Metrica

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La metrica studia i versi, il ritmo, le rime, le strofe e le forme metriche.
I versi
Il verso italiano si fonda sul numero delle sillabe e sugli accenti. I versi italiani prendono il loro nome dal numero delle sillabe di cui si compongono: bisillabo: due sillabe, ternario: tre, quaternario: quattro, quinario: cinque, senario: sei, settenario: sette, ottonario: otto, novenario: nove, decasillabo: dieci, endecasillabo: undici.
Il numero delle sillabe di un verso  corrisponde a quello indicato dal nome del verso solo quando l’ultima parola è piana, ovvero con accento tonico sulla penultima sillaba, per esempio: vìta ( Nel-mez-zo-del-cam-min-di-no-stra-vi-ta).  Se l’ultima parola di un verso è tronca, ovvero con accento in ultima, per esempio: sposò, il verso avrà una sillaba in meno rispetto a quelle indicate dal nome del verso, per esempio nel caso di un endecasillabo ne avrà dieci (Lu-ci-fe-ro- con- Giu-da- ci -spo-sò ).  Se l’ultima parola è sdrucciola, ovvero con accento in terzultima, il verso avrà una sillaba in più, nel caso dell’endecasillabo dodici (O-ra-cen-por-ta-l’un-de-du-ri-mar-gi-ni). I principali versi della poesia italiana sono l’endecasillabo e il settenario.

Sinalefe, sineresi, dialefe, dieresi
Sinalefe
Si ha sinalefe quando la vocale finale di una parola si fonde con la vocale iniziale della parola successiva formando un’unica sillaba.
Esempio:
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
Voi – ch’as – col-ta-tein – ri-me – spar-seil – suo-no
1    – 2      –   3  – 4  – 5   – 6 – 7   –   8   – 9    – 10  -11
questo verso è un endecasillabo perché le quattro sillabe te in  e se il sono state unite.
Sineresi.
Si ha sineresi quando  all’interno di una parola due vocali vicine che non formano dittongo vengono contate come una sola sillaba.
Esempio:
Ed erra l’armonia per questa valle
Ed – er-ra  –  l’ar-mo-nia – per – que-sta – val-le
1  – 2  – 3  –   4   – 5  – 6    –  7   –   8  – 9   – 10 -11
questo verso è un endecasillabo, perché le due vocali ia di armonia che non formano dittongo sono contate come una sola sillaba.
Dialefe e dieresi.
Fenomeni inversi alla sinalefe e alla sineresi sono la dialefe e la dieresi.
Si ha dialefe quando la vocale finale di una parola non si fonde con la vocale iniziale della parola successiva, di solito questo avviene quando una delle due vocali ha l’accento.
Esempio:
Restato m’era non mutò aspetto
Re-sta-to  –  m’e-ra  – non –  mu-tò  –  a-spet-to
1 – 2 –  3   –   4  – 5   –  6    –   7 – 8     – 9 – 10 -11
Si ha dieresi quando le vocali di un dittongo vengono contate come sillabe distinte ( a volte la prima vocale è segnata da due puntini per indicare la dieresi: orïental)
Esempio:
Dolce color d’orïental zaffiro
dol – ce  – co – lor – d’o – ri-en-tal – zaf -fi-ro
1 –  2  –    3   – 4   – 5  –    6 -7 -8    – 9 -10 -11

Il ritmo
Il ritmo del verso è dato dalla posizione degli accenti ritmici delle parole che compongono il verso. Gli accenti ritmici sono gli accenti tonici di una parola che all’interno del verso acquistano un particolare rilievo. Nei versi imparisillabi gli accenti ritmici sono mobili, ovvero possono avere diverse posizioni, tranne l’accento fisso in penultima posizione (decima nell’endecasillabo e sesta nel settenario). La posizione variabile degli accenti ritmici fa sì che i versi imparisillabi possano assumere ritmi molto vari. Nei versi parisillabi gli accenti ritmici sono fissi, ovvero hanno sempre le stesse posizioni e il ritmo è sempre uguale.
Esempi versi imparisillabi:
Nel mézzo del cammìn di nostra vìta (Dante Divina Commedia Inferno canto I v.1)
gli accenti ritmici principali sono in sesta : cammìn e decima sillaba: vìta.
Voi ch’ascoltàte in rime spàrse il sùono (Petrarca Canzoniere sonetto I v.1)
accenti ritmici principali in quarta: ascoltàte e decima sillaba: sùono.
di quà, di là, di giù, di sù li mèna (Dante Divina Commedia Inferno canto V v.42)
gli accenti sono in seconda, quarta, sesta, ottava e decima sillaba.
Esempi versi parisillabi:
Soffermàti sull’àrida spònda
Volti i guàrdi al varcàto Ticìno (Manzoni Marzo 1821 vv.1-2)
gli accenti ritmici sono in terza, sesta e nona sillaba in tutti i versi.

La cesura.
La cesura è una pausa metrica all’interno del verso. Nei versi imparisillabi come l’endecasillabo e il settenario, la cesura è mobile, ovvero non ha una posizione fissa all’interno del verso. Si chiamano emistichi le due parti in cui la cesura divide il verso, nei versi imparisillabi esse sono disuguali.

Endecasillabo a minore e a maiore.
Nella poesia italiana le due varietà principali di endecasillabo sono l’endecasillabo a minore e l’endecasillabo a maiore.
L’endecasillabo a minore con accento  principale mobile in quarta posizione e  cesura dopo la quarta o quinta sillaba risulta diviso in un emistichio più breve di cinque e uno più lungo di sei o sette sillabe. L’endecasillabo a maiore  con accento  principale mobile  in sesta posizione e cesura dopo la sesta o settima sillaba risulta diviso in un emistichio più lungo di sei o sette sillabe e uno più breve di cinque. Di solito nella lirica antica  tra il primo emistichio e il secondo c’è o troncamento o sinalefe.
Esempio di endecasillabo a minore (5 + 6 o 7)
Voi ch’ascoltàte // in rime spàrse il sùono
Esempio di endecasillabo a maiore (6 o 7+5)
Nel mezzo del cammin // di nostra vita

La  rima
La rima è l’identità dei suoni finali,  a partire dall’ultima vocale tonica, di due o più parole.
morirò disperato
per non amarvi non essendo amato  (
Tasso madrigale 288 vv.8-9)
La rima è un elemento sostanziale della poesia italiana,  modula il ritmo dei versi, mette in rilievo le parole finali dei singoli versi, organizza le strofe, stabilisce relazioni tra i significati delle parole che rimano.
Tipi di rima
Nelle strofe i versi possono disporsi secondo diversi schemi: baciata (AA BB), alternata (AB AB), incrociata ( AB BA), invertita (ABC CBA), incatenata (ABA BCB CDC DED, la rima della terzina dantesca).
Le rime possono essere rime ricche (bronchi tronchi, quando sono identiche anche lettere prima della ultima vocale tonica), rime al mezzo o interne (quando rimano parole di cui almeno una è posta all’interno del verso), rime difficili (adeschi inveschi, quando rimano parole con terminazioni rare), rime equivoche (quando rimano due parole uguali ma di significato diverso volto, sostantivo, volto, verbo).
Tra le parole finali dei versi ci può essere  assonanza e consonanza, si ha l’assonanza quando sono uguali le vocali finali delle parole in rima e non le consonanti (folti torri) , consonanza  quando sono uguali le consonanti  e non le vocali (vento tanto).
Le rime si indicano utilizzando la lettera minuscola (a, b, c …)  per i versi brevi, fino al settenario, la lettera maiuscola (A, B, C ….) per i versi dall’ottonario all’endecasillabo.

Nel mezzo del cammin di nostra vita A
mi ritrovai per una selva oscura B
ché la diritta via era smarrita A

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura B
esta selva selvaggia e aspra e forte C
che nel pensier rinova la paura! B
(Dante Divina Commedia Inferno, canto I vv.1-6)

Ne i vostri dolci baci a
de l’api è il dolce mele, b
e v’è l’ago de l’api aspro e crudele. B
Dunque addolcito e punto c
da voi parto in un punto. c
(Tasso, madrigale 305)

Le strofe
Più versi formano una strofa.  La strofa è un gruppo di versi che ha uguale  schema delle rime e che di solito si ripete almeno due volte in un componimento, spesso le strofe sono separate da uno spazio bianco. Le principali strofe della poesia italiana prendono il nome dal numero dei versi che le compongono e sono:

il distico
: due versi, di solito endecasillabi, a rima baciata

fur segni forse della tua partita
vita della mia vita?
(Torquato Tasso madrigale 324, vv.11-12)

la terzina: di solito tre versi endecasillabi a rima incatenata, ma sono terzine anche le due strofe finali del sonetto che rimano in vario modo tra di loro.

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita
(Dante, Inferno canto I vv.1-3)

la quartina
: quattro versi di vario tipo e con diversi schemi di rime, sono quartine le prime due strofe del sonetto

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
(Montale Non chiederci la parola, vv.1-4)

la sestina: di solito sei versi endecasillabi i primi quattro a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata

Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.
(Saba Goal, vv.1-6)

l’ottava: otto versi endecasillabi i primi sei a rima alternata, gli ultimi due a rima baciata.

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, A
le cortesie, l’audaci imprese io canto, B
che furo al tempo che passaro i Mori A
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, B
seguendo l’ire e i giovenil furori A
d’Agramante lor re, che si diè vanto B
di vendicar la morte di Troiano C
sopra re Carlo imperator romano. C
(Ariosto, Orlando Furioso, canto I, I)

Versi sciolti
I versi sciolti sono versi, di solito endecasillabi, non raggruppati in strofe né legati da rime.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani 5
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ….
(Leopardi L’infinito, vv.1-7)

La strofa libera
La strofa libera non ha definiti né il numero dei versi né lo schema delle rime. La canzone libera o leopardiana è formata da strofe libere.

Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare 5
Di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta 10
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.
(Leopardi A Silvia vv.1-14)

Il verso libero
Il verso libero si ha quando una poesia è formata da versi disuguali che non hanno schemi di rime fissi e ricorrenti. E’ utilizzato dai poeti del Novecento.

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove 5
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici 10
salmastre ed arse,
(D’Annunzio, La pioggia nel pineto, vv.1-11)

Forme metriche
Le strofe si uniscono  secondo schemi precisi nelle diverse forme metriche.
Il sonetto è un componimento di 14 versi endecasillabi disposti in due quartine a rima alternata o incrociata e due terzine a rima varia ( quartine: incatenate ABAB ABAB, incrociate o abbracciate ABBA ABBA; terzine: CDC DCD, oppure CDE CDE, oppure CDE EDC);
La canzone classica o petrarchesca si compone di un numero variabile di strofe di versi endecasillabi e settenari che rimano secondo uno schema fisso. La strofa, detta anche stanza, è divisa in due parti; fronte e sirma, divise, a loro volta,  in due parti, la fronte in piedi, la sirma in volte.  Tra fronte e sirma può trovarsi una rima uguale detta rima-chiave che fa da collegamento tra fronte e sirma. Nelle canzoni del Duecento e Trecento l’ultima stanza, che può essere diversa dalle altre, si chiama congedo.
La canzone libera o leopardiana è una canzone in cui le strofe sono diverse tra loro e i versi rimano  liberamente.
La ballata è un componimento di più strofe, caratterizzata da una strofa detta ripresa, che viene ripetuto a ogni strofa come un ritornello
I’ mi trovai fanciulle un bel mattino
di mezzo maggio in un verde giardino (Poliziano I’mi trovai fanciulle)
Il madrigale è un componimento breve, di solito formato da due o tre terzine  e uno o due distici di versi endecasillabi e settenari senza uno schema fisso di rime.
La metrica barbara vuole riprodurre nel sistema metrico italiano accentuativo, basato sulla qualità (toniche – atone) delle sillabe, versi e strofe del sistema metrico greco e latino basato sulla quantità (breve – lunga) delle sillabe.

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