Approfondimento: l’amore pericoloso: la novella di Alatiel

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430px-Trouillebert-servante_du_harem                                        Paul-Désiré Trouillebert, Servante du Harem, 1874

Nella puntata di Umana Cosa dedicata alla seconda giornata del Decameron, quella delle novelle a lieto fine, Maurizio Fiorilla e David Riondino leggono e spiegano la novella di Alatiel, la bellissima figlia del sultano di Babilonia, che nel corso del viaggio che deve condurla al suo promesso sposo, il re del Garbo, attraversa molte avventure e conosce molti uomini, che per lei perdono la ragione e muoiono. La bellezza e il desiderio sono presentati in questa novella come fonti di distruzione e  morte. Boccaccio riprende l’antica tradizione greca e latina che vedeva l’amore come pericoloso. (a questo link leggi una riflessione su Alatiel e la sua vicenda)
Di seguito sono riportati i passi letti e commentati nella puntata. Per il testo integrale della novella vai a questo link

(link a tutti i podcast della trasmissione)

Seconda giornata settima novella
(…) Già è buon tempo passato che di Babillonia fu un soldano, il quale ebbe nome Beminedab, al quale ne’suoi dì assai cose secondo il suo piacere avvennero. Aveva costui, tra gli altri suoi molti figliuoli e maschi e femine, una figliuola chiamata Alatiel, la quale, per quello che ciascuno che la vedeva dicesse, era la più bella femina che si vedesse in quei tempi nel mondo;
(…)
In su la nona, per avventura da un suo luogo tornando, passò di quindi un gentile uomo, il cui nome era Pericon da Visalgo, con più suoi famigli a cavallo, il quale, veggendo la nave, subitamente imaginò ciò che era e comandò ad un de’ famigli che senza indugio procacciasse di su montarvi e gli raccontasse ciò che vi fosse.(…)
Era Pericone uomo di fiera vista e robusto molto; e avendo per alcun dì la donna ottimamente fatta servire, e per questo essendo ella riconfortata tutta, veggendola esso oltre ad ogni estimazione bellissima, dolente senza modo che lei intendere non poteva né ella lui, e così non poter saper chi si fosse, acceso nondimeno della sua bellezza smisuratamente, con atti piacevoli e amorosi s’ingegnò d’inducerla a fare senza contenzione i suoi piaceri. Ma ciò era niente: ella rifiutava del tutto la sua dimestichezza; e intanto più s’accendeva l’ardore di Pericone.
(…)
Ultimamente, partitisi i convitati, colla donna solo se n’entrò nella camera; la quale, più calda di vino che d’onestà temperata, quasi come se Pericone una delle sue femine fosse, senza alcuno ritegno di vergogna, in presenza di lui spogliatasi, se n’entrò nel letto. Pericone non diede indugio a seguitarla; ma spento ogni lume, prestamente dall’altra parte le si coricò allato, e in braccio recatalasi, senza alcuna contradizione di lei, con lei incominciò amorosamente a sollazzarsi; il che poi che ella ebbe sentito, non avendo mai davanti saputo con che corno gli uomini cozzano, quasi pentuta del non avere alle lusinghe di Pericone assentito, senza attendere d’essere a così dolci notti invitata, spesse volte sé stessa invitava, non colle parole, ché non si sapea fare intendere, ma co’ fatti. (…)
I marinari, avendo buon vento e fresco, fecero vela al lor viaggio. La donna amaramente e della sua prima sciagura e di questa seconda si dolfe molto; ma Marato, col santo Cresci in man che Iddio ci diè, la cominciò per sì fatta maniera a consolare, che ella, già con lui dimesticatasi, Pericone dimenticato avea; (…)
E questo fatto, manifestamente conoscendo sé non esser stati né dalla donna né da altrui sentiti, prese il duca un lume in mano, e quello portò sopra il letto, e chetamente tutta la donna, la quale fisamente dormiva, scoperse; e riguardandola tutta, la lodò sommamente, e se vestita gli era piaciuta, oltre ad ogni comparazione ignuda gli piacque. Per che, di più caldo disio accesosi, non spaventato dal ricente peccato da lui commesso, con le mani ancor sanguinose, allato le si coricò e con lei, tutta sonnocchiosa e credente che il prenze fosse, si giacque.(…)
Mentre queste cose andavano in questa guisa, Osbech, allora re de’ turchi, il quale in continua guerra stava collo imperadore, in questo tempo venne per caso alle Smirre; e quivi udendo come Constanzio in lasciva vita con una sua donna, la quale rubata avea, senza alcun provedimento si stava in Chios, con alcuni legnetti armati là andatone una notte e tacitamente colla sua gente nella terra entrato, molti sopra le letta ne prese prima che s’accorgessero li nemici esser sopravenuti; e ultimamente alquanti, che, risentiti, erano all’arme corsi, n’uccisero; e arsa tutta la terra, e la preda e’prigioni sopra le navi posti, verso le Smirre si ritornarono.
Quivi pervenuti, trovando Osbech, che giovane uomo era, nel riveder della preda, la bella donna, e conoscendo questa esser quella che con Constanzio era stata sopra il letto dormendo presa, fu sommamente contento veggendola; e senza niuno indugio sua moglie la fece e celebrò le nozze e con lei si giacque più mesi lieto. (…)
E sopra la nave montati, data loro una cameretta nella poppa, acciò che i fatti non paressero alle parole contrari, con lei in uno lettuccio assai piccolo si dormiva. Per la qual cosa avvenne quello che né dell’un né dell’altro nel partir da Rodi era stato intendimento, cioè che incitandogli il buio e l’agio e ’l caldo del letto, le cui forze non son piccole, dimenticata l’amistà e l’amor d’Antioco morto, quasi da iguale appetito tirati, cominciatisi a stuzzicare insieme, prima che a Baffa giugnessero, là onde era il cipriano, insieme fecero parentado; e a Baffa pervenuti, più tempo insieme col mercatante si stette.
(…)
– Padre mio, forse il ventesimo giorno dopo la mia partita da voi, per fiera tempesta la nostra nave, sdrucita, percosse a certe piaggie là in ponente, vicine d’un luogo chiamato Aguamorta una notte; e che che degli uomini, che sopra la nostra nave erano, s’avvenisse, io nol so né seppi giammai;(…) Essi, dopo lungo consiglio, postami sopra uno de’ lor cavalli, mi menarono ad uno monastero di donne secondo la lor legge religiose, e quivi, che che essi dicessero, io fui da tutte benignissimamente ricevuta e onorata sempre, e con gran divozione con loro insieme ho poi servito a san Cresci in Val Cava, a cui le femine di quel paese voglion molto bene
. (…)
Di ciò fece il re del Garbo gran festa, e mandato onorevolmente per lei, lietamente la ricevette. Ed essa che con otto uomini forse diecemilia volte giaciuta era, allato a lui si coricò per pulcella, e fecegliele credere che così fosse; e reina con lui lietamente poi più tempo visse. E perciò si disse: – Bocca basciata non perde ventura, anzi rinnuova come fa la luna.

La premessa di Panfilo: il significato “filosofico” della novella
(…)
Malagevolmente, piacevoli donne, si può da noi conoscer quello che per noi si faccia, per ciò che, se come assai volte s’è potuto vedere, molti estimando, se essi ricchi divenissero, senza sollecitudine e sicuri poter vivere, quello non solamente con prieghi a Dio addomandarono, ma sollecitamente, non recusando alcuna fatica o pericolo, d’acquistarle cercarono; e, come che loro venisse fatto, trovarono chi per vaghezza di così ampia eredità gli uccise, li quali avanti che arricchiti fossero amavan la vita loro.
Altri di basso stato per mille pericolose battaglie, per mezzo il sangue de’ fratelli e degli amici loro saliti all’altezza de’ regni, in quegli somma felicità esser credendo, senza le infinite sollecitudini e paure di che piena la videro e sentirono, conobbero, non senza la morte loro, che nell’oro alle mense reali si beveva il veleno.
Molti furono che la forza corporale e la bellezza, e certi gli ornamenti, con appetito ardentissimo disiderarono, né prima d’aver mal disiderato s’avvidero, che essi quelle cose loro di morte essere o di dolorosa vita cagione. (…)
Ma per ciò che, come che gli uomini in varie cose pecchino disiderando, voi, graziose donne, sommamente peccate in una, cioè nel disiderare d’esser belle, in tanto che, non bastandovi le bellezze che dalla natura concedute vi sono, ancora con maravigliosa arte quelle cercate d’accrescere, mi piace di raccontarvi quanto sventuratamente fosse bella una saracina, alla quale in forse quattro anni avvenne per la sua bellezza di fare nuove nozze da nove volte.