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Veronica Franco

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VeronicFranco, celebratissima per bellezza e per ingegno e cultura, nacque a Venezia nel 1546, da Francesco, appartenente a una famiglia della classe dei cosiddetti cittadini originari, e da Paola Fracassa, cortigiana, che presto avviò la figlia alla sua stessa professione.

Veronica Franco era una famosa poetessa e cortigiana veneziana. Le cortigiane risiedevano alla corte di un signore ed erano divise in due categorie: cortigiane oneste e di lume. La Franco apparteneva alle cortigiane oneste, ovvero donne ben educate e indipendenti, esperte di danza e canto; esse erano in grado di avere conversazioni di ogni genere, dall’arte alla politica, con gli uomini di corte, e in alcuni casi potevano anche avere relazioni sessuali con essi. In alcuni casi, come per la Franco, le cortigiane erano sposate con uomini che appartenevano a classi sociali inferiori rispetto a quelle dei loro clienti. Proprio per questo i mariti accettavano la professione delle mogli. Secondo quanto lei stessa dichiara, la Franco ebbe due figli, Achilletto e Enea, anche se durante il processo che nel 1580 la vide protagonista disse di aver partorito sei volte.

Nel 1574 la sua fama di cortigiana di alto rango raggiunse il suo apice quando Enrico III di Valois, facendo una tappa a Venezia dal 18 al 28 luglio durante il viaggio che lo riportava dalla Polonia in Francia, la scelse per trascorrere con lei una notte nella casa di S. Giovanni Grisostomo. E’ certo che l’episodio la elevò agli occhi dei suoi concittadini e le diede grande notorietà.

La Franco fu legata all’aristocrazia intellettuale veneziana: sembra avere stretto amicizia con celebri artisti e letterati e frequentato assiduamente la nobile famiglia bresciana dei Martinengo, quella degli Zacco, ma soprattutto il famoso circolo letterario di “Ca’ Venier”. Fu amica del Tintoretto, che ne fece il ritratto. Verso il 1580 si diede a opere di carità, fondando tra l’altro un ricovero per le “donne perdute”. Come risulta dai Necrologi del magistrato alla Sanità, nel 1591 la Franco morì di febbre all’età di 45 anni.

La vita della Franco fu celebrata in un libro, “The Honest Courtesan”, di Margareth Rosenthal. Da questo libro è stato poi tratto un film, “Dangerous Beauty” (1998), in cui Catherine McCormack interpreta Veronica Franco.

OPERE

Veronica Franco era una poetessa, le sue opere principali sono: le petrarcheggianti Terze rime, la cui prima edizione è dedicata al duca di Mantova e di Monferrato, hanno accenti personali, quasi sempre dettati da una contemplazione della natura nella quale la Franco ama proiettare la sua malinconia. Le lettere famigliari, che rispecchiano felicemente quel mondo di letterati e di nobili in cui la Franco viveva, hanno singolari doti di stile e anticipano un barocco assai suggestivo.

CITAZIONE DI VERONICA FRANCO

Per avere un’idea del pensiero di Veronica Franco riportiamo alcuni suoi versi:

Non so se voi stimiate lieve risco
entrar con una donna in campo armato;
ma io, benché ingannata, v’avvertisco
che ‘l mettersi con donne è da l’un lato
biasmo ad uom forte, ma da l’altro è poi
caso d’alta importanza riputato.
Quando armate ed esperte ancor siam noi,
render buon conto a ciascun uom potemo,
ché mani e piedi e core avem qual voi;
e se ben molli e delicate semo,
ancor tal uom, ch’è delicato, è forte;
e tal, ruvido ed aspro, è d’ardir scemo.
Di ciò non se ne son le donne accorte;
che se si risolvessero di farlo,
con voi pugnar porían fino a la morte.
E per farvi veder che ‘l vero parlo,
tra tante donne incominciar voglio io,
porgendo essempio a lor di seguitarlo.
(Terze Rime, XVI, vv. 58-75).

Non so se voi considerate un piccolo rischio entrare in guerra con una donna; ma io, benchè indotta in errore, vi avverto che mettersi contro le donne è da un lato un biasimo ad un uomo forte, ma dall’altro è poi ritenuto un caso di grande importanza. Quando siamo ancora armate ed esperte, possiamo fornire giustificazioni ad ogni uomo, poiché abbiamo mani, piedi e cuore uguali ai vostri; e sebbene siamo tenere e delicate, invece alcuni uomini delicati sono forti, altri, ruvidi e aspri, sono poco coraggiosi. Di ciò se ne sono accorte le donne, e se solo si decidessero di farlo, potrebbero scontrarsi con voi fino alla morte. E, per farvi vedere che dico la verità, tra tante donne voglio io cominciare, e dare un esempio da seguire.

FONTI

http://it.wikiquote.org/wiki/Veronica_Franco
http://it.wikipedia.org/wiki/Veronica_Franco
http://www.treccani.it/enciclopedia/veronica-franco_(Dizionario-Biografico)/

Greta Garbo

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Greta Garbo

Greta Garbo , nome originale Greta Lovisa Gustafsson , nata il 18 Settembre del 1905 a Stoccolma, è una delle star del cinema più famose, meglio conosciuta per i suoi personaggi enigmatici come Garbo stessa. Greta Gustafsson è cresciuta in povertà nei bassifondi di Stoccolma e ha cominciato la sua carriera da attrice grazie a un incontro con il regista Erik Petschler nel supermercato in cui lavorava. Dal 1922 al 1924 studiò presso il Royal Dramatic Theatre di Stoccolma e nel 1924 ebbe un ruolo importante nella Gösta Berlings Saga (“La storia di Gösta Berling”): a partire da quel momento l’ attrice sarà chiamata con il nome d’ arte “Garbo”, nome scelto dal regista Mauritz Stiller. Nel corso della sua carriera recitò in 24 film sotto contratto con la Metro-Goldwyn-Mayer (MGM).

Greta impressionò i produttori per il suo grande talento nel recitare nei film muti. Per tutto il resto del decennio (1920-1930), Garbo è apparsa in famosi drammi romantici e ha spesso recitato con John Gilbert , con il quale era sentimentalmente coinvolta. Il successo della Garbo in questa fase della sua carriera si è basato non solo sulla sua immagine misteriosa, ma anche sull’ interesse pubblico riguardo alla vicenda Garbo-Gilbert.
La sua fama aumentò quando iniziò a recitare nei film sonori: il primo fu Anna Christie (1930)nel quale rivelò un tono di voce profondo e risonante che caratterizzò ancor più la sua immagine di donna dal fisico androgino. Grazie al secondo film sonoro in cui la Garbo recitò (Romance 1930), ottenne una nomination all’ Academy Award. Ebbe i ruoli principali in Mata Hari(1932) e La regina Cristina (1933) considerati scandalosi per il loro riferimento all’ erotismo e alla bisessualità. Garbo interpreta protagonisti contemporanei in Come tu mi vuoi (1932) e Il velo dipinto(1934), e quest’ultimo ricorda molto da vicino i triangoli amorosi dei film muti in cui recitava la Garbo nei primi periodi della sua carriera. I suoi tre film più noti del 1930 sono Anna Karenina (1935), Camille (1936), in cui, pur essendo malata durante la gran parte della produzione, la Garbo offre una delle sue performance più raggianti e interessanti. Infine ha recitato come protagonista nel film Ninotchka (1939) in cui si è dimostrata un artista-comica capace e con il quale ottenne un’altra nomination all’Oscar. Ninotchka è una delle commedie romantiche più celebri di Lubitsch. Il film è ambientato a Parigi: il governo sovietico, dopo la Rivoluzione russa, invia nella capitale francese tre agenti per rivendere i gioielli e i beni confiscati a tutti i nobili russi; tra questi vi sono anche i gioielli della nobildonna Swana, la quale dopo essersi trasferita a Parigi, incarica il proprio amante, il conte Leon, di riappropriarsene. Leon si avvicina ai tre uomini e fa sperimentare loro i piaceri della vita occidentale; il comportamento scandaloso dei tre arriva alle orecchie del governo russo, che invia loro la sua migliore ispettrice: Ninotchka. La donna però, una volta giunta a Parigi, si innamora di Leon e delle agiatezze della città. Swana, invidiosa di Ninotchka, riesce a rubare i suoi gioielli e ricatta la rivale: è disposta a consegnarle i gioielli in cambio del ritorno dell’ ispettrice e dei tre agenti a Mosca. Ninotchka accetta la proposta a malincuore per il bene della patria e una volta tornati,i quattro rimpiangono il periodo trascorso a Parigi; ma grazie a una missione a Costantinopoli, incontrano Leon che persuade i tre uomini ad aprire un ristorante russo: Ninotchka viene nuovamente inviata a controllarli, ma dopo averli raggiunti, ritrova Leon che la convince a restare con lui.
La struggente bellezza di Greta e il suo bisogno di privacy (“Voglio essere lasciata in pace”) l’ ha resa una leggenda. Inoltre viene ricordata per aver ridefinito l’ immagine della donna, come donna emancipata, in 28 film in cui recitò. Nel 1941 si allontanò dal mondo del cinema ritirandosi a vita privata. Morì il 15 aprile 1990 a New York.
http://www.gretagarbo.com/Offical_Website_of_Greta_Garbo/BIOGRAPHY.html
http://www.britannica.com/EBchecked/topic/225607/Greta-Garbo
http://it.wikipedia.org/wiki/Ninotchka

Mozah bint Nasser al Missned

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Biografia

Gli antichi ci insegnano ‘omen nomen’ –nel nome il destino- e guardando a Mozah bint Nasser al Missned non possiamo che constatarlo. Di origine ebraica, il nome ‘Mozah’ significa ‘azzimo’, parola che nella cultura ebraica associamo a ‘cambiamento’; infatti il pane azzimo viene associato alla fuga dall’Egitto durante la quale il pane non aveva tempo di lievitare, ma anche alla festa delle primizie in cui si eliminava il vecchio lievito.
Ed è proprio il cambiamento ciò che Mozah sta provocando: a Doha all’ingresso del suo ufficio è posta una scultura che rappresenta un piede nell’atto di abbattere un muro con un calcio, dentro il suo ufficio cerca di abbattere muri ben più consistenti per costruire un nuovo mondo.

Nata nel 1959 da una famiglia di dissidenti – il padre venne addirittura esiliato -, diventata moglie del principe Hamad bin Khalifa al-Thani a soli 18 anni, oggi rappresenta il volto pubblico (e meno male!) del piccolo ma potente Qatar. Così quest’affascinante donna, che si è fatta regalare dal marito la Maison Valentino, distrugge l’immagine occidentale della donna islamica sottomessa ed oppressa. Con il suo charme, la sua sobrietà e la sua eleganza innata, Mozah è riuscita a conquistare donne e uomini di ogni ceto sociale e luogo.

Seconda fra le 3 mogli dell’emiro, è di sicuro la più influente, tanto che l’anno scorso ha indotto il marito ad abdicare in favore di Tamin, uno dei suoi 6 figli. La ‘First Lady d’Arabia’ presiede dal 1995 la ‘Qatar Foundation’, madre della ‘Education City’ di Doha, dove le migliori università americane fanno a gara per formare la nuova classe dirigente araba e i qatarini e gli studenti più meritevoli dei Paesi limitrofi studiano gratuitamente o con borse di studio.

Education City

Education City è una zona di 14 kilometri quadrati nella capitale del Qatar, Doha, in cui si sono insediati diversi campus universitari ed istituti dedicati alla ricerca e all’innovazione ed è una delle prime “multiversità” al mondo.
6 università americane, una britannica e una francese possiedono una succursale dei loro campus all’interno di questa avanzata struttura, tra cui la famosa università Carnegie Mellon (informatica, arte drammatica, scienza politiche, business, ingegneria), Virginia Commonwealth University School of the Arts (Fashion, Grafica e Interior Design), Weill Cornell Medical College(ricerca biomedica), Texas A&M University (ingegneria), Georgetown University School of Foreign Service, Northwestern University (comunicazione e giornalismo).

1300 studenti di oltre 70 diverse nazionalità hanno la possibilità di condividere le proprie culture, idee, conoscenze, usanze, tradizioni, vissuti, arricchendosi con quelli altrui.

Education City mira ad essere il centro dell’eccellenza dell’educazione nella regione, ed è stato ideato come forum in cui le varie università condividono le ricerche e le scoperte.
“It’s a big, diverse community, brimming with energy, enthusiasm and ideas. It’s a close circle of friends and faculty who know you, support you and encourage you to reach your highest potential. Education City is whatever you choose to make it. But one thing is certain; it’s like no place else on Earth.” Mozah bint Nasser Al Missned è stata una forza trainante dietro la fondazione e la costruzione di Education City e si impegna a tenere alto il nome di un bene culturale così importante dal 2001.

Fonti:
-‘Mozah Bint Nasser Al Missned’ Wikipedia
-‘La first Lady d’Arabia’, D La Repubblica
-‘Education City’ Wikipedia
-‘Life in Education City’, Canergie Mellon University in Qatar

Battista di Montefeltro

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Battista Montefeltro nacque nel 1384 ad Urbino dal padre Antonio II conte di Montefeltro e dalla madre Agnesina di Giovanni di Prefetti di Vico.
Grazie al marcato interesse per la letteratura volgare del padre, Battista ricevette una ricercata educazione che la rese abile nel comporre poesie in volgare e discorsi in latino, come documentato dal suo epistolario, in cui sono raccolte le lettere ai familiari.
Il 14 giugno 1405, all’età di ventun’anni si sposò con il figlio del signore di Pesaro Malatesta di Pandolfo, Galeazzo Malatesta. La cultura di Battista superava di molto quella del marito, infatti era facile percepire la sua abilità nel negoziare, nel capire e nel giudicare una situazione e sfruttare questa capacità a suo favore, fu inoltre apprezzata per i suoi scritti in latino e in volgare dai più grandi umanisti e biografi a lei contemporanei, come Guiniforte Barzizza, Jacopo Filippo Berg Omensis e Vespasiano da Bisticci.
Leonardo Bruni le dedicò “De Studiis et Litteris liber ad illustrem dominam Baptistam de Malatestis”, un programma di educazione umanistica per le donne scritto nel 1424, che comprendeva la conoscenza del latino, le abilità nella scrittura e l’ approfondimento della religione, della morale, della storia e della poesia.
Nella primavera del 1407 ebbe una figlia, Elisabetta, e durante la maternità poté dedicarsi alla lettura e alla scrittura, grazie anche alla corrispondenza con la sorella e le cognate e allo scambio di sonetti con il suocero poeta noto come Malatesta dei Sonetti, compì, inoltre, diversi viaggi e pii pellegrinaggi.
A Mantova nel 1417, Battista, alla presenza dell’appena eletto Papa Martino V, sostenne un discorso gratulatorio in latino, in cui esprimeva l’appoggio dei Malatesta a favore del pontefice.
Nello stesso anno, insieme al suocero Malatesta di Pandolfo, si trovò a Jesi per contrattare la liberazione del marito e di Carlo Malatesta di Rimini che, tenuti prigionieri dopo essere stati catturati in battaglia da Andrea Fortebracci, vennero liberati con un riscatto di 30.000 scudi e la cessione di Jesi a Fortebracci.
Battista venne poi, nel 1424, resa prigioniera insieme al marito da Angelo Della Pergola al comando delle milizie del duca di Milano Filippo Maria Visconti, e, percepita l’influenza viscontea, venne liberata poco dopo.
Nella raffinata e colta corte di Pesaro la passione letteraria di Battista e la sua abilità poetica emersero, fu tra le prime donne a godere di successo letterario e con lei la presenza colta femminile cominciò a svilupparsi nelle corti italiane.
Nel 1425 Battista implora l’intervento autorevole del pontefice Martino V a favore della cognata Cleofe minacciata dal marito, despota ortodosso della Morea, di essere ripudiata in caso di mancata abiura della fede cattolica.
In seguito alla morte del suocero e di Martino V e alla deposizione di Eugenio IV, i Malatesta divennero i destinatari di una rivolta popolare sostenuta anche dal vescovo di Recanati Giovanni Vitelleschi.
I Malatesta vennero cacciati e Battista cerca protezione ad Urbino, da dove indirizzò all’imperatore Sigismondo un’orazione latina chiedendo il suo intervento per il rientro a Pesaro del marito e dei cognati.
Con la Bolla del 10 Dicembre 1438 Battista ottenne dal pontefice Eugenio IV l’autorizzazione per convertire la casa delle terziarie, fondata a Pesaro dalla suocera Elisabetta Varano Malatesta, in monastero di clausura “Corpo di Cristo” , di cui la figlia Elisabetta fu amministratrice e patrona.
Alla morte di Carlo Malatesta e del cognato l’arcivescovo Pandolfo, Battista si ritrovò a gestire la signoria di Pesaro e a rimediare alle negligenze del marito.
Ricevette diversi aiuti, ma fu poi costretta a cedere le sue proprietà e si stabilì ad Urbino.
Nell’attesa di ricevere l’autorizzazione pontificia a prendere il velo delle clarisse, Battista entrò nel Convento di Santa Lucia a Foligno, dove si dedicò agli studi spirituali e alla scrittura di rime ispirate alla rinuncia delle gioie materiali e al distacco del mondo profano.
A questi ultimi lustri di vita claustrale vengono attribuiti i trattati “De vera religione” e “De humanae conditionis fragilitate”, oggi perduti.
Con papa Nicolò V ottenne la dispensa con il nome di Suor Girolama nel 1447.
Battista morì il 3 Luglio 1448 lasciando alla figlia Elisabetta ed a Santa Lucia di Foligno la sua eredità.

Fonti:
http://www.treccani.it/enciclopedia/battista-di-montefeltro_(Dizionario-Biografico)/
http://www.treccani.it/enciclopedia/battista-da-montefeltro/
http://www.claraschiavoni.com/approfondimenti-storici-sono-tornata/37-di-clara.html

Frida Kahlo

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Frida KahloMagdalena Carmen Frida Kahlo y Calderòn nacque da genitori tedeschi ebrei a Coyoacàn, Messico, il 6 luglio 1907, anche se lei dichiarò sempre di essere nata con la rivoluzione,  nel 1910.

A 6 anni si ammalò di poliomelite. La malattia le deformò gamba e piede destro, che per tutta la vita nascose sotto pantaloni prima, lunghe gonne messicane poi.

Nel 1922, a 18 anni, iniziò gli studi per diventare medico. E’ in questo periodo che entra a far parte dei “cachuchas”, un gruppo di studenti dalle idee socialiste nazionaliste e riformatrici, che allo stesso tempo la avvicinano alla cultura tradizionale messicana, che sarà sempre di grandissima influenza per la sua arte.

Il 17 settembre 1925 rimase gravemente coinvolta nello scontro tra l’autobus su cui viaggiava e un tram.

In seguito all’incidente, Frida riportò gravi fratture nella zona lombare, che la costrinsero a portare un busto di gesso per 9 mesi e a un lungo periodo a letto, che la madre trasformò in un letto a baldacchino su cui montò un grande specchio, per permettere a Frida di riuscire a vedersi. E’ proprio in questo periodo che inizia a produrre una lunga serie di autoritratti, fedeli all’immagine che rimandava lo specchio, e che sempre continuò a dipingere nella sua vita.

“Dipingo me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio”, disse a riguardo.

Più di un anno dopo, Frida si unì a un gruppo di artisti e letterati che sostenevano un’arte messicana indipendente. Frida sviluppa un proprio stile figurativo, carico di simbologia, che si rifà all’arte e alla cultura popolare messicana e precolombiana.

Il 21 agosto 1929 Frida sposò Diego Rivera, un famoso pittore e muralista messicano conosciuto già anni prima. A causa della malformazione pelvica dovuta all’incidente, Frida subì due aborti spontanei e non riuscì mai ad avere figli.

Nel 1934, di ritorno dagli Stati Uniti, Frida si separò da Diego, che l’aveva più volte tradita con altre donne, compresa sua sorella.

Iniziò così un’attiva vita politica. Dopo un viaggio a New York e diverse relazioni sentimentali, la pittrice si separò ufficialmente dal marito. Viaggiò molto, a New York e Parigi, prendendo parte con i suoi quadri a diverse mostre. In Europa Frida era vista come una vera e propria attrattiva esotica: la sua arte e il suo modo di vestire tipicamente messicano fecero di lei un’icona. In molti definirono la sua arte come surrealista, il movimento artistico che si stava affermando in quel periodo, ma lei rifiutò sempre quella definizione, dichiarando di dipingere la sua realtà.

Nel 1939 avvenne il divorzio da Diego, e Frida tornò a vivere coi suoi genitori.

Per motivi di salute, nel 1940 a San Francisco e risposò Diego Riviera. Due anni dopo cominciò a insegnare all’Accademia di Belle Arti Esmeralda, dove si formò un gruppo di suoi seguaci, chiamati Los Fridos.

Man mano però, le sue condizioni di salute peggiorarono e cominciò a tenere le sue lezioni da casa.

Nel 1946 portò per diverso tempo un corsetto di ferro e dovette subire diversi interventi alla schiena. È in questo periodo che inizia a tenere un diario con poesie sulla propria vita e disegni.

Nel 1953, la gamba destra le fu amputata fin sotto al ginocchio.

Morì il 13 luglio 1954, forse per un’embolia polmonare.

Nel corso degli ultimi anni, la figura di Frida Kahlo come pittrice è stata sempre più affiancata e sovrastata dal personaggio di Frida, con la sua tormentata e appassionata storia personale, che è passata dall’essere elemento di sfondo della sua arte a fulcro centrale dell’attenzione di tutti. I suoi quadri ci offrono lo scorcio pù attraente e significativo al suo mondo personale, ma occorre ricordare che sono costruzioni dell’artista stessa, proiezioni delle sue idee, esperienze, sensazioni, ma anche più semplicemente una forma d’arte e, in quanto tale, finzione.

Frida stessa si definisce una Gran Ocultadora, capace di fare apparire le cose diverse da come sono, e non stupisce quindi scoprire che molti dei suoi quadri nascondono una vena di camuffata ironia, sottintendono una spietata critica, o drammatizzano una realtà già di per sé decisamente teatrale. L’arte di Frida è eclettica, spietata e tenera al tempo stesso, assordante e imprevedibile. E’ un’arte che non può essere contenuta in nessuna etichetta, ed è questo a renderla tanto viva e sfuggente.

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-Frida Kahlo, Il mio vestito è appeso là, 1933, olio e collage su masonite, Monterrey, Femsa

In Il mio vestito è appeso là Frida traccia un bilancio del suo soggiorno negli Stati Uniti, dove aveva seguito Rivera, impegnato in un grande progetto per il Rockfeller Center di New York. Diversamente da quanto generalmente si possa pensare, con questo quadro Frida non critica soltanto il declino dei valori umanistici nella società industriale, ma intende soprattutto illustrare il fallimento del marito e delle sue smisurate illusioni, che Frida sembra vivere come un trionfo. Il vestito è infatti appeso al nastro azzurro, che nella tradizione spettava alla nave più veloce sulla rotta transatlantica. E’ quindi il vestito, e con lui Frida, a vincere il premio. Le due colonne davanti al tempio sono un antico rimando alle logge massoniche a cui era affiliato anche Rivera e richiamano l’unione delle forze maschili e femminili. Sulla colonna femminile capeggia una coppa della vittoria, mentre su quella dorica maschile c’è una tazza da gabinetto, che fa intuire vi sia inciso il monogramma DR. Gli attrezzi del pittore si ammassano come immondizia nel bidone della spazzatura.

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-Frida Kahlo, Le due Fride, 1939, olio su tela, Museo di Arte Moderna di Città del Messico

“Origine delle due Frida = Ricordo

Dovevo avere sei anni quando vissi intensamente l’amicizia immaginaria con una bambina… della mia stessa età, più o meno. Sulla vetrata di quella che era allora la mia stanza e che dava su via Allende, sopra uno dei primi vetri della finestra. Facevo ‘Bau’ e con un dito disegnavo una ‘porta’… Da questa ‘porta’ uscivo con l’immaginazione, in grande allegria e fretta. Attraversavo tutta la pianura che si vedeva, fino a arrivare a una latteria che si chiamava Pinzòn… Entravo dalla O di Pinzòn e mi ritrovavo improvvisamente dentro la terra, dove la mia amica immaginaria mi attendeva sempre. Non ricordo la sua immagine, né il suo incarnato. Però so che era allegra, si rideva molto. Senza suoni. Era agile e ballava come se non avesse alcun peso. Io la seguivo in tutti i suoi movimenti, e mentre ballava le raccontavo i miei problemi segreti. Quali? Non ricordo. Ma lei dalla mia voce sapeva tutte le mie cose… Quando tornavo alla finestra, entravo per la stessa porta disegnata sul vetro. Quando? Per quanto tempo ero stata con ‘lei’? Non so. Poteva essere un secondo o mille anni… Io ero felice. Cancellavo la ‘porta’ con la mano e ‘scompariva’. Correvo, con il mio segreto e la mia allegria, fino all’ultimo angolo del cortile di casa mia. Sempre nello stesso punto, sotto un albero di cedròn, gridavo e ridevo. Stupita di essere sola con la mia grande felicità e il ricordo tanto vivo della bimba. Sono passati 34 anni da quando ho vissuto questa magica amicizia e ogni volta che la rammento si ravviva e cresce sempre più dentro il mio mondo. Pinzòn 1950. Frida Kahlo, Le due Frida.”

Frida Kahlo, The Diary of Frida Kahlo, introduzione di Carlos Fuentes, saggio e commenti di Sarah M. Lowee, Harry Abrams Inc. Publ., New York 1995, pp. 245-247

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Frida Kahlo, La colonna spezzata, 1944, olio su tela, Fondazione Dolores Olmedo, Città del Messico

In La colonna spezzata la sofferenza di Frida viene comunicata nel modo più acuto possibile, mostrando chiodi conficcati nella carne e una spaccatura, che le divide in due il busto e ricorda le spaccature del terreno dopo un  terremoto, riprese poi anche sul terreno di sfondo. La colonna ionica spezzata che si staglia all’interno della proiezione della pittrice rappresenta la sua colonna vertebrale ma potrebbe anche avere riferimento fallico; la connotazione sessuale del quadro viene accentuata dalla bellezza dei seni del soggetto, che in principio era completamente nudo: solo in seguito infatti la pittrice aggiunse il telo bianco a coprire il bacino. Nonostante il dolore, la figura di Frida è dritta e bella, e guarda all’osservatore con sguardo di sfida, trionfante. Le immagini sono essenziali, come le lacrime sul suo volto, quasi prive di ombre. Per questo motivo il tutto appare come un ritaglio di giornale o l’icona di un Santo, senza alcuna connessione con il paesaggio retrostante. La rigidità di Frida esprime la sua sensazione di impossibilità ad agire, Frida sa di non poter essere aiutata. Nonostante la sua forte volontà, Frida non agisce, subisce sempre l’azione. Le sue braccia, per esempio, sembrano incapaci di muoversi come fossero quelle di una bambola di porcellana.

Fonte:http://www.fridakahlo.org/the-broken-column.jsp

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-Frida Kahlo, Viva la Vida, 1954, olio su masonite, Museo Frida Kahlo, Coyoacàn, Messico

Viva la Vida è uno tra gli ultimi quadri di Frida, dipinto quando già era costretta a letto da forti dolori. I colori sono carichi, le pennellate decise. Il titolo, inciso nella polpa del frutto in primo piano, emerge con chiarezza. E’ un’affermazione, un messaggio, un ultimo estremo atto d’amore per la vita, che Frida non smise mai di raccontare e amare, fino alla fine.

Fonti:

http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/frida-kahlo/

http://www.fridakahlo.org/the-broken-column.jsp

-catalogo della mostra “Frida Kahlo”, Scuderie del Quirinale, a cura di Helga Prignitz-Poda, Mondadori Electa, 2014