Il servitore di due padroni e l’Arlecchino di Strehler

Print Friendly, PDF & Email
Le Donne e il Viagra: dove posso acquistare il cialis senza ricetta Cosa Dicono le Ricerche

INTRODUZIONE:
Il servitore di due padroni è una celebre  opera di Carlo Goldoni, scritta nel 1745.
In piena sintonia con la tradizione della Commedia dell’Arte, Goldoni scrisse l’opera in forma di canovaccio per l’attore Antonio Sacchi, o Sacco, il quale, secondo l’uso del tempo, recitava improvvisando. Con successive riscritture, l’opera si dotò di un copione steso per intero.
Questo famoso attore impersonava con il nome di Truffaldino il secondo zani, ovvero servo, della Commedia dell’Arte. In seguito il nome di Truffaldino venne sostituito con quello di Arlecchino, il nome più famoso e noto del secondo servo della commedia italiana e con questo nome il personaggio della commedia è ora chiamato.
Al centro della commedia troviamo Arlecchino, servo di due padroni, che, per non svelare il suo inganno e per perseguire il suo unico intento, ovvero mangiare a sazietà, intreccia la storia all’inverosimile e crea continuamente equivoci e guai.

PERSONAGGI PRINCIPALI:

Arlecchino: astuto servitore del defunto Federigo Rasponi. In seguito alla morte di questo servirà la sorella, Beatrice Rasponi. Per uno scherzo del destino Arlecchino trova un secondo padrone, Florindo Aretusi.
Federigo Rasponi: agiato torinese che avrebbe dovuto sposare la giovane Clarice e che però viene ucciso da Florindo Aretusi a seguito di una lite.
Beatrice Rasponi: sorella di Federigo. Lei indosserà i panni del fratello per andare alla ricerca del suo amato Florindo e ostacola il matrimonio fra Clarice e Silvio.
Clarice: figlia del locandiere veneziano Pantalone de’ Bisognosi. Innamorata di Silvio, ma inizialmente promessa in sposa a Federigo Rasponi.
Silvio: fidanzato di Clarice.
Smeraldina: serva di Clarice,innamorata di Arlecchino.
Brighella: un ex servitore ora locandiere.

TRAMA:
La commedia si apre a Venezia in casa di Pantalone de’ Bisognosi, anziano mercante che sta assistendo alla promessa di matrimonio tra sua figlia, Clarice e Silvio.
I testimoni della promessa sono Smeraldina e Brighella. Senza alcun preavviso irrompe sulla scena Arlecchino, servo di Federigo Rasponi, il quale annuncia la venuta del suo padrone, giunto a Venezia per incontrare la sua futura sposa, Clarice. Costui, in realtà , è Beatrice Rasponi, sorella del defunto Federigo, la quale indossa i panni del fratello per cercare il suo amato, Florindo Aretusi, fuggito a Venezia a seguito dell’omicidio per mano sua di Federigo.
Brighella, pur avendo riconosciuto Beatrice, non svela l’inganno, anzi, sta al gioco, assicurando tutti che lo sconosciuto è Federigo Rasponi in persona. Neanche Arlecchino si interessa della vera identità del padrone, dato che il suo unico obiettivo è quello di saziare la sua perenne fame. Non soddisfatto del trattamento di Beatrice, che trascura gli orari del pranzo e lo lascia spesso da solo, per uno scherzo del destino si trova a servire un altro padrone, Florindo Aretusi, l’innamorato di Clarice, sotto falso nome.
Beatrice e Florindo, raggirati dall’astuzia dell’abile servitore, si ritrovano alloggiati nella locanda di Brighella in cerca l’una dell’altro. Arlecchino per non farsi scoprire, addossa tutte le responsabilità sul fantomatico Pasquale, servo che in realtà non esiste. Anche quando Beatrice e Florindo si rincontreranno, Florindo crederà che il servitore di Beatrice sia Pasquale e viceversa. Arlecchino soffre la fame, mente, corteggia, ama, finge di saper leggere, serve i due padroni in stanze diverse, pasticcia la trama e la risolve, tutto ciò mentre lo “pseudo” Federigo Rasponi complica la vita dei due amanti Silvio e Clarice e delle rispettive famiglie.
L’intreccio culmina, all’inizio dell’atto terzo, quando Arlecchino , per errore scambia il contenuto di due bauli che appartengono rispettivamente ai suoi due padroni. Egli si vede costretto a spiegare a Florindo come mai nel baule si trovi un suo ritratto e a Beatrice perché nel suo si trovino due lettere da lei scritte a Florindo. Arlecchino si libera dalla spiacevole situazione raccontando ad entrambi di avere avuto tali oggetti da un suo precedente padrone defunto.
Beatrice e Florindo credono ciascuno che l’altro sia morto e si disperano. La situazione, apparentemente irrimediabile si risolve con un incontro casuale, seguito dalle nozze, dei due innamorati. Una volta svelato l’inganno di Beatrice, Clarice e Silvio si riappacificano con le rispettive famiglie.
Alla fine Arlecchino per avere in moglie Smeraldina, la serva di Pantalone, rivela il suo inganno e dichiara di avere servito due padroni nello stesso tempo.
“Arlecchino: Sior sì, mi ho fatto sta bravura. Son intrà in sto impegno senza pensarghe; m’ho volesto provar. Ho durà poco, è vero, ma almanco ho la gloria che nissun m’aveva ancora scoverto, se da per mi no me descovriva per l’amor de quella ragazza. Ho fatto una gran fadiga, ho fatto anca dei mancamenti, ma spero che, per rason della stravaganza, tutti sti siori me perdonerà.” (scena ultima)

“Il servitore di due padroni” è un’opera di intrattenimento, comica e divertente.
La commedia scritta da Goldoni su richiesta di Antonio Sacchi, famoso Truffaldino, ebbe fin dalle sue prime rappresentazioni un grande successo di pubblico.

L’ARLECCHINO DI GIORGIO STREHLER.

Giorgio Strehler nato a Trieste il 14 agosto del 1921, è stato un importante registra teatrale italiano.
Strehler  fondò insieme a Nina Vinchi e Paolo Grassi il Piccolo Teatro di Milano,  inaugurato il 14 maggio del 1947 con lo spettacolo “ L’albergo dei poveri” di Maxim Gorki.
Nel corso della la sua attività Strehler si rifà alla tradizione teatrale italiana ed europea e mette in scena spettacoli, che sono rimasti nella storia del teatro italianoed europeo.
Nel 1990 fonda insieme a Jack Lang, allora ministro della cultura in Francia, “L’unione dei teatri d’Europa” , un’associazione a scopo culturale, con il fine di riunire produzioni e lavori artistici europei e consentire gli scambi culturali.
Nello stesso anno gli fu assegnato il premio “Europa per il teatro”.
Strehler ha messo in scena tutti i principali drammaturghi italiani ed europei. Tra i suoi più importanti spettacoli ricordiamo, oltre all’Arlecchino servitore di due padroni, il più longevo dei suoi allestimenti, “La trilogia della villeggiatura” e “Le baruffe chiozzotte” sempre di Goldoni, “Il flauto magico” e “Così fan tutte” di Mozart, “L’anima buona di Sezuan” , “Opera da tre soldi” e “Vita di Galileo” di Bertolt Brecht, “Re Lear” e “La tempesta” di Shakespeare, “Il giardino dei ciliegi” di Checov, “I giganti della montagna” di Pirandello, “L’ultimo nastro di Krapp” di Beckett.
Ha pubblicato saggi e testi autobiografici, tra cui “Per un teatro umano”, raccolta di scritti vari sul teatro pubblicato nel 1974.
Morì a Lugano il 25 dicembre del 1997 durate le prove del suo spettacolo “Così fan tutte”.

La commedia di Goldoni fu rappresentata sia nei teatri italiani sia in quelli europei più volte sempre con successo.
Giorgio Strehler mette in scena “Il Servitore di due padroni”, da lui rinominato “Arlecchino servitore di due padroni” al Piccolo Teatro di Milano nel luglio del 1947 come ultimo spettacolo della prima stagione del nuovo teatro milanese.
L’Arlecchino era lo spettacolo allegro e spensierato dopo gli spettacoli seri e impegnati.
Lo spettacolo di Strehler è stato rappresentato, in più di duemila repliche, nei teatri di moltissime città di tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Cina ed è tuttora (2013) nel cartellone del teatro milanese.
Due i grandi attori che hanno interpretato l’Arlecchino di Strehler Mario Moretti e Ferruccio Soleri, che tuttora interpreta il personaggio nello spettacolo che stagione dopo stagione continua ad andare in scena al Piccolo di Milano.
A questo spettacolo Strehler rimase per tutta la vita profondamente legato e non smise di rimetterlo in scena fino all’anno della sua morte nel 1997 in occasione del cinquantenario della fondazione del Piccolo Teatro di Milano.
Dagli archivi del Piccolo riportiamo uno stralcio dagli appunti di regia che Strehler scriveva per i programmi di sala dello spettacolo. archivio.piccoloteatro.org

Appunti di regia Arlecchino tournée 1954
Riflessioni sullo spettacolo pubblicate sul programma di sala in occasione della tournée in America Latina del 1954
Un segno di continuità.
Recitato per la prima volta dal Piccolo Teatro nel corso del suo primo anno di vita, Il servitore di due padroni di Carlo Goldoni (da noi poi chiamato Arlecchino servitore di due padroni, per indicare più chiaramente ai pubblici stranieri il carattere della commedia) è diventato, a poco a poco, il segno della continuità ideale del nostro lavoro e al tempo stesso una bandiera.
Sette anni fa, il nostro Arlecchino segnava in Europa, alla fine di una sanguinosa guerra che aveva ceduto il suo inevitabile debito di sconforto e di disperazioni per tanti, il ritrovamento di alcuni eterni valori di poesia e al tempo stesso di un messaggio di fiducia per gli uomini, attraverso la liberazione del riso più aperto, del gioco più puro. Era il teatro che, con i suoi attori, ritornava (o tentava di ritornare) alle fonti primitive di un avvenimento scenico dimenticato, attraverso le vicende della storia, e indicava un cammino di semplicità, di amore e di solidarietà ai pubblici contemporanei. Era il teatro che riscopriva (se così si può dire) una sua epoca gloriosa: la Commedia dell’Arte, non più come un fatto intellettuale, ma come un esercizio di vita presente, operante. Questo forse fu il punto che più chiaramente distinse la nostra fatica da quella di tanti altri interpreti che ci avevano preceduto sulla stessa strada.
(…)
Il mondo degli equivoci si muove vertiginosamente attorno alla figura misteriosa ed eterna di Arlecchino. Si varcano qui i limiti del logico e del possibile. L’assurdo nella sua forza più piena ed assoluta entra sul palcoscenico e non spaventa. Anzi ci trasporta in un mondo più facile, in cui tutti i nodi si sciolgono e infine ci trascina nell’empireo del grande teatro comico che è tutto un inno gioioso di liberazione e di felicità di esistere.
Abbandonarsi a questa “felicità”, senza peso e senza tempo, è tutto quello che noi chiediamo a noi stessi e a coloro che ci ascoltano.
Sappiamo che quando un tale miracolo avviene si accende, se pur per un attimo, nel nostro cuore una scintilla che lascia la sua incancellabile traccia di calore e di umanità.

La scena XV dell’ atto II prende luogo nella locanda di Brighella,dove alloggiano Florindo e Beatrice. Essi sono giunti a Venezia in cerca l’uno dell’altra. Arlecchino si vede costretto a soddisfare le esigenze dei suoi due padroni e fa di tutto purché l’inganno non venga svelato. In questa scena, è impegnato a servire contemporaneamente la cena a entrambi. Truffaldino porta da solo ogni portata ai padroni e non lascia far nulla ai camerieri.

SCENA QUINDICESIMA
Un Cameriere con un piatto, poi Truffaldino, poi Florindo, poi Beatrice ed altri Camerieri.
CAMERIERE: Quanto sta costui a venir a prender le vivande?                                                   TRUFFALDINO (dalla camera): Son qua, camerada; cossa me deu?
CAMERIERE: Ecco il bollito. Vado a prender un altro piatto (parte).
TRUFFALDINO: Che el sia castrà, o che el sia vedèllo? El me par castrà. Sentimolo un pochetin (ne assaggia un poco). No l’è né castrà, né vedèllo: l’è pegora bella e bona (s’incammina verso la camera di Beatrice).

FLORINDO: Dove si va? (l’incontra).                                                                                   TRUFFALDINO: (Oh poveretto mi!).                                                                                       FLORINDO: Dove vai con quel piatto?
TRUFFALDINO: Metteva in tavola, signor.
FLORINDO: A chi?
TRUFFALDINO: A vussioria.
FLORINDO: Perché metti in tavola prima ch’io venga a casa?
TRUFFALDINO: V’ho visto a vegnir dalla finestra. (Bisogna trovarla).
FLORINDO: E dal bollito principi a metter in tavola, e non dalla zuppa?
TRUFFALDINO: Ghe dirò, signor, a Venezia la zuppa la se magna in ultima.
FLORINDO: Io costumo diversamente. Voglio la zuppa. Riporta in cucina quel piatto.
TRUFFALDINO: Signor sì la sarà servida.
FLORINDO: E spicciati, che voglio poi riposare.
TRUFFALDINO: Subito (mostra di ritornare in cucina).
FLORINDO: (Beatrice non la ritroverò mai?) (entra nell’altra camera in prospetto).
Truffaldino, entrato Florindo in camera, corre col piatto e lo porta a Beatrice.
CAMERIERE: (torna con una vivanda) E sempre bisogna aspettarlo. Truffaldino (chiama).
TRUFFALDINO: (esce di camera di Beatrice) Son qua. Presto, andè a parecchiar in quell’altra camera, che l’è arrivado quell’altro forestier, e portè la minestra subito.
CAMERIERE: Subito (parte).
TRUFFALDINO: Sta piatanza coss’èla mo? Bisogna che el sia el fracastor (assaggia). Bona, bona, da galantomo (la porta in camera di Beatrice. Camerieri passano e portano l’occorrente per preparare la tavola in camera di Florindo). Bravi. Pulito. I è lesti come gatti (verso i Camerieri). Oh se me riuscisse de servir a tavola do padroni; mo la saria la gran bella cossa. (Camerieri escono dalla camera di Florindo e vanno verso la cucina). Presto, fioi, la menestra.     CAMERIERE: Pensate alla vostra tavola, e noi penseremo a questa (parte).
TRUFFALDINO: Voria pensar a tutte do, se podesse. (Cameriere torna colla minestra per Florindo). Dè qua a mi, che ghe la porterò mi; andè a parecchiar la roba per quell’altra camera. (Leva la minestra di mano al Cameriere e la porta in camera di Florindo).

CAMERIERE: E’ curioso costui. Vuol servire di qua e di la. Io lascio fare: già la mia mancia bisognerà che me la diano. Truffaldino esce di camera di Florindo.
BEATRICE: Truffaldino (dalla camera lo chiama).
CAMERIERE: Eh! servite il vostro padrone (a Truffaldino).
TRUFFALDINO: Son qua (entra in camera di Beatrice; i Camerieri portano il bollito per Florindo).
CAMERIERE: Date qui (lo prende).
Camerieri partono.Truffaldino esce di camera di Beatrice con i tondi sporchi.
FLORINDO: Truffaldino (dalla camera lo chiama forte).
TRUFFALDINO: De qua (vuol prendere il piatto del bollito dal Cameriere).
CAMERIERE: Questo lo porto io.
TRUFFALDINO: No sentì che el me chiama mi? (gli leva il bollito di mano e lo porta a Florindo).
CAMERIERE: È bellissima. Vuol far tutto. (I Camerieri portano un piatto di polpette, lo danno al Cameriere e partono).
CAMERIERE: Lo porterei io in camera, ma non voglio aver che dire con costui. (Truffaldino esce di camera di Florindo con i tondi sporchi). Tenete, signor faccendiere; portate queste polpette al vostro padrone.
TRUFFALDINO: Polpette? (prendendo il piatto in mano).
CAMERIERE: Sì, le polpette ch’egli ha ordinato (parte).
TRUFFALDINO: Oh bella! A chi le òi da portar? Chi diavol de sti padroni le averà ordinade? Se ghel vago a domandar in cusina, no voria metterli in malizia; se fallo e che no le porta a chi le ha ordenade, quell’altro le domanderà e se scoverzirà l’imbroio. Farò cussi… Eh, gran mi! Farò cusì; le spartirò in do tondi, le porterò metà per un, e cusì chi le averà ordinade, le vederà (prende un altro tondo di quelli che sono in sala, e divide le polpette per metà). Quattro e quattro. Ma ghe n’è una de più. A chi ghe l’òia da dar? No voi che nissun se n’abbia per mal; me la magnerò mi (mangia la polpetta). Adesso va ben. Portemo le polpette a questo (mette in terra l’altro tondo, e ne porta uno da Beatrice).
CAMERIERE: (con un bodino all’inglese) Truffaldino (chiama)
TRUFFALDINO: Son qua (esce dalla camera di Beatrice).
CAMERIERE: Portate questo bodino…
TRUFFALDINO: Aspettè che vegno (prende l’altro tondino di polpette, e lo porta a Florindo).
CAMERIERE: Sbagliate; le polpette vanno di la.
TRUFFALDINO: Sior si, lo so, le ho portade de là; e el me padron manda ste quattro a regalar a sto forestier (entra). CAMERIERE: Si conoscono dunque, sono amici. Potevano desinar insieme.
TRUFFALDINO: (torna in camera di Florindo) E cusì, coss’elo sto negozio? (al Cameriere).
CAMERIERE: Questo è un bodino all’inglese.
TRUFFALDINO: A chi valo?
CAMERIERE: Al vostro padrone (parte).
TRUFFALDINO: Che diavolo è sto bodin? L’odor l’è prezioso, el par polenta. Oh, se el fuss polenta, la saria pur una bona cossa! Voi sentir (tira fuori di tasca una forchetta). No l’è polenta, ma el ghe someia (mangia). L’è meio della polenta (mangia).
BEATRICE: Truffaldino (dalla camera lo chiama).
TRUFFALDINO: Vegno (risponde colla bocca piena).
FLORINDO: Truffaldino (lo chiama dalla sua camera).
TRUFFALDINO: Son qua (risponde colla bocca piena, come sopra). Oh che roba preziosa! Un altro bocconcin, e vegno (segue a mangiare).
BEATRICE: (esce dalla sua camera e vede Truffaldino che mangia; gli dà un calcio e gli dice) Vieni a servire (torna nella sua camera). Truffaldino mette il bodino in terra, ed entra in camera di Beatrice.
FLORINDO: (esce dalla sua camera) Truffaldino (chiama). Dove diavolo è costui?
TRUFFALDINO: (esce dalla camera di Beatrice) L’è qua (vedendo Florindo).
FLORINDO: Dove sei? Dove ti perdi?
TRUFFALDINO: Era andà a tor dei piatti, signor.
FLORINDO: Vi è altro da mangiare?
TRUFFALDINO: Anderò a veder.
FLORINDO: Spicciati, ti dico, che ho bisogno di riposare (torna nella sua camera).
TRUFFALDINO: Subito. Camerieri, gh’è altro? (chiama). Sto bodin me lo metto via per mi (lo nasconde).
CAMERIERE: Eccovi l’arrosto (porta un piatto con l’arrosto).
TRUFFALDINO: Presto i frutti (prende l’arrosto).
CAMERIERE: Gran furie! Subito (parte).
TRUFFALDINO: L’arrosto lo porterò a questo (entra da Florindo).
CAMERIERE: Ecco le frutta, dove siete? (con un piatto di frutta).
TRUFFALDINO: Son qua (di camera di Florindo).
CAMERIERE: Tenete (gli dà le frutta). Volete altro?
TRUFFALDINO: Aspettè (porta le frutta a Beatrice).
CAMERIERE: Salta di qua, salta di là; è un diavolo costui. TRUFFALDINO Non occorr’altro. Nissun vol altro.
CAMERIERE: Ho piacere.
TRUFFALDINO: Parecchiè per mi.
CAMERIERE: Subito (parte).
TRUFFALDINO: Togo su el me bodin; evviva, l’ho superada, tutti i è contenti, no i vol alter, i è stadi servidi. Ho servido a tavola do padroni, e un non ha savudo dell’altro. Ma se ho servido per do, adess voio andar a magnar per quattro (parte)

Un pensiero su “Il servitore di due padroni e l’Arlecchino di Strehler

  1. Pingback: Il Settecento in Europa | www.letteraturaitalia.it

I commenti sono chiusi.