Ultime lettere di Jacopo Ortis: “Dopo quel bacio io son fatto divino.”

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Nonostante la vicenda dell’amore di Jacopo e Teresa occupi una parte significativa del romanzo l’amore non è l’argomento principale de Le ultime lettere. Foscolo stesso dichiarò che “l’amore di Ortis è forse la parte meno interessante dell’opera” ed aggiunse che “quando s’abbandona alle sue riflessioni morali l’autore è nel suo proprio elemento”. (Ugo Foscolo Dall’Ortis alle Grazie, a cura di Saverio Orlando, Loescher Editore, Torino, p.1) Nella Notizia bibliografica aggiunta all’edizione di Zurigo Foscolo descrisse le lettere come quelle di un giovane di poco più di vent’anni che voleva “vendicare la patria sua trafficata dai francesi”. (op.cit. p.2) È Foscolo stesso a mettere in primo piano il motivo politico nell’Ortis; è questo il motivo più profondamente autobiografico e che gli sta più a cuore. Quando ragiona di politica Ortis è Foscolo, le sue passioni e idee sono quelle del poeta. La storia d’amore tra Jacopo e Teresa è un pretesto alla moda di cui Foscolo si serve sul modello di uno dei più famosi romanzi dell’epoca I dolori del giovane Werther di Wolfgang Goethe, da cui tra l’altro Foscolo prese sempre le distanze asserendo di non averlo conosciuto ai tempi della prima scrittura delle Lettere. (op.cit. p.1) Le lettere più importanti, tra cui la lettera del 17 marzo e la lettera da Ventimiglia, hanno argomento politico e filosofico. D’altra parte Foscolo quando parla d’amore spesso ne parla in termini filosofici e non come esperienza esistenziale totalizzante  come fa Goethe nei Dolori del giovane Werther. Ortis si suicida anche per amore, ma soprattutto perché è infelice, totalmente disilluso e senza più speranza. La filosofia di Ortis è materialista e pessimista, l’uomo è un atomo in un universo incomprensibile, stritolato in un meccanismo che genera violenza e sopruso, l’unica virtù alla quale si può aggrappare è la compassione a meno che la disperazione non diventi assoluta (frammento del 20 marzo).

15 Maggio
Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuore più compassionevole. Mi pare che tutto s’abbellisca a’ miei sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de’ zefiri fra le frondi son oggi più soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano sotto a’ miei piedi; non fuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Il mio ingegno è tutto bellezza e armonia. Se dovessi scolpire o dipingere la Beltà, io sdegnando ogni modello terreno la troverei nella mia immaginazione. O Amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terra la sacra poesia, solo alimento degli animali generosi che tramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle più tarde generazioni, spronandole con le voci e co’ pensieri spirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccendi ne’ nostri petti la sola virtù utile a’ mortali, la Pietà, per cui sorride talvolta il labbro dell’infelice condannato ai sospiri: e per te rivive sempre il piacere fecondatore degli esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e morte. Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe ingrata; gli animali, nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il Mondo, pianto, terrore e distruzione universale. Adesso che l’anima mia risplende di un tuo raggio, io dimentico le mie sventure; io rido delle minacce della fortuna, e rinunzio alle lusinghe dell’avvenire. – O Lorenzo! sto spesso sdrajato su la riva del lago de’ cinque fonti: mi sento vezzeggiare la faccia e le chiome dai venticelli che alitando sommovono l’erba, e allegrano i fiori, e increspano le limpide acque del lago. Lo credi tu? io delirando deliziosamente mi veggo dinanzi le Ninfe ignude, saltanti, inghirlandate di rose, e invoco in lor compagnia le Muse e l’Amore; e fuor dei rivi che cascano sonanti e spumosi, vedo uscir sino al petto con le chiome stillanti sparse su le spalle rugiadose, e con gli occhi ridenti le Najadi, amabili custodi delle fontane. Illusioni! grida il filosofo. – Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de’ baci delle immortali dive del cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie; che diffondeano lo splendore della divinità su le imperfezioni dell’uomo, e che trovavano il bello ed il vero accarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusioni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor più) nella rigida e nojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele.

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