattere intimo, pagine di riflessioni e confessioni, diverse dalle canzoni di tono e contenuto elevato scritte quasi negli stessi anni. Negli Idilli il poeta parla in prima persona dei moti del proprio cuore.
L’Infinito, scritto tra la primavera e l’autunno del 1819, è il più famoso degli idilli. Nell’Infinito Leopardi realizza “un processo immaginativo e consolatorio sottoposto a un preciso controllo razionale” (H. Grosser, Il canone letterario, vol.4, p.301). Come afferma nello Zibaldone, trattando della teoria del piacere, l’infinito è creato dalla immaginazione “esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono. (…) E stante la detta proprietà di questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esistano e figurarseli infiniti. (…) il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova nella immaginazione” (Zibaldone pp.165-168, luglio 1821).
Nel componimento il poeta descrive l’attività immaginativa della sua mente “interminati spazi … sovrumani silenzi … io nel pensier mi fingo ”, ovvero io immagino; alla fine del componimento il poeta descrive la sensazione di piacere che deriva da questa esperienza dell’immaginazione: “Così tra quest’immensità s’annega il pensier mio e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Il naufragare nell’infinito è dolce perché soddisfa il desiderio di piacere infinito dell’uomo.
Il perdersi nell’infinito di Leopardi non è un’esperienza religiosa di abbandono a un oltre metafisico, ma un processo mentale di cui il poeta è perfettamente consapevole.

Da un punto di vista formale notiamo: la struttura circolare del testo, all’inizio: “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe”, alla fine: “Così tra quest’immensità …. m’è dolce in questo mare”, il “caro mi fu” riprende il “m’è dolce”, e i due aggettivi dimostrativi (deittici) dell’inizio questo e questa ritornano alla fine.
Nei quindici versi endecasillabi non ci sono rime, ci sono alcune assonanze, tra il verso 4 e il 5, tra l’8 il 9 e l’11. Solo tra due versi, il primo e l’ultimo, non ci sono enjambements. A questo proposito è stato osservato che “la struttura sintattica infrange sistematicamente la misura metrica, impedendo una lettura che rispetti il ritmo dell’endecasillabo e creando misure ritmiche e melodiche libere e variate….. Questo procedimento costituisce un equivalente formale del rapporto finito/infinito.” (H. Grosser, op.cit., p.302).
La scelta lessicale presenta termini indefiniti e vaghi secondo la poetica dell’indefinito e del vago: ermo, ultimo, interminati, sovrumani, profondissima, eterno, annegare, naufragare, infinito, immensità.
Le figure retoriche principali sono le metafore: core, voce, morte stagioni, presente e viva, naufragare, mare; frequenti gli iperbati e le anastrofi.
Da notare infine l’alternanza dei deittici questo e quello a indicare il punto di partenza e di arrivo del processo immaginativo.

La sera del dì di festa
Come l’Infinito “La sera del dì di festa” è un idillio, il periodo di scrittura è il 1819-1821, forse la primavera del 1820. E’ un componimento di 46 versi endecasillabi sciolti, privi di rime. Il lessico è quello della poetica dell’indefinito e del vago, parole “peregrine” che evocano immagini e sensazioni indefinite, lo splendido notturno dell’inizio e il canto che si spegne in lontananza della fine della poesia. La poesia è un solitario colloquio del poeta con sé stesso, una riflessione sul proprio immedicabile dolore e sul tempo che passa e distrugge. Il componimento è rivolto a una donna che il poeta ama e che non conosce le sue pene; compare, forse per la prima volta, la natura maligna “l’antica natura onnipossente che mi fece all’affanno”. Nei versi centrali della poesia il dolore viene espresso con forza, senza vergogna “ e qui per terra mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi in così verde etade!”. Il tono acceso e l’espressione non controllata dell’emozione non è piaciuta a molti lettori del secolo scorso. Il componimento si chiude con un ricordo doloroso dell’infanzia “Nella mia prima età …. già similmente mi stringeva il core”. A questa poesia si addicono le parole di Leopardi che definiva il genere lirico “vera e pura poesia in tutta la sua estensione; proprio di ogni uomo anche incolto che cerca di ricrearsi o di consolarsi col canto e colle parole misurate in qualunque modo e coll’armonia; espressione libera e schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito dell’uomo” (Zibaldone, 4234)
Anche in questo componimento troviamo le figure retoriche classiche: metafore, anastrofi e iperbati. Si distaccano le apostrofi “O donna mia”, “Oh giorni orrendi” e le interrogative retoriche “Or dov’è… Or dov’è….” che intensificano il tono allocutivo e patetico del testo.

A Silvia
“A Silvia” segna il ritorno alla poesia dopo il silenzio poetico degli anni 1823 – 1828. Scritta nell’aprile del 1828 a Pisa, è uno dei “grandi idilli” o canti pisano-recanatesi.
“A Silvia” è una delle poesie sentimentali di Leopardi, componimenti nei quali Leopardi canta il dolore della caduta delle “illusioni” dopo la scoperta dell’ “arido vero”.
Secondo la tradizione Silvia è Teresa Fattorini, la figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta di tisi in giovane età. Nella poesia la giovane donna diviene il simbolo della giovinezza, della sua bellezza e felicità “Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi”, mentre la morte della fanciulla simboleggia la fine delle speranze della gioventù “Ahi come, come passata sei, cara compagna dell’età mia nova, mia lacrimata speme!”. Silvia e la speranza divengono una sola cosa, senza di loro non c’è più vita, ma solo morte “All’apparir del vero tu, misera, cadesti: e con la mano la fredda morte ed una tomba ignuda mostravi di lontano”.
“A Silvia” è la prima canzone libera o leopardiana, in cui le strofe di endecasillabi e settenari hanno uno schema di versi e rime libero.
Nelle prime tre strofe il poeta rievoca la giovinezza felice, nella quarta strofa, il nucleo del componimento, è contenuta l’espressione del sentimento del poeta, prima la dolcezza del ricordo poi l’amaro sconforto della disillusione. Nelle ultime due strofe il poeta torna al ricordo, non a quello felice della gioventù, ma a quello triste e sconsolato della morte e della perdita della speranza.
In “A Silvia” Leopardi realizza alla perfezione molte delle sue osservazioni sulla poesia; nello Zibaldone scrive che “la lettura della vera poesia … destando mozioni vivissime, e riempiendo l’animo d’idee vaghe e indefinite e vastissime e sublimissime e mal chiare etc. lo riempie quanto più si possa a questo mondo” (Zibaldone, 1574). Sono idee vaghe e indefinite tutte quelle che nascono dalle immagini di “A Silvia”, il volto splendente di bellezza e gioventù della donna, il maggio pieno di profumi, il cielo sereno, le vie dorate, il paesaggio chiuso nell’indefinitezza del mare e dei monti intravisti in lontananza, idee vaghe e indefinite che riempiono l’animo.
Sempre nello Zibaldone si trova la differenza tra parole che “non presentano la sola idea dell’oggetto significato, ma quando più e quando meno immagini accessorie” e termini che “ presentano la nuda e circoscritta idea” di un oggetto (Zibaldone, 110). Tutte le parole della poesia sono “parole” che evocano altri significati e non “termini” che indicano con precisione, per esempio “beltà splendea”, “perpetuo canto”, “vago avvenir”, “cara compagna dell’età mia nova”, “all’apparir del vero”.

A se stesso
“A se stesso” è probabilmente l’ultimo dei cinque componimenti del cosiddetto “ciclo di Aspasia”, scritti tra il 1833 e il 1835 e dedicati all’amore per la nobildonna fiorentina Fanny Targioni Tozzetti.
Tutte le volte che Leopardi parla di amore, per una donna o per un amico, nelle lettere, nelle poesie, nelle Operette morali, nello Zibaldone ne parla come dell’esperienza fondamentale della vita. Solo l’amore permette di vivere, solo l’amore dà senso alla vita: “Che cos’è dunque la felicità, mio caro amico? e se la felicità non esiste, che cos’è dunque la vita? Io non ne so nulla; vi amo, vi amerò sempre così teneramente, così fortemente” (Lettera a André Jacopssen).
Nelle poesie del ciclo di Aspasia il sentimento per la donna è cantato come pensiero dolcissimo e possente, “dolce pensiero … stupendo incanto”, l’amore è “sola infinita felicità” senza la quale la terra sembra all’uomo un “deserto”. (Il pensiero dominante v.88 e v.102; Amore e Morte v. 35 e v.38). Tale è il mondo in “A se stesso” dopo la disillusione amorosa.
La disperazione per la fine della speranza e del desiderio è affermata con tono perentorio, il disprezzo per la vita “amaro e noia” e il mondo “fango” è dichiarato con fredda lucidità, non c’è rimpianto, né commiserazione, ma protesta per l’ennesima evidenza dell’infelicità a cui l’uomo è assegnato. Nel secolo scorso questo componimento è stato giudicato da alcuni critici negativamente non come poesia, ma come trascrizione di “sentimenti e propositi, che non vanno oltre la cerchia dell’individuo” (B.Croce, “Leopardi”, in “La critica”, 20 luglio 1922, in R.Luperini, La scrittura e l’interpretazione, vol.2 tomo III, p.570) .
La poesia è un breve componimento di sedici versi endecasillabi e settenari sciolti. Dodici brevi, a volte brevissime, frasi, che spezzano i versi, o con i punti fermi all’interno del singolo verso o con gli enjambements, ne risulta un ritmo frantumato, accentuato dalle parole ossitone, “perì, è, né, donò, vanità”, che interrompono con forza la lettura della poesia. Le parole hanno suoni aspri e duri, lontani da quelli dolci e musicali del lessico indefinito e vago degli idilli; ci sono alcune rime: sento, spento, dispera, impera, brutto, tutto; assonanze: estremo, sento, spento, nessuna, nulla, degna, terra, dispera, impera, e allitterazioni: “Or poserai per sempre stanco mio cor”, “non che la speme il desiderio è spento”, “Posa per sempre. Assai palpitasti”, “Amaro e noia la vita, altro mai nulla; e fango il mondo”, “e l’infinita vanità del tutto”. Il lessico è tutto metaforico, tranne poche parole, tutte hanno un significato altro rispetto al loro proprio: cor, inganno, estremo, palpitasti, amaro, noia, fango, morire, brutto poter, comun danno, infinita vanità del tutto.

Palinodia al Marchese Gino Capponi.
Il componimento scritto a Napoli nel 1835, è rivolto al marchese Gino Capponi, intellettuale del circolo della rivista fiorentina “Antologia” diretta da Vieusseux. E’ una palinodia, in greco ritrattazione, perché Leopardi ritratta le proprie idee. In realtà polemizza ironicamente con le idee dell’amico ispirate all’ottimismo dello spiritualismo cattolico liberale che proclamavano “le magnifiche sorti e progressive” a cui erano destinati gli uomini.
Nei versi riportati Leopardi si prende gioco delle credenze degli intellettuali del suo tempo, annuncia l’arrivo di una nuova età dell’oro: amore universale, ferrovie, macchine a vapore, giornali e malattie stringeranno insieme popoli e paesi del mondo, la stirpe degli uomini vola e volerà sempre “di meglio in meglio”.
Il modello stilistico della “Palinodia” è il “Giorno” di Parini, di cui sono ripresi gli artifici retorici: l’ironia “Riconobbi e vidi la pubblica letizia e le dolcezze del destino mortal.”, l’iperbole “Fra meraviglia e sdegno, dall’Eden odorato, in cui soggiorna, rise l’alta progenie”, la mescolanza di espressioni auliche e termini moderni “Aureo secolo, ferrate vie, molteplici commerci”, la rappresentazione solenne di eventi banali “Alfin per entro il fumo dei sigari onorato, al romorio de’ crepitanti pasticcini, al grido militar, di gelati e di bevande ordinator, fra le percosse tazze e i branditi cucchiaini, viva rifulse agli occhi miei la giornaliera luce delle gazzette”.

La Ginestra o Il fiore del deserto
La Ginestra o Il fiore del deserto, scritta a Torre del Greco nel 1836, chiude il libro dei Canti, come testamento spirituale e sintesi del pensiero di Leopardi.
E’ un componimento di 317 versi endecasillabi e settenari liberamente alternati e rimati divisi in sette strofe di diversa lunghezza. Il lessico è alto e letterario con numerosi latinismi, le figure retoriche sono quelle della tradizione classica: anastrofi, iperbati,metafore, similtudini, etc..
La Ginestra è un testo polemico, Leopardi rovescia il significato della frase del Vangelo di Giovanni “E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce” posta in epigrafe alla poesia e chiama “luce” il pensiero, “risorto pensiero” (v.55), che afferma il materialismo e la negatività della condizione umana e “tenebre” lo spiritualismo cattolico, le “magnifiche sorti e progressive” e gli “inganni dell’intelletto” . Nei versi 53-63 si rivolge agli uomini del suo tempo, che chiama “secol suberbo e sciocco”, come a bambini che hanno perso la strada e credono di procedere mentre in realtà stanno tornando indietro.
Alla polemica segue l’affermazione delle proprie idee, l’uomo è un essere fragile in balia della potenza della natura. La comunità civile non può fondarsi sulle superbe convinzioni degli spiritualisti, che credono l’uomo al centro del mondo e destinato alla felicità, solo la consapevolezza della propria debolezza e fragilità può salvare gli uomini. La terra è un granello di sabbia e gli uomini sono come formiche che in un attimo vedono distrutto il loro formicaio. Pompei distrutta dal Vesuvio è il segno della forza della natura e dell’impotenza degli uomini.
L’immagine della ginestra, il fiore solitario che vive sulle pendici pietrificate del vulcano, apre e chiude la poesia, ed è il simbolo dell’uomo umile e saggio che sa affrontare il “deserto” della vita senza inganni e paure.