In morte del fratello Giovanni

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Nel dicembre del 1801 moriva a Venezia il fratello minore di Foscolo, Giovanni, forse suicida per debiti di gioco, due anni dopo il poeta gli dedica questo famoso sonetto.

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente1; mi vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de’ tuoi gentili anni2 caduto.

La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo;
E se da lunge3 i miei tetti saluto,

Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta;
E prego anch’io nel tuo porto4 quiete:

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta5.

1 In questi primi versi del sonetto Foscolo richiama l’inizio del carme CI di Catullo scritto per il fratello morto “Multas per gentes et multa per aequora vectus advenio has miseras frater, ad inferias ut te postremo donarem munere mortis et mutam nequiquam alloquerer cinerem” “Trasportato attraverso molte genti e molti mari giungo, o fratello, a questa misera tomba per donarti l’estrema offerta funebre e parlare invano alle tue ceneri mute”

2 Piango la fine della tua gioventù

3 Il poeta è lontano dalla tomba del fratello e dalla madre perché ha lasciato Venezia per la delusione seguita al trattato di Campoformio con cui Napoleone cedeva la città agli austriaci.

4 Il porto del fratello è la morte che anche Foscolo invoca come luogo di pace.

5 Ritorna il motivo già in A Zacinto della morte lontano dai parenti.

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