Approfondimento: le grandi beffe, Peronella e maestro Simone

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Ascoltiamo la puntata di Umana Cosa (trasmissione RAI del 2013 in occasione dei settecento anni dalla nascita di Boccaccio)  dedicata alle giornate delle beffe. Alle beffe nel Decameron sono dedicate due giornate, la settima e la ottava, novelle di beffa si trovano anche in molte altre  giornate. Come dice Dario Fo, alla fine della puntata di Umana Cosa dedicata alle novelle di beffa, di fronte alla morte non c’è altra soluzione che ridere e ironizzare, fare gioco di sfottò, in una lotta furente contro la disperazione e l’angoscia.
Di seguito sono riportati i passi letti e commentati nella puntata. Per il testo integrale delle novelle vai a questi:  link per la novella di Peronella, link per la novella di maestro Simone.

(link a tutti i podcast della trasmissione)

Incomincia la settima giornata nella quale, sotto il reggimento di Dioneo,
si ragiona delle beffe, le quali, o per amore o per salvamento di loro,
e donne hanno già fatte a’ lor mariti, senza essersene avveduti o sì.

Introduzione alla settima giornata
Né ancora spuntavano li raggi del sole ben bene, quando tutti entrarono in cammino; né era ancora lor paruto alcuna volta tanto gaiamente cantar gli usignuoli e gli altri uccelli, quanto quella mattina pareva; da’ canti de’ quali accompagnati infino nella Valle delle Donne n’andarono, dove da molti più ricevuti, parve loro che essi della loro venuta si rallegrassero.

Conclusione della sesta giornata
(…) In questo adunque venute le giovani donne, poi che per tutto riguardato ebbero e molto commendato il luogo, essendo il caldo grande e vedendosi il pelaghetto davanti e senza alcun sospetto d’esser vedute, diliberaron di volersi bagnare. E comandato alla lor fante che sopra la via per la quale quivi s’entrava dimorasse e guardasse se alcun venisse e loro il facesse sentire, tutte e sette si spogliarono e entrarono in esso, il quale non altramenti li lor corpi candidi nascondeva che farebbe una vermiglia rosa un sottil vetro.

Settima giornata seconda novella
Peronella mette un suo amante in un doglio, tornando il marito a casa; il quale avendo il marito venduto, ella dice che venduto l’ha ad uno che dentro v’è a vedere se saldo gli pare. Il quale saltatone fuori, il fa radere al marito, e poi portarsenelo a casa sua.

(…) Egli non è ancora guari che in Napoli un povero uomo prese per moglie una bella e vaga giovinetta chiamata Peronella, e esso con l’arte sua, che era muratore, e ella filando, guadagnando assai sottilmente, la lor vita reggevano come potevano il meglio.
(…) “O Iddio, lodato sia tu sempre, ché, benché tu m’abbi fatto povero, almeno m’hai tu consolato di buona e d’onesta giovane di moglie! Vedi come ella tosto serrò l’uscio dentro, come io ci usci’, acciò che alcuna persona entrar non ci potesse che noia le desse.”
(…) “Oimè! Giannel mio, io son morta, ché ecco il marito mio, che tristo il faccia Iddio, che ci tornò: e non so che questo si voglia dire, ché egli non ci tornò mai più a questa otta: forse che ti vide egli quando tu c’entrasti! Ma per l’amore di Dio, come che il fatto sia, entra in cotesto doglio che tu vedi costì, e io gli andrò a aprire, e veggiamo quello che questo vuol dire di tornare stamane così tosto a casa.”
(…) “Ora questa che novella è, che tu così tosto torni a casa stamane? Per quello che mi paia vedere, tu non vuogli oggi far nulla, ché io ti veggio tornare co’ ferri tuoi in mano: e se tu fai così, di che viverem noi? onde avrem noi del pane? Credi tu che io sofferi che tu m’impegni la gonnelluccia e gli altri miei pannicelli, che non fo il dì e la notte altro che filare, tanto che la carne mi s’è spiccata dall’unghia, per potere almeno aver tanto olio, che n’arda la nostra lucerna? Marito, marito, egli non ci ha vicina che non se ne maravigli e che non facci beffe di me, di tanta fatica quanta è quella che io duro: e tu mi torni a casa colle mani spenzolate quando tu dovresti essere a lavorare.”
(…) “Deh! donna, non ti dar malinconia, per Dio! egli è il vero che io andai per lavorare, ma egli mostra che tu nol sappi, come io medesimo nol sapeva. Egli è oggi la festa di santo Galeone e non si lavora, e per ciò mi sono tornato a questa ora a casa; ma io ho nondimeno proveduto e trovato modo che noi avremo del pane per più d’un mese, ché io ho venduto a costui, che tu vedi qui con meco, il doglio, il qual tu sai che già è cotanto ha tenuta la casa impacciata; e dammene cinque gigliati.”
(…) “E tutto questo è del dolor mio: tu, che se’ uomo e vai attorno e dovresti sapere delle cose del mondo, hai venduto un doglio cinque gigliati, il quale io feminella che non fu’ mai appena fuor dell’uscio, veggendo lo ’mpaccio che in casa ci dava, l’ho venduto sette a un buon uomo, il quale, come tu qui tornasti, v’entrò dentro per vedere se saldo fosse.”
(…) E Peronella, quasi veder volesse ciò che facesse, messo il capo per la bocca del doglio, che molto grande non era, e oltre a questo l’un de’ bracci con tutta la spalla, cominciò a dire: “Radi quivi e quivi e anche colà” e “Vedine qui rimaso un micolino.”
E mentre che così stava e al marito insegnava e ricordava, Giannello, il quale appieno non aveva quella mattina il suo disidero ancor fornito quando il marito venne, veggendo che come volea non potea, s’argomentò di fornirlo come potesse; e a lei accostatosi, che tutta chiusa teneva la bocca del doglio, e in quella guisa che negli ampi campi gli sfrenati cavalli e d’amor caldi le cavalle di Partia assaliscono, a effetto recò il giovinil desiderio; il quale quasi in un medesimo punto ebbe perfezione e fu raso il doglio, e egli scostatosi e la Peronella tratto il capo del doglio e il marito uscitone fuori.

Comincia l’ottava giornata, nella quale, sotto il reggimento di Lauretta, si ragiona di quelle beffe che tutto il giorno o donna ad uomo,o uomo a donna, o l’uno uomo all’altro si fanno.

Ottava giornata nona novella.
Maestro Simone medico, da Bruno e da Buffalmacco, per esser fatto d’una brigata che va in corso, fatto andar di notte in alcun luogo, è da Buffalmacco gittato in una fossa di bruttura e lasciatovi.

(…) Sì come noi veggiamo tutto il dì, i nostri cittadini da Bologna ci tornano qual giudice e qual medico e qual notaio, co’ panni lunghi e larghi e con gli scarlatti e co’ vai e con altre assai apparenze grandissime, alle quali come gli effetti succedano anche veggiamo tutto giorno. Tra’ quali un maestro Simone da Villa, più ricco di ben paterni che di scienza, non ha gran tempo, vestito di scarlatto e con un gran batalo, dottor di medicine, secondo che egli medesimo diceva, ci ritornò, e prese casa nella via la quale noi oggi chiamiamo la Via del Cocomero.
(…) Ma sopra tutti gli altri piaceri che vi sono si è quello delle belle donne, le quali subitamente, pur che l’uom voglia, di tutto il mondo vi son recate. Voi vedreste quivi la donna de’ barbanicchi, la reina de’ baschi, la moglie del soldano, la ’mperadrice d’Osbech, la ciancianfera di Norrueca, la semistante di Berlinzone e la scalpedera di Narsia. Che vi vo io annoverando? E’ vi sono tutte le reine del mondo, io dico infino alla schinchimurra del Presto Giovanni; or vedete oggimai voi! Dove, poi che hanno bevuto e confettato, fatta una danza o due, ciascuna con colui a cui stanza v’è fatta venire se ne va nella sua camera.
(…) De’ suoi baroni si veggon per tutto assai, sì come è il Tamagnin dalla Porta, don Meta, Manico di Scopa, lo Squacchera e altri, li quali vostri dimestichi credo che sieno ma ora non ve ne ricordate. A così gran donna adunque, lasciata star quella da Cacavincigli, se ’l pensier non c’inganna, vi metterem nelle dolci braccia.”
(…) E dicovi che io, per venirvi bene orrevole, mi metterò la roba mia dello scarlatto con la quale io fui conventato: e vedrete se la brigata si rallegrerà quando mi vedrà e se io sarò fatto a mano a man capitano. Vedrete pure come l’opera andrà quando io vi sarò stato, da che, non avendomi ancora quella contessa veduto, ella s’è sì innamorata di me che ella mi vuol fare cavalier bagnato: e forse che la cavalleria mi starà così male, e saprolla così mal mantenere o pur bene! Lascerete pur far me!”
(…) Buffalmacco, il quale era grande e atante della persona, ordinò d’avere una di queste maschere che usare si soleano a certi giuochi li quali oggi non si fanno; e messosi indosso un pillicion nero a rivescio, in quello s’acconciò in guisa che pareva pure un orso, se non che la maschera aveva viso di diavolo e era cornuta.
(…) Il maestro, sì come quegli che tutto tremava di paura, non sapeva che farsi, se sù vi salisse o se si stesse. Ultimamente, temendo non gli facesse male se sù non vi salisse, con la seconda paura cacciò la prima: e sceso dello avello, pianamente dicendo “Dio m’aiuti!” sù vi sali e acconciossi molto bene; e sempre tremando tutto si recò con le mani a star cortese, come detto gli era stato.
(..)Allora Buffalmacco pianamente s’incominciò a dirizzare verso Santa Maria della Scala, e andando carpone infino presso le donne di Ripole il condusse. Erano allora per quella contrada fosse, nelle quali i lavoratori di quei campi facevan votare la contessa a Civillari per ingrassare i campi loro. Alle quali come Buffalmacco fu vicino, accostatosi alla proda d’una e preso tempo, messa la mano sotto all’un de’ piedi del medico e con essa sospintosi da dosso, di netto col capo innanzi il gittò in essa e cominciò a ringhiar forte e a saltare e a imperversare e a andarsene lungo Santa Maria della Scala verso il prato d’Ogni santi, dove ritrovò Bruno che per non poter tener le risa fuggito s’era: e ammenduni festa faccendosi di lontan si misero a veder quello che il medico impastato facesse.
(…) Né prima, essendo egli entrato dentro così putente, fu l’uscio riserrato, che Bruno e Buffalmacco furono ivi per udire come il maestro fosse dalla sua donna raccolto. Li quali stando a udir, sentirono alla donna dirgli la maggior villania che mai si dicesse a niun tristo, dicendo: “Deh, come ben ti sta! Tu eri ito a qualche altra femina e volevi comparire molto orrevole con la roba dello scarlatto. Or non ti bastava io? Frate, io sarei sofficiente a un popolo, non che a te. Deh, or t’avessono essi affogato, come essi ti gittarono là dove tu eri degno d’esser gittato! Ecco medico onorato, aver moglie e andar la notte alle femine d’altrui!”
(…) Poi la mattina vegnente Bruno e Buffalmacco, avendosi tutte le carni dipinte soppanno di lividori a guisa che far soglion le battiture, se ne vennero a casa del medico e trovaron lui già levato; e entrati dentro a lui, sentirono ogni cosa putirvi, ché ancora non s’era sì ogni cosa potuta nettare, che non vi putisse. E sentendo il medico costor venire a lui, si fece loro incontro dicendo che Idio desse loro il buon dì; al quale Bruno e Buffalmacco, sì come proposto aveano, risposero con turbato viso: “Questo non diciam noi a voi, anzi preghiamo Idio che vi dea tanti malanni, che voi siate morto a ghiado, sì come il più disleale e il maggior traditor che viva, per ciò che egli non è rimaso per voi, ingegnandoci noi di farvi onore e piacere, che noi non siamo stati morti come cani. E per la vostra dislealtà abbiamo stanotte avute tante busse, che di meno andrebbe uno asino a Roma: senza che noi siamo stati a pericolo d’essere stati cacciati della compagnia nella quale noi avavamo ordinato di farvi ricevere. E se voi non ci credete, ponete mente le carni nostre come elle stanno”; e a un cotal barlume, apertisi i panni dinanzi, gli mostrarono i petti loro tutti dipinti e richiusongli senza indugio.
(…) Così adunque, come udito avete, senno s’insegna a chi tanto non apparò a Bologna.