Il servitore di due padroni e l’Arlecchino di Giorgio Strehler

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Il servitore di due padroni è una celebre  opera di Carlo Goldoni, scritta nel 1745.
Seguendo la tradizione della Commedia dell’Arte, Goldoni scrisse l’opera in forma di canovaccio per l’attore Antonio Sacchi, o Sacco, il quale, secondo l’uso del tempo, recitava all’improvviso.
Questo famoso attore impersonava con il nome di Truffaldino il secondo zani, ovvero servo, della Commedia dell’Arte. In seguito il nome di Truffaldino venne sostituito con quello di Arlecchino, il nome più famoso e noto del secondo servo della commedia italiana e con questo nome il personaggio della commedia è ora chiamato. Al centro della commedia troviamo Arlecchino, servo di due padroni, che, per non svelare il suo inganno e per perseguire il suo unico intento, ovvero mangiare a sazietà, intreccia la storia all’inverosimile e crea continuamente equivoci e guai. Il servitore di due padroni è un’opera di intrattenimento, comica e divertente che ebbe fin dalle sue prime rappresentazioni un grande successo di pubblico.

L’ARLECCHINO DI GIORGIO STREHLER.
Giorgio Strehler nato a Trieste il 14 agosto del 1921, è stato un importante regista teatrale italiano. Strehler  fondò insieme a Nina Vinchi e Paolo Grassi il Piccolo Teatro di Milano,  inaugurato il 14 maggio del 1947 con lo spettacolo L’albergo dei poveri di Maxim Gorki.
Strehler ha messo in scena tutti i principali drammaturghi italiani ed europei. Tra i suoi più importanti spettacoli ricordiamo, oltre all’Arlecchino servitore di due padroni, il più longevo dei suoi allestimenti,  La trilogia della villeggiatura e Le baruffe chiozzotte sempre di Goldoni, Il flauto magico e Così fan tutte di Mozart, L’anima buona di Sezuan , Opera da tre soldi e Vita di Galileo di Brecht, Re Lear e La tempesta di Shakespeare, Il giardino dei ciliegi di Checov, I giganti della montagna di Pirandello, L’ultimo nastro di Krapp di Beckett. Ha pubblicato saggi e testi autobiografici, tra cui Per un teatro umano, raccolta di scritti vari sul teatro pubblicato nel 1974.
Morì a Lugano il 25 dicembre del 1997 durante le prove dello spettacolo Così fan tutte.

 Il Servitore di due padroni di Goldoni fu rappresentata sia nei teatri italiani sia in quelli europei più volte sempre con successo. Giorgio Strehler mette in scena la commedia da lui rinominata Arlecchino servitore di due padroni al Piccolo Teatro di Milano nel luglio del 1947 come ultimo spettacolo della prima stagione del nuovo teatro milanese.
L’Arlecchino era lo spettacolo allegro e spensierato dopo gli spettacoli seri e impegnati.
Lo spettacolo di Strehler è stato rappresentato, in più di duemila repliche, nei teatri di moltissime città di tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Cina
Due i grandi attori che hanno interpretato l’Arlecchino di Strehler, Mario Moretti e Ferruccio Soleri, che tuttora interpreta il personaggio nello spettacolo che stagione dopo stagione continua ad andare in scena al Piccolo di Milano.(Piccolo teatro)
A questo spettacolo Strehler rimase per tutta la vita profondamente legato e non smise di rimetterlo in scena fino all’anno della sua morte nel 1997 in occasione del cinquantenario della fondazione del Piccolo Teatro di Milano.
Dagli archivi del Piccolo riportiamo uno stralcio dagli appunti di regia che Strehler scriveva per i programmi di sala dello spettacolo. archivio.piccoloteatro.org

Riflessioni sullo spettacolo pubblicate sul programma di sala in occasione della tournée in America Latina del 1954 di Giorgio Strehler
Un segno di continuità.
Recitato per la prima volta dal Piccolo Teatro nel corso del suo primo anno di vita, Il servitore di due padroni di Carlo Goldoni (da noi poi chiamato Arlecchino servitore di due padroni, per indicare più chiaramente ai pubblici stranieri il carattere della commedia) è diventato, a poco a poco, il segno della continuità ideale del nostro lavoro e al tempo stesso una bandiera.
Sette anni fa, il nostro Arlecchino segnava in Europa, alla fine di una sanguinosa guerra che aveva ceduto il suo inevitabile debito di sconforto e di disperazioni per tanti, il ritrovamento di alcuni eterni valori di poesia e al tempo stesso di un messaggio di fiducia per gli uomini, attraverso la liberazione del riso più aperto, del gioco più puro. Era il teatro che, con i suoi attori, ritornava (o tentava di ritornare) alle fonti primitive di un avvenimento scenico dimenticato, attraverso le vicende della storia, e indicava un cammino di semplicità, di amore e di solidarietà ai pubblici contemporanei. Era il teatro che riscopriva (se così si può dire) una sua epoca gloriosa: la Commedia dell’Arte, non più come un fatto intellettuale, ma come un esercizio di vita presente, operante. Questo forse fu il punto che più chiaramente distinse la nostra fatica da quella di tanti altri interpreti che ci avevano preceduto sulla stessa strada.
(…)
Il mondo degli equivoci si muove vertiginosamente attorno alla figura misteriosa ed eterna di Arlecchino. Si varcano qui i limiti del logico e del possibile. L’assurdo nella sua forza più piena ed assoluta entra sul palcoscenico e non spaventa. Anzi ci trasporta in un mondo più facile, in cui tutti i nodi si sciolgono e infine ci trascina nell’empireo del grande teatro comico che è tutto un inno gioioso di liberazione e di felicità di esistere.
Abbandonarsi a questa “felicità”, senza peso e senza tempo, è tutto quello che noi chiediamo a noi stessi e a coloro che ci ascoltano.
Sappiamo che quando un tale miracolo avviene si accende, se pur per un attimo, nel nostro cuore una scintilla che lascia la sua incancellabile traccia di calore e di umanità.