Il Morgante di Luigi Pulci

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Affresco, Filippino Lippi, Cappella Brancacci, Firenze, dettaglio

Luigi Pulci, affresco, Filippino Lippi, Cappella Brancacci, Firenze, dettaglio

link: Luigi Pulci (1432-1484)

Il Morgante di Luigi Pulci è una delle opere più originali della stagione umanistica fiorentina.
Scritto su commissione di Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico e lei stessa poetessa, il Morgante è un poema cavalleresco parodico.
Il mondo di Carlo Magno e di Orlando, che popolava i cantari popolari del trecento e prima ancora le famose chansons de geste francesi, viene raccontato in chiave comica. Eretico e dissacratore Pulci in uno stile originale e molto lontano dall’ideale di perfezione e decoro proprio dei poeti umanisti, racconta un mondo sproporzionato e irrazionale, dominato dalle passioni più basse e vili, dove accanto ai cavalieri degli antichi romanzi sono protagonisti il gigante Morgante e il suo compagno, il mezzo gigante Margutte.

Orlando, irato per le calunnie che Gano di Maganza racconta su di lui a Carlo Magno, si allontana dall’accampamento dell’imperatore e incontra, in un deserto al confine tra i Cristiani e i Pagani, una badia di monaci, terrorizzati da tre giganti, che vivono su una montagna sopra di loro. Orlando sale sulla montagna per uccidere i giganti, due li uccide, ma il terzo, Morgante, che gli dice di essere diventato cristiano, dopo un sogno premonitore, proprio in quel momento, lo conduce con sé: ha così inizio il poema di Pulci.
Dopo mille avventure al seguito di Orlando un giorno su un crocicchio Morgante incontra Margutte, un mezzo gigante eretico e malvagissimo, che ha tutti i vizi possibili immaginabili, e che diviene suo compagno di viaggio, fino a quando non muore di risate per aver visto una scimmia con indosso i suoi stivali.

canto XIX ottave 144-149
Morgante, come lo vede a giacere,
gli stivaletti di gamba gli trasse
ed appiattògli, per aver piacere,
un po’ discosto, quando e’ si destasse.
Margutte russa, e colui sta a vedere;
poi lo destava, perché e’ s’adirasse.
Margutte si rizzò, come e’ fu desto,
e degli usatti s’accorgeva presto;

e disse: – Tu se’ pur, Morgante, strano:
io veggo che tu m’hai tolti gli usatti,
e fusti sempre mai sconcio e villano. –
Disse Morgante: – Apponti ov’io gli ho piatti:
e’ son qui intorno poco di lontano:
questo è per mille oltraggi tu m’hai fatti. –
Margutte guata, e non gli ritrovava;
e cerca pure, e seco borbottava.

Ridea Morgante sentendo e’ si cruccia.
Margutte pure alfin gli ha ritrovati,
e vede che gli ha presi una bertuccia,
e prima se gli ha messi e poi cavati.
Non domandar se le risa gli smuccia, (scorre)
tanto che gli occhi son tutti gonfiati
e par che gli schizzassin fuor di testa;
e stava pure a veder questa festa.

A poco a poco si fu intabaccato
a questo giuoco, e le risa cresceva,
tanto che ‘l petto avea tanto serrato
che si volea sfibbiar, ma non poteva,
per modo e’ gli pare essere impacciato.
Questa bertuccia se gli rimetteva:
allor le risa Margutte raddoppia,
e finalmente per la pena scoppia;

e parve che gli uscissi una bombarda,
tanto fu grande dello scoppio il tuono.
Morgante corse, e di Margutte guarda
dov’egli aveva sentito quel suono,
e duolsi assai che gli ha fatto la giarda,  (scherzo, beffa)
perché lo vide in terra in abbandono;
e poi che fu della bertuccia accorto,
vide ch’egli era per le risa morto.

Luigi Pulci con Il Morgante e le altre sue opere prosegue la tradizione della poesia comica toscana.
I maggiori poeti comici toscani sono Cecco Angiolieri, Rustico Filippi, il Burchiello, poesie comiche scrissero anche i maggiori poeti di “poesia seria”, tra cui  Guido Cavalcanti e Dante Alighieri, Lorenzo de’ Medici e Angelo Poliziano.
Nei testi comici prevalgono temi bassi: il cibo, il sesso , il gioco, l’umore nero dei poeti, le battute grevi e i doppi sensi, la presa in giro e il rovesciamento dei temi elevati della poesia seria. Le donne non sono spirituali e silenziose, ma sboccate e maleducate, rispondono per le rime ai loro sprovveduti amanti, oppure maliziose invitano il poeta a godere insieme. La lingua non è quella dolce e piana dello stile alto dello Stilnovo e della lirica amorosa, ma una lingua aspra e dura, che sceglie i termini volgari della lingua parlata. La lirica comica è comunque una poesia erudita, frutto di raffinate tecniche di versificazioni, in cui abbondano le figure retoriche, i giochi di parole, le rime difficili.

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