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Parafrasi A sé stesso di Leopardi

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E.Munch, Notte d’estate, 1889

Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,
Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento. 5
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, né di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. 10
T’acqueta omai. Dispera
L’ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera, 15
E l’infinita vanità del tutto.

Mio stanco cuore ora non batterai più. L’amore,  che pensavo eterno, è morto. Finito. E sento che in me non solo non c’è più speranza ma neppure desiderio.
Fermati per sempre. Hai sofferto abbastanza. Nessuna cosa sulla terra è degna di essere amata. La vita è solo amarezza e noia, il mondo è  privo di senso.
A questo punto rassegnati. Disperati per l’ultima volta. Non ci è stato dato nient’altro all’infuori della morte. Disprezza te stesso, l’esistenza dominata dal male e l’insensatezza  di tutte le cose.

LA MODERNITA’ DI A SE’ STESSO

A sé stesso è il testo più moderno di Leopardi. In che cosa sta la modernità di questa poesia?
La modernità di A sé stesso consiste nella rappresentazione della disperazione di un io in cui il desiderio si è spento. La disperazione di A sé stesso per la “fine del desiderio” non ci scandalizza, né ci è incomprensibile, come invece era incomprensibile e scandalizzava gli uomini dell’Ottocento e del Novecento.
Per lungo tempo il pensiero occidentale, sia filosofico sia religioso, ha avuto come obiettivo la “fine del desiderio”, ovvero il controllo e la repressione del desiderio.
La creazione di un sistema di controllo del desiderio è fondamentale in qualsiasi società. Il sistema più semplice è quello della repressione autoritaria, più complesso ed elitario è quello ideato dalla filosofia greca, ma anche da altre filosofie non occidentali, del controllo consapevole del desiderio (morale stoica, epicurea, pratiche yoga e buddhiste); nella religione cristiana, ma anche in altre religioni, il controllo viene raggiunto attraverso la sostituzione del desiderio con la speranza. In tutte queste soluzioni il desiderio viene svalutato, secondo modalità e con intensità diverse.
Al contrario Leopardi riconosce la naturalità e necessità del desiderio, propone, al posto della svalutazione del desiderio, il desiderio di “cari inganni”, chiamati nell’operetta morale Dialogo di Tristano e di un amico “inganni dell’immaginazione”, come valore per l’individuo e per la società, afferma il dolore e l’infelicità che la fine del desiderio comporta, infelicità ineliminabile in ogni società. Freud nel saggio Il disagio della civiltà afferma “L’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza” (S.Freud, Il disagio della civiltà, Bollati Boringhieri, p.250).

La nostra società ha fatto proprio il riconoscimento della naturalità e necessità del desiderio, la non svalutazione dello stesso e il riconoscimento del prezzo di sofferenza che la repressione del desiderio comporta, ma ha adottato soluzioni sensibilmente diverse rispetto alla valorizzazione del desiderio dei “cari inganni” proposta da Leopardi. L’infelicità, che la repressione e il controllo del desiderio producono nella nostra società, sono “risolti” con la creazione di desideri artificiali, basata su un apparente processo contrario alla svalutazione del desiderio, desideri funzionali al mantenimento della società stessa, ovvero prospettando una felicità illusoria, che Leopardi chiamerebbe “un inganno dell’intelletto”. A questo riguardo in una delle sue ultime interviste Pier Paolo Pasolini affermava di odiare il potere del suo tempo perché lo considerava “un potere che manipola i corpi in un modo orribile, (…) li manipola trasformando la loro coscienza, nel peggiore dei modi, stabilendo nuovi valori che sono alienanti e falsi” ( in Pasolini prossimo nostro, film – intervista di Bernardo Bertolucci).

In A sé stesso la fine del desiderio genera disperazione, rabbia, odio. Il poeta si rivolge al proprio cuore, è questa la metafora che il poeta utilizza per rappresentare il “sé stesso” del titolo (tutti i testi letterari scritti in prima persona fanno credere al lettore che l’autore stia parlando di sé, in realtà l’autore parla di sé come di un personaggio letterario). Per due volte nel componimento (v.6 e v.11 ) il poeta, usando l’imperativo, si rivolge a esso ordinandogli di smettere di soffrire; il poeta vuole che il suo cuore non provi più nulla, ha smesso di desiderare, “il desiderio è spento”, che smetta anche di soffrire. Nel verso 11 con un secondo imperativo il poeta intima al cuore di disperare per l’ultima volta, infine nel verso 13 gli rivolge l’ordine di disprezzare sé stesso, l’esistenza, la sofferenza che tutti subiscono e il nulla che pervade tutto. La richiesta del poeta di smettere di soffrire non può essere soddisfatta, dolore e sofferenza si trasformano in disperazione, frustrazione, rabbia contro sé stessi e il mondo. Le cose non hanno senso in sé “l’infinita vanità del tutto”, il loro senso dipende da noi, se non siamo in grado o non siamo più in grado di dare un senso alle cose, ci rimane solo la disperazione e la rabbia “fango è il mondo” “disprezza te” .
In questo componimento Leopardi rappresenta l’altro volto del desiderio di piacere infinito che muove gli esseri viventi, quello della disperazione più totale e profonda, se “il desiderio è spento”, rimane la disperazione, che è sempre un’ultima disperazione “dispera l’ultima volta”. Catullo, un antico poeta latino aveva condensato un contenuto simile in una brevissima poesia “Odi et amo. Quare id faciam fortasse requiris. Nescio sed fieri sentio et excrucior” (Odio e amo. Perché lo faccia forse mi chiederai. Non lo so ma sento che accade e soffro).

Elio Germano: La Ginestra di Leopardi un inno alla fragilità

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Uom di povero stato e membra inferme
Che sia dell’alma generoso ed alto
Non chiama sé né stima
Ricco d’or né gagliardo, 90
E di splendida vita o di valente
Persona infra la gente
Non fa risibil mostra;
Ma sé di forza e di tesor mendico
Lascia parer senza vergogna, e noma 95
Parlando, apertamente, e di sue cose
Fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto,
Quel che nato a perir, nutrito in pene, 100
Dice, a goder son fatto,
E di fetido orgoglio
Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,
Non pur quest’orbe, promettendo in terra 105
A popoli che un’onda
Di mar commosso, un fiato
D’aura maligna, un sotterraneo crollo
Distrugge sì, che avanza
A gran pena di lor la rimembranza. 110
Nobil natura è quella
Che a sollevar s’ardisce
Gli occhi mortali incontra,
Al comun fato, e che con franca lingua,
Nulla al ver detraendo, 115
Confessa il mal che ci fu dato in sorte,
E il basso stato e frale;
Quella che grande e forte
Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire
Fraterne, ancor più gravi 120
D’ogni altro danno, accresce
Alle miserie sue, l’uomo incolpando
Del suo dolor, ma dà la colpa a quella
Che veramente è rea, che de’ mortali
Madre è di parto e di voler matrigna. 125
Costei chiama inimica; e incontro a questa
Congiunta esser pensando,
Siccome è il vero, ed ordinata in pria
L’umana compagnia,
Tutti fra sé confederati estima 130
Gli uomini, e tutti abbraccia
Con vero amor, porgendo
Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune.

Parafrasi

Un uomo povero e malato
ma di animo generoso e nobile
non si chiama né si ritiene ricco e forte
e non  mostra di avere
una vita splendida o  di essere forte
suscitando il riso tra la gente,
ma si mostra bisognoso di forza
e di ricchezza senza vergognarsi
e parlando riconosce apertamente
il suo stato e lo ammette per quello che è.
Io non credo che sia un uomo di animo
grande, ma che sia invece uno stolto
chi, nato per morire, cresciuto in pene
dice “sono fatto per godere”
e nei suoi scritti pieni di fetido orgoglio
promette agli uomini un grande futuro e
straordinarie felicità, assolutamente
sconosciute in cielo e in terra,
a uomini che invece, un’onda di mare,
un fiato di vento maligno, un crollo
sotterraneo distrugge così che
a mala pena ne rimane il ricordo.
L’uomo forte è quello che ha il coraggio
di guardare in faccia la realtà comune a tutti
e di riconoscere, con sincerità,
senza togliere nulla alla verità
la condizione dolorosa e misera e fragile
che ci è stata assegnata
Quello che sa sopportare
con forza e dignità i dolori e la miseria
e non aggiunge alle sue sofferenze
l’odio e l’ira contro gli altri uomini
incolpandoli del suo male,
ma dà la colpa a quella che è
la vera colpevole, la natura,
che li genera come una madre,
ma li tratta come una matrigna.
Questa è la nemica,
e ritenendo, come effettivamente è, che l’umanità,
è stata  disposta contro di lei,
ritiene tutti gli uomini alleati tra di loro,
si sente unita a tutti da vero amore,
e offre aiuto immediato e valido
e lo aspetta in cambio dagli altri
nei pericoli e nelle angosce
della comune guerra.

Approfondimento: il tempo delle illusioni (il giovane favoloso)

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dato che l’andamento e le usanze e gli avvenimenti e i luoghi di questa mia vita sono ancora infantili, io tengo afferrati con ambe le mani questi ultimi avanzi e queste ombre di quel benedetto e beato tempo, dov’io sperava e sognava la felicità, e sperando e sognando la godeva, ed è passato né tornerà mai più, certo mai più; vedendo con eccessivo terrore che insieme colla fanciullezza è finito il mondo e la vita per me e per tutti quelli che pensano e sentono; sicché non vivono fino alla morte se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita
Lettera a Pietro Giordani novembre 1819

Quando novellamente
Nasce nel cor profondo
Un amoroso affetto,
Languido e stanco insiem con esso in petto
Un desiderio di morir si sente:
Come, non so: ma tale
D’amor vero e possente è il primo effetto.
Forse gli occhi spaura
Allor questo deserto
Amore e morte (vv.27-35)

Approfondimento: Leopardi, l’infinito e la teoria del piacere

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L’INFINITO
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani 5
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce 10
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare. 15

La teoria del piacere
Nelle pagine 165-183 dello Zibaldone scritte tra il 12 e il 23 luglio del 1820 Leopardi presenta quella che chiama la “teoria del piacere”.
L’uomo desidera il piacere, ossia la felicità. Questo desiderio è infinito perché è congenito alla vita e termina con lei. Nessun piacere terreno ha però carattere infinito, tutte le cose terrene sono limitate in durata ed estensione. L’uomo desidera un piacere illimitato senza potere raggiungerlo mai.

[165] Il sentimento della nullità di tutte le cose, la in-
sufficienza di tutti i piaceri a riempierci l’animo, e la ten-
denza nostra verso un infinito che non comprendiamo,
forse proviene da una cagione semplicissima, e più mate-
riale che spirituale. L’anima umana (e così tutti gli esseri
viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unica-
mente, benchè sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla
felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere.
Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perché è
ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può aver
fine in questo o quel piacere che non può essere infinito,
ma solamente termina colla vita. E non ha limiti 1. nè per
durata, 2. nè per estensione. Quindi non ci può essere
nessun piacere che uguagli 1. nè la sua durata, perchè
nessun piacere è eterno, 2. nè la sua estensione, perchè
nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta
che tutto esista limitatamente e tutto abbia confini, e sia
circoscritto. (…) Se tu desideri un cavallo, ti pare di desiderarlo come cavallo,
e come
un tal piacere, ma in fatti lo desideri come piacere astratto e
illimitato. Quando giungi a possedere il cavallo,[166]trovi
un piacere necessariamente circoscritto, e senti un vuoto
nell’anima, perchè quel desiderio che tu avevi effettiva-
mente, non resta pago. (…) E perciò tutti i piaceri debbono esser misti
di dispiacere, come proviamo, perchè l’anima nell’otte-
nerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè
una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desi-
derio illimitato.(Zib. 165-166)

Leopardi osserva che nell’uomo esiste una facoltà di immaginazione capace di immaginare piaceri infiniti perciò grazie a essa il piacere infinito che non si trova nella realtà si trova nell’immaginazione, che produce speranza e illusioni. Questa facoltà opera nel poeta che crea poesie con parole e immagini indefinite e opera nel lettore che prova piacere in queste immagini e parole.

“Veniamo alla inclinazione dell’uomo all’infinito. Indipendentemente dal desiderio del piacere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono. Considerando la tendenza innata dell’uomo al piacere, è naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esistano, e figurarseli infiniti 1. in numero, 2. in durata, 3. e in estensione. Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni ec. Perciò non è maraviglia 1. che la speranza sia sempre maggior del bene, 2. che la felicità umana non possa consistere se non se nella immaginazione e nelle illusioni.” (Zib.167-168)

Eugenio Scalfari: Francesco, Obama e Leopardi

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QUELLE PAROLE DI FRANCESCO E OBAMA ALLA COSCIENZA DEL MONDO

OBAMA ha sottolineato l’innalzamento di muri che chiudono il varco al movimento mentre a suo giudizio bisognerebbe costruire ponti che consentano la comunicazione tra diversi interessi e diverse civiltà.

Francesco ha incitato alla fratellanza delle Religioni condannando il fondamentalismo ed ha per l’ennesima volta ricordato che c’è un Dio unico anche se diverse sono le Scritture, le dottrine e la storia che ne deriva. Il Dio è unico ed unico è dunque il punto di arrivo dei credenti, ma non solo: la grazia di quel Dio tocca tutte le anime, credenti e non credenti che siano, purché la loro scelta di vita sia il bene degli altri oltre che legittimamente anche il proprio. Ama il tuo prossimo come te stesso: questa massima cristiana, se praticata, unifica credenti e non credenti, afferma con altre parole la necessità dei ponti da costruire auspicati da Obama, per superare gli abusi e i soprusi mobilitando tutti gli uomini e le donne di buona volontà a battersi per la pace e per l’amore contro la guerra e il potere.

Alcune citazioni sono necessarie per esser certi che l’interpretazione dei due interventi sia corretta. Cominciamo dal presidente Obama: « Troppi governi reprimono il dissenso con la violenza. Reti terroristiche mettono in pericolo società aperte e alimentano la rabbia nei confronti di immigrati innocenti. Questi stati d’animo caratterizzano purtroppo il mondo di oggi. Visioni alternative prendono piede in Paesi ricchi come in quelli più poveri. Non credo che sul lungo periodo queste idee possano generare ricchezza e benessere. La risposta non può essere quella di circondarsi di muri e di respingere l’integrazione globale ma anzi far sì che quella integrazione sia la più condivisa possibile. Non credo che in Usa e in Europa il nostro progresso sia possibile se il nostro desiderio di tutelare le identità darà il via alla disunità e agli istinti di dominare sugli altri gruppi. Il mondo è troppo piccolo e noi troppo connessi perché si possa tornare a mentalità di così vecchio stampo.

Gli imperi, dei quali noi siamo stati l’ultimo, sono ormai scomparsi. Ora dobbiamo sostenere tutti insieme l’impegno alla cooperazione internazionale. Io credo che tutti noi, e le Nazioni Unite qui convocate, dobbiamo rispecchiare questa inviolabile verità » .
Ed ora due parole di papa Francesco al raduno delle Religioni al convento di Assisi del cui Santo porta il nome. Ho l’onore d’essere amico di Sua Santità e un giorno gli chiesi perché avesse scelto quel nome che nessuno dei suoi predecessori ha mai adottato. In fondo poteva scegliere il nome di Ignazio, che fondò l’Ordine dei Gesuiti dal quale papa Bergoglio proviene: anch’esso non era mai stato usato. « Vede — mi disse — Ignazio qualche volta ebbe dei momenti di misticismo, furono intensi ma rari. Francesco invece fu un mistico permanente, anche quando faceva tante altre cose pratiche, ma parte del suo sé era sempre identificato col Signore. Io non sono mistico ma il misticismo mi affascina e perciò ho scelto quel nome » .

In realtà e a suo modo è un mistico anche lui. Un mistico moderno e infatti la sua opera è modernizzare la Chiesa, costruire ponti tra la preghiera e la società moderna. L’intento è quello di integrare le varie religioni in nome dell’unico Dio ma contemporaneamente integrare la verità assoluta con il relativismo della modernità. Il fine ultimo è la scelta tra la Misericordia e la pace contro la guerra e il potere. Ed ora citiamo alcuni punti essenziali del suo intervento ad Assisi: « Cari fratelli. Dio ci esorta ad affrontare insieme la grande malattia del nostro tempo: l’indifferenza. È un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che interessa il centro stesso della religiosità generando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo dell’indifferenza. Non possiamo restare indifferenti in un mondo che ha un’ardente sete di pace. In molti Paesi si soffre per guerre spesso dimenticate ma sempre causa di sofferenze e di povertà. Penso a famiglie che nella vita non hanno conosciuto altro che violenza, ad anziani costretti a lasciare le loro terre. Non vogliamo che queste tragedie cadano nell’oblio. Noi desideriamo dar voce a quanti soffrono, a quelli senza voce e senza ascolto. Essi sanno bene, spesso meglio dei potenti, che non c’è nessun domani nella guerra e che la violenza delle armi distrugge la gioia della vita.

Noi non abbiamo armi. Crediamo più nella forma mite ed umile della preghiera e perciò tutti insieme invochiamo Dio perché cessino guerre, terrorismo e violenza. Cerchiamo in Dio l’acqua limpida della pace di cui l’umanità è assetata. Essa non può scaturire dai deserti dell’orgoglio e degli interessi di parte, dalle terre avide del guadagno a tutti i costi e del commercio delle armi. Oggi non abbiamo pregato — noi di tutte le religioni — gli uni contro gli altri come purtroppo talvolta è avvenuto nella Storia. Ma tutti insieme per la pace dei corpi e delle anime. Noi qui, insieme e in pace, crediamo e speriamo in un mondo fraterno. Desideriamo che uomini e donne di religioni differenti, ovunque si riuniscano, creino concordia specie dove ci sono conflitti. Il nostro futuro è vivere insieme. Per questo siamo chiamati a liberarci dai pesanti fardelli della diffidenza, dei fondamentalismi e dell’odio.

Ci rivolgiamo anche a chi ha la responsabilità più alta nel servizio dei Popoli, ai leader delle Nazioni, perché non si stanchino di cercare e promuovere vie di pace, guardando al di là degli interessi di parte e del momento: non rimangano inascoltati l’appello di Dio alle coscienze il grido di pace dei poveri e le attese delle giovani generazioni. Oggi è veramente una giornata di preghiera, di penitenza, di pianto per la pace: è una giornata per sentire il grido del povero che ci apre il cuore alla misericordia, all’amore e ci salva dall’egoismo » .

Francesco e Obama hanno parlato alla coscienza del mondo. Ma noi tutti, Stati, politici, individui, abbiamo coscienza? O siamo ottusi dall’indifferenza e dall’egoismo? Questo è il problema che ogni giorno spunta e con il quale ci confrontiamo. Speranza nel futuro. Lo diceva Leopardi, anche se il suo pensiero lo rimosse per tutta la sua vita. Nei suoi Canti tuttavia speranza e malinconia si fusero insieme. Cerchiamo di comprendere e forse il mondo migliorerà.

” Entrambi i discorsi chiedono di lottare contro la violenza per far trionfare la pace, la libertà e l’uguaglianza”