Gerusalemme liberata di Torquato Tasso: il proemio (testo e parafrasi).

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Il proemio della Gerusalemme Liberata ha come modello quello dell’Eneide, Tasso vuole che i suoi lettori stabiliscano subito il confronto con il grande poeta latino Virgilio.
Dopo la prima ottava che presenta l’argomento del poema, segue un’ottava di invocazione alla Musa e una di enunciazione della poetica, nella quarta e quinta ottava si trova la dedica del poema ad Alfonso II d’Este signore di Ferrara.
L’argomento del poema è la prima crociata. Nel 1096 i crociati d’Europa partono per liberare Gerusalemme dai Turchi. Nel 1099 giungono alle porte di Gerusalemme e dopo un assedio di oltre un mese liberano la città santa dagli infedeli e riprendono possesso del Santo Sepolcro.
Tasso inizia il poema alla fine della crociata e racconta l’assedio finale alla città dell’esercito cristiano guidato dal capitano Goffredo di Buglione.
Il poeta chiede ispirazione a una Musa celeste, che abita il Paradiso cristiano e non il monte Elicona, sede delle antiche Muse greche e latine. A lei chiede perdono per avere intrecciato al racconto storico della crociata i racconti di imprese e amori fantastici. Come il bambino malato beve la medicina amara dal cucchiaio orlato di dolce miele, così i lettori leggono il racconto della crociata reso più piacevole dalla dolce poesia.
Seguono le due ottave di dedica del poema al signore d’Este Alfonso II, a lui il poeta augura di essere un giorno a capo di un esercito cristiano e di sconfiggere i Turchi, padroni dell’Impero d’Oriente e di Gerusalemme da quando nel 1453 hanno conquistato Costantinopoli.

1 Canto l’arme pietose e ’l capitano
che ’l gran sepolcro liberò di Cristo.
Molto egli oprò co ’l senno e con la mano,
molto soffrí nel glorioso acquisto;
e in van l’Inferno vi s’oppose, e in vano
s’armò d’Asia e di Libia il popol misto.
Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi
segni ridusse i suoi compagni erranti.

2 O Musa, tu che di caduchi allori
non circondi la fronte in Elicona,
ma su nel cielo infra i beati cori
hai di stelle immortali aurea corona,
tu spira al petto mio celesti ardori,
tu rischiara il mio canto, e tu perdona
s’intesso fregi al ver, s’adorno in parte
d’altri diletti, che de’ tuoi, le carte.

3 Sai che là corre il mondo ove piú versi
di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,
e che ’l vero, condito in molli versi,
i piú schivi allettando ha persuaso.
Cosí a l’egro fanciul porgiamo aspersi
di soavi licor gli orli del vaso:
succhi amari ingannato intanto ei beve,
e da l’inganno suo vita riceve.

4 Tu, magnanimo Alfonso, il quale ritogli
al furor di fortuna e guidi in porto
me peregrino errante, e fra gli scogli
e fra l’onde agitato e quasi absorto,
queste mie carte in lieta fronte accogli,
che quasi in voto a te sacrate i’ porto.
Forse un dí fia che la presaga penna
osi scriver di te quel ch’or n’accenna.

5 È ben ragion, s’egli averrà ch’in pace
il buon popol di Cristo unqua si veda,
e con navi e cavalli al fero Trace
cerchi ritòr la grande ingiusta preda,
ch’a te lo scettro in terra o, se ti piace,
l’alto imperio de’ mari a te conceda.
Emulo di Goffredo, i nostri carmi
intanto ascolta, e t’apparecchia a l’armi.