Accademia platonica fiorentina

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La nascita di Venere (particolare), Sandro Botticelli, Uffizi, Firenze

Firenze è dalla seconda metà del XV secolo una signoria dominata dalla potente famiglia dei Medici, i vecchi umanisti della repubblica fiorentina considerano Cosimo de’ Medici un tiranno. “Se il primo umanesimo fiorentino fu tutto un’esaltazione della vita civile, della libera costruzione umana di una città terrena, la fine del ‘400 è caratterizzata da un orientamento verso un’evasione dal mondo, verso la contemplazione (…) A questo orientamento mutato non fu estraneo il complesso delle vicende politiche italiane” (Eugenio Garin, L’umanesimo italiano, p.94, Laterza, 1994).
Il platonismo, come filosofia contemplativa, indicava la via del ritorno dell’umano al divino, la Venere di Botticelli é il simbolo dell’amore platonico che conduce l’uomo a Dio.
Nel 1462 Cosimo dei Medici dona a Marsilio Ficino una villa a Careggi dove dedicarsi agli studi platonici. Nasce l’Academia charegiana, centro di libere riunioni di umanisti, tra i quali ricordiamo Pico della Mirandola e Angelo Poliziano.
Marsilio Ficino fu autore di un ampio lavoro di traduzione e di commento dell’opera di Platone, di Plotino (filosofo greco del III a.C. massimo rappresentante del neoplatonismo antico) e degli scritti ermetici (scritti filosofici e teologici del II-III d.C attribuiti al dio Ermes ) e fece conoscere alla cultura europea un patrimonio fino allora sconosciuto. La sua opera più personale è la Teologia platonica, in cui propone la ripresa del pensiero platonico e ne mostra l’affinità con il cristianesimo attraverso l’identità di pia filosofia e dotta religione.
La riflessione dei letterati e filosofi dell’Accademia platonica verte su nuove idee cardine: bellezza, amore, poesia, religione.
Uno dei motivi di interesse che il platonismo offriva agli umanisti era che esso permetteva di collocare l’uomo nel centro ideale del mondo. Nella sua Teologia platonica Marsilio Ficino distingue cinque livelli di realtà: corpo, qualità, anima, angeli, Dio. L’anima si trova al centro, è la terza essenza o essenza mediana sia ascendendo dal corpo a Dio sia discendendo da Dio al corpo, in questo modo essa è considerata il nodo vivente della realtà. In quanto creatura dotata di anima, l’uomo può volgere sia verso le cose corporali sia verso le cose divine ed è libero, perché ciò che l’uomo è o diviene dipende dalla sua scelta.
E’ questo il significato di uno dei testi più famosi dell’Umanesimo del XV secolo tratto dal discorso  sulla dignità dell’uomo di Giovanni Pico della Mirandola.

Giovanni Pico della Mirandola L’uomo assolutamente libero

“Già il Sommo Padre, Dio creatore, aveva foggiato secondo le leggi di un’arcana sapienza questa dimora del mondo (…) Senonché, recato il lavoro a compimento, l’artefice desiderava che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un’opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità. Perciò compiuto ormai il tutto, come attestano Mosè e il Timeo, pensò da ultimo a produrre l’uomo. Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova creatura, né dei tesori uno ve n’era da dare in eredità al nuovo figlio, né dei posti di tutto il mondo uno rimaneva in cui sedesse codesto contemplatore dell’universo. Tutti erano ormai pieni, tutti erano stati distribuiti nei sommi, nei medi, negli infimi gradi. Ma non sarebbe stato degno della paterna potestà venir meno, quasi impotente all’ultima fattura (…).  Stabilì finalmente l’ottimo artefice che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. Perciò accolse l’uomo come opera di natura indefinita e postolo nel cuore del mondo così gli parlò: Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa perché quel posto, quell’aspetto, quella prerogativa che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai secondo il tuo volere rigenerarti nelle cose superiori che sono divine.” Giovanni Pico della Mirandola, Discorso sulla dignità dell’uomo in Prosatori latini del Quattrocento a cura di E.Garin, 1952).

Un secondo tema è presente nell’orazione di Pico, quello della pace filosofica e della concordia del pensiero. Pico dimostra attraverso le 900 tesi delle Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae che la conoscenza nelle sue innumerevoli manifestazioni storiche rimane una nella sua sostanza e unità; una autentica pace filosofica e religiosa può essere realizzata perché risulta che tutte le religioni, tutte le filosofie, e le più diverse forme di sapienza che l’umanità possiede derivano da una sola fonte che è Dio stesso.
L’Oratio de hominis dignitate avrebbe dovuto essere pronunciata come discorso inaugurale di una pubblica discussione filosofica in Roma nel 1487, una specie di convegno internazionale di filosofi indetto dal ricchissimo signore di Mirandola. Il convegno non si tenne, per l’opposizione del papa Innocenzo VIII, che sottopose le Conclusiones che Pico voleva presentare ai dotti da lui convocati a Roma a una commissione che ne valutasse l’ortodossia. Pico venne accusato di eresia e fuggì in Francia, dove venne catturato e imprigionato, tornato in Italia si stabilì a Firenze sotto la protezione di Lorenzo Medici, dove morì nel 1494, poche settimane prima del suo amico poeta Angelo Poliziano.

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