I dolori del giovane Werther di Wolfang Goethe: la fine del romanzo

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Dopo le undici.
“Tutto è silenzio intorno a me, e la mia anima è tranquilla. Ti ringrazio, mio Dio, di concedere ai miei ultimi istanti questo calore, questa forza. Vado alla finestra, mia cara, e vedo, vedo attraverso le nuvole agitate dal vento, alcune stelle del cielo eterno. No, voi non cadrete! Iddio vi porta nel suo cuore, come porta pure me. Vedo le prime stelle del Carro, la più cara fra tutte le costellazioni. Essa stava dinanzi a me, in alto, quando la notte uscivo dalla tua casa e varcavo la soglia della tua porta. Con quale ebbrezza la guardavo! Quante volte, alzando la mano l’ho presa come segno, come sacro simbolo della mia felicità presente… e ora… O, Carlotta, tutto mi ricorda te: non ti sento, forse, intorno a me? e non ho conservato avidamente, come un fanciullo, mille piccole cose che tu avevi toccato? E la tua cara SILHOUETTE! Te la dò Carlotta, e ti prego di farle onore. Mille, mille volte l’ho baciata, mille volte l’ho salutata quando uscivo o quando ritornavo a casa. Ho scritto a tuo padre un biglietto pregandolo di proteggere il mio corpo. Vi sono due tigli nel cimitero, dietro, nell’angolo che dà sulla campagna : là desidero riposare; tuo padre può, e farà questo per il suo amico: pregalo anche tu. Non voglio costringere i pii cristiani a posare il loro corpo presso quello di un povero infelice. Vorrei che mi seppelliste sulla strada, o nella valle solitaria, che il Prete e il Levita passando si facessero il segno della croce, e il Samaritano versasse una lacrima.
Mi fermo qui Carlotta. Non fremo prendendo in mano il freddo, orrendo calice nel quale berrò l’ebbrezza della morte. Tu me l’hai dato, e io non esito. Così si compiono tutti i desideri e le speranze della mia vita; così batto, freddo e rigido, alla bronzea porta della morte. Avessi avuto almeno la gioia di morire per te! Di sacrificare la mia vita per te! Morirei con coraggio, con gioia, se sapessi di procurarti la pace, la felicità della vita. Ma a pochi eletti è concesso di versare il loro sangue per coloro che amano e di procurare con la morte una vita nuova e feconda ai loro cari. Voglio esser sepolto con questi abiti, Carlotta, tu li hai toccati e consacrati: anche di questo ho pregato tuo padre. La mia anima si librerà sulla mia tomba. Non mi si devono frugare le tasche. Il nastro rosa pallido che avevi in petto quando ti vidi per la prima volta fra i tuoi bambini… o, baciameli tanto, e racconta loro la storia dell’infelice amico. Cari! essi si affollano intorno a me. Ah, come mi legai a te, fin da quel primo istante non potevo più lasciarti! Quel nastro deve essere sepolto con me: tu me lo regalasti il giorno del mio compleanno, e come mi fu caro! Ah non immaginavo dove mi avrebbe condotto la via che seguivo! Sii calma, ti prego, sii calma!
Sono cariche….. Battono le dodici! Il mio destino si compia! Carlotta, Carlotta, addio! addio!”.

Un vicino vide il lampo e sentì il colpo; ma poiché‚ dopo tutto rimase tranquillo, non ci pensò più. La mattina alle sei il domestico entrò col lume. Trovò il suo signore a terra, vide le pistole e il sangue. Chiamò, lo scosse: nessuna risposta. Corse dal medico, da Alberto. Carlotta udì suonare il campanello e un tremito la scosse in tutte le membra. Svegliò il marito, si alzarono e il servo diede loro la notizia tremando e piangendo: Carlotta cadde svenuta ai piedi di Alberto.
Quando il medico giunse presso l’infelice, lo trovò in uno stato disperato; il polso batteva, le membra erano tutte paralizzate. Egli si era colpito alla testa, sull’occhio destro, il cervello era saltato. Per precauzione gli fu aperta una vena al braccio: il sangue uscì: respirava ancora.
Dal sangue che era sulla spalliera della poltrona si poté comprendere che egli si era colpito stando seduto alla scrivania; poi era caduto e si era rotolato convulsamente intorno alla poltrona. Giaceva supino presso la finestra, svenuto; era completamente vestito, in giacca blù e in panciotto giallo.
La casa, il vicinato, la città si commossero. Giunse Alberto. Werther era stato adagiato sul letto, con la fronte bendata; il viso era di un mortale pallore e non faceva alcun movimento. Il rantolo era ancora spaventoso, ora debole, ora più forte: si attendeva la fine.
Aveva bevuto soltanto un bicchiere di vino.
Il dramma di Emilia Galotti era aperto sulla sua scrivanìa.
La commozione di Alberto, il dolore di Carlotta sono inesprimibili.
Il vecchio borgomastro accorso a cavallo, alla noti zia, con calde lacrime baciò il morente.
I figli più grandi giunsero subito dopo di lui a piedi, s’i nchinarono presso il letto esprimendo acerbo dolore, gli baciarono le mani e la bocca, e il maggiore che egli aveva sempre prediletto, non si staccò dalle sue labbra fino all’ultimo respiro, e bisognò con la forza strapparlo di lì.
A mezzogiorno Werther morì.
La presenza del borgomastro e gli ordini che diede calmarono l’agitazione della folla.
La sera, verso le undici, egli fu sepolto nel luogo da lui scelto.
Il vecchio e i figli seguirono il feretro; Alberto non ne ebbe la forza: si temeva per la vita di Carlotta.
Alcuni artigiani lo trasportarono, e nessun sacerdote lo accompagnò.