Gerusalemme liberata: combattimento di Tancredi e Clorinda, canto XII ottave 52-69

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Achille e Pentesilea, Riproduzione di un tondo of an Attic red-figure kylix, 470–460 BC. From Vulci.

Achille e Pentesilea, Tondo di una kylix attica a figure rosse , 470–460 BC.  da Vulci

Nel campo cristiano e nella città di Gerusalemme è scesa la notte, gli uomini abbandonano le loro opere e si addormentano. Solo Clorinda accompagnata da Argante si aggira inquieta e insoddisfatta per non aver preso parte, come Argante e Solimano, allo scontro diretto con il nemico ed essere rimasta a scagliare le sue frecce dall’alto delle mura. Si è comportata da donna e non da valorosa guerriera. Mentre rimugina tra sé, pensa di compiere una grande impresa, vuole recarsi nell’accampamento cristiano per dare fuoco alla grande torre, comunica la sua intenzione ad Argante, che vuole accompagnarla. Entrambi si recano dal re Aladino. Solimano vorrebbe prendere parte all’impresa ma si stabilisce che rimarrà nella città pronto a intervenire in caso di necessità.
Clorinda non indossa la sua armatura chiara ma una nera e rugginosa, che meglio la nasconda nell’oscurità della notte.
Prima dell’impresa, Arsete, l’eunuco che l’ha allevata, le racconta la storia della sua infanzia.
Clorinda è figlia di Senapo , re degli Etiopi, egli è cristiano e lo è anche la regina. Il re e la regina sono  neri, ma Clorinda è di pelle bianca, la regina, temendo la gelosia del marito, la abbandona, affidandola ad Arsete. Questi porta in salvo la bambina, ma non la battezza, come gli aveva detto di fare la regina. Clorinda cresce pagana e ignara delle sue origini. Arsete è ora in preda al dubbio, ha paura per Clorinda, in sogno gli è apparso un guerriero che ha predetto un cambiamento per Clorinda, l’eunuco la esorta ad abbandonare la pericolosa impresa.
Clorinda non si spaventa, non cambierà fede né rinuncerà a compiere l’impresa.
La guerriera raggiunge Argante, insieme escono dalla città e si dirigono verso l’alta torre. Le danno fuoco, ma vengono attaccati da due squadre di soldati cristiani, la torre crolla distrutta e i due pagani si ritirano velocemente verso la città, la porta Aurea, posta a oriente, è stata aperta, ma mentre Argante entra, Clorinda, attardatasi a colpire un soldato, rimane chiusa fuori. Si nasconde tra i nemici, nessuno si è accorto di lei, tranne Tancredi, che l’ha vista mentre colpiva il suo compagno e ha deciso di seguirla e sfidarla, crede che sia un cavaliere, l’armatura nera gli impedisce di riconoscerla.
Clorinda si dirige verso un’altra porta di Gerusalemme per poter rientrare nella città, Tancredi impetuoso la insegue, Clorinda al suono delle armi del nemico si volta, i due si sfidano a duello.
È un duello feroce e mortale, alla fine Tancredi trafigge la guerriera immergendo di punta la spada nel seno della donna. Clorinda, morendo, chiede a Tancredi di battezzarla.
Tancredi prende dell’acqua da un piccolo rivo che scorre poco lontano, e per battezzare Clorinda le toglie l’elmo, allora la riconosce e rimane immobile e senza voce, sconvolto per avere ucciso la donna amata, la battezza e Clorinda muore. Anche Tancredi è sul punto di morire per le ferite e la disperazione, ma giunge uno stuolo di soldati Franchi, che raccoglie il cavaliere e la donna e li porta all’accampamento.
Quando riprende i sensi il cavaliere invoca la morte e si preoccupa di Clorinda abbandonata, ma gli viene detto che il corpo della donna è stato portato al campo.
Di fronte a Clorinda morta Tancredi sviene, ricondotto alla sua tenda viene confortato dai cavalieri amici accorsi presso di lui, ma a nulla valgono le parole dei compagni, il suo dolore è troppo forte. Ma Pietro l’Eremita rimprovera Tancredi con parole dure, la morte di Clorinda è provvidenziale, è un segno del Cielo mandato perché Tancredi si ravveda, e ritorni al suo dovere di soldato cristiano, tradito per amore di una pagana.
Lentamente il cavaliere riprende le forze e abbandona la sua disperazione, Clorinda gli appare in sogno più bella che da viva, è in paradiso, spera che Tancredi la raggiungerà, lei lo ama e lo aspetta. Consolato Tancredi si risveglia, e fa seppellire il corpo di Clorinda. Piangendo sulla tomba della donna prega di poter essere sepolto con lei. La notizia della morte di Clorinda viene conosciuta in Gerusalemme, c’è grande dolore per lei, Argante giura di vendicarla e di uccidere Tancredi, ma il suo giuramento sarà vano, sarà Tancredi a uccidere Argante.
Tasso si ispira per l’episodio di Tancredi che uccide Clorinda in duello a un antico poema greco intitolato Posthomerica del poeta Quinto Smirneo del IV secolo d.C.. Nel primo libro del poema il poeta narra il duello tra Achille e Pentesilea, la regina delle Amazzoni, giunta a Troia per combattere a fianco dei Troiani contro i Greci. I due si combattono con ferocia e Achille uccide Pentesilea. Quando vede la donna morta in terra senza elmo e ancora bella prova un grande dolore come quello provato per la morte del suo amico Patroclo. Nell’episodio narrato nella Gerusalemme Tasso accentua il motivo erotico, che nell’episodio antico è appena accennato alla fine del duello, e introduce il motivo religioso del battesimo della donna.


canto XII ottave 52-69
52
Vuol ne l’armi provarla: un uom la stima
degno a cui sua virtú si paragone.
Va girando colei l’alpestre cima
verso altra porta, ove d’entrar dispone.
Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avien che d’armi suone,
ch’ella si volge e grida: «O tu, che porte,
che corri sí?» Risponde: «E guerra e morte.»
53
«Guerra e morte avrai;» disse «io non rifiuto
darlati, se la cerchi», e ferma attende.
Non vuol Tancredi, che pedon veduto
ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna l’uno e l’altro il ferro acuto,
ed aguzza l’orgoglio e l’ire accende;
e vansi a ritrovar non altrimenti
che duo tori gelosi e d’ira ardenti.
(…)
64
Ma ecco omai l’ora fatale è giunta
che ’l viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s’immerge e ’l sangue avido beve;
e la veste, che d’or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e leve,
l’empie d’un caldo fiume. Ella già sente
morirsi, e ’l piè le manca egro e languente.
65
Segue egli la vittoria, e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme;
parole ch’a lei novo un spirto ditta,
spirto di fé, di carità, di speme:
virtú ch’or Dio le infonde, e se rubella
in vita fu, la vuole in morte ancella.
66
«Amico, hai vinto: io ti perdon… perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a l’alma sí; deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch’ogni mia colpa lave.»
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch’al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.
67
Poco quindi lontan nel sen del monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli v’accorse e l’elmo empié nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentí la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe, e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!
68
Non morí già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l’acqua a chi co ’l ferro uccise.
Mentre egli il suon de’ sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: «S’apre il cielo; io vado in pace.»
69
D’un bel pallore ha il bianco volto asperso,
come a’ gigli sarian miste viole,
e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
sembra per la pietate il cielo e ’l sole;
e la man nuda e fredda alzando verso
il cavaliero in vece di parole
gli dà pegno di pace. In questa forma
passa la bella donna, e par che dorma.