Traiano Boccalini: Sentenza contro Machiavelli “pecore con denti di cane”

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Traiano Boccalini (1556-1613) è un intellettuale e scrittore italiano. Nato a Loreto, studiò a Padova e a Roma, dove visse fino al 1612. Per la curia pontificia fu governatore in molte cittadine e terre del dominio ecclesiastico. Nei lunghi anni in cui esercitò questo incarico ebbe modo di conoscere a fondo i meccanismi del potere. I Ragguagli di Parnaso sono la sua opera più nota, pubblicata a Venezia tra il 1612 e il 1613. Proprio per pubblicare l’opera Boccalini abbandonò gli incarichi pontifici e si recò a Venezia, dove morì nel 1613. Sono una raccolta di brevi testi in prosa, in cui Boccalini come un cronista riporta le immaginarie sedute che si tengono sul monte Parnaso, il monte sacro ad Apollo e alle Muse, alla presenza del dio su questioni letterarie, politiche, storiche e morali. Sono testi polemici e dissacratori in cui Boccalini nascondendosi dietro la finzione di un luogo immaginario, il Parnaso, smaschera le ipocrisie e menzogne del mondo reale.
Il ragguaglio LXXXIX della prima centuria racconto il processo a Niccolò Machiavelli.
Machiavelli, messo al bando in Parnaso viene catturato in casa di un amico che lo ha nascosto nella sua biblioteca, prima di essere condannato al rogo chiede e ottiene di potersi difendere davanti al tribunale che l’ha condannato. Ottenuto il consenso pronuncia la sua difesa. Che senso ha dice Machiavelli condannare la sua opera e lodare le azioni dei principi che agiscono esattamente come egli racconta nelle sue opere? Gli uomini non sono stupidi come molti vogliono far credere e i principi per ridurli all’incapacità di pensare e impedire che diventino come il cane Argo dai cento occhi dovranno proibire loro di leggere e studiare come fanno i sovrani turchi e russi. A queste parole di Machiavelli i giudici sono commossi e decisi a ritirare la condanna contro di lui. Ma il pubblico ministero interviene dicendo che Machiavelli è assolutamente da condannare perchè è stato scoperto mentre metteva dei denti finti di cane alle pecore. Deve essere evidente a tutti la gravità di questa azione, come faranno i pastori a mungere e tosare le pecore se dovranno difendersi dai loro aguzzi denti; il prezzo della lana e del cacio salirà senz’altro perché i pastori dovranno armarsi per difendersi da queste pecore con denti di cane. Queste parole del pubblico ministero convincono i giudici molto di più di quelle di Machiavelli.
Machiavelli deve essere considerato nemico degli uomini, le pecore devono rimanere docili, senza denti e senza ingegno, trasformare le pecore indifese in cani con denti, aprire gli occhi alle cieche talpe è cosa pericolossissima che rischia di
“porre il mondo tutto in combustione”.

Niccolò Macchiavelli capitalmente sbandito da Parnaso, essendo stato ritrovato ascoso nella biblioteca di un suo amico, contro lui vien eseguita la sentenza data prima del fuoco.

Tutto che Niccolò Macchiavelli molti anni sono fosse sbandito 1 da Parnaso e suo territorio con pena gravissima tanto a lui quanto a quelli che avessero ardito nella lor biblioteca dar ricetto ad uomo tanto pernicioso 2, la settimana passata nondimeno in casa di un suo amico, che secretamente lo teneva ascoso nella sua libraria, fu fatto prigione 3.
Dai giudici criminali subito fu fatta la ricognizione della persona , e questa mattina contro lui doveva eseguirsi la pena del fuoco, quando egli fece intendere a sua maestà che prima gli fosse conceduto che avanti il tribunale che l’avea condennato potesse dire alcune cose in sua difesa. Apollo, usando verso lui la sua solita benignità, gli fece sapere che mandasse i suoi avvocati, che cortesemente sarebbero stati ascoltati. Replicò il Macchiavelli che voleva egli difender la causa sua, e che i fiorentini nel dir le ragioni loro non avevano bisogno di avvocati. Di modo che li fu conceduto quanto domandava. Il Macchiavelli dunque fu introdotto nella quarantia criminale4, dove in sua difesa ragionò in questo modo: “Ecco, o sire de’ letterati, quel Niccolò Macchiavelli, che è stato condannato per seduttore e corruttore del genere umano e per seminatore di scandalosi precetti politici. Io intanto non intendo difendere gli scritti miei, che pubblicamente gli accuso e condanno per empi, per pieni di crudeli ed esecrandi documenti da governare gli stati. Di modo che, se quella che ho pubblicata alla stampa è dottrina inventata di mio capo e sono precetti nuovi, dimando che pur ora contro di me irremissibilmente si eseguisca la sentenza che a’ giudici è piaciuto darmi contro: ma se gli scritti miei altro non contengono che quei precetti politici e quelle regole di Stato che ho cavate dalle azioni di alcuni prencipi (che se vostra maestà mi darà licenza nominarò in questo luogo), de’ quali è pena la vita dir male, qual giustizia, qual ragione vuole ch’essi che hanno inventata l’arrabbiata e disperata politica scritta da me, sieno tenuti sacrosanti, io che solo l’ho pubblicata, un ribaldo, un ateista? Ché certo non so vedere per qual cagione stia bene adorar l’originale di una cosa come santa e abbruciare la copia di essa come esecrabile, e come io tanto debba esser perseguitato, quando la lezione delle istorie, non solo permessa ma tanto commendata da ognuno, notoriamente ha virtú di convertire in tanti Macchiavelli quelli che vi attendono con l’occhiale politico 5. Mercé che 6 non cosí semplici sono le genti, come molti si danno a credere; sí che quei medesimi che con la grandezza degl’ingegni loro hanno saputo investigare i piú reconditi segreti della natura, non abbino anco giudicio di scoprire i veri fini che i prencipi hanno nelle azioni loro, ancor che artifici grandissimi usino nell’asconderli. E se i prencipi per facilmente, dove meglio lor pare, poter aggirare i loro sudditi, vogliono arrivare al fine di averli balordi e grossolani, fa bisogno che si risolvino di venire all’atto, tanto bruttamente praticato da’ turchi e dal moscovita, di proibir le buone lettere, che sono quelle che fanno divenir Arghi gl’intelletti ciechi; ché altrimente non conseguiranno mai il fine de’ pensieri loro. Mercé che l’ipocrisia 7, oggidí tanto famigliare nel mondo, solo ha la virtú delle stelle d’inclinare, non di sforzare gl’ingegni umani a creder quello che piú piace a chi l’usa”. Grandemente si commossero i giudici a queste parole, e parea che trattassero di rivocar la sentenza, quando l’avvocato fiscale 8 fece saper loro che il Macchiavelli per gli abbominevoli ed esecrandi precetti che si leggevano negli scritti suoi, cosí meritamente era stato condannato, come di nuovo severamente doveva essere punito per esser di notte stato trovato in una mandra di pecore 9, alle quali s’ingegnava di accomodare in bocca i denti posticci di cane, con evidente pericolo che si disertasse 10 la razza de’ pecorai, persone tanto necessarie in questo mondo, i quali indecente e fastidiosa cosa era che da quello scelerato fossero posti in pericolo di convenirli mettersi il petto a botta e la manopola di ferro 11, quando avessero voluto munger le pecore loro o tosarle: ché a qual prezzo sarebbono salite le lane e il cacio, se per l’avvenire fosse convenuto a’ pastori piú guardarsi dalle stesse pecore che da’ lupi, e se non piú col fischio e con la verga, ma con un reggimento di cani si dovevano tener in ubbidienza, e la notte per guardarle fosse stato bisogno non piú far loro gli steccati di corda, ma i muri, i baluardi e le fosse con le contrascarpe 12 fatte alla moderna? Troppo importanti parvero ai giudici accuse tanto atroci, onde votarono tutti che fosse eseguita la sentenza data contro uomo tanto scandaloso: e per legge fondamentale pubblicarono che, per l’avvenire, ribello del genere umano fosse tenuto chi mai piú avesse ardito insegnare al mondo cose tanto scandalose, confessando tutti che non la lana, non il cacio, non l’agnello che si cava dalla pecora, agli uomini prezioso rendeva quell’animale, ma la molta semplicità e l’infinita mansuetudine di lui, il quale non era possibile che in numero grande da un solo pastore venisse governato, quando affatto non fosse stato disarmato di corna, di denti e d’ingegno: e che era un voler porre il mondo tutto in combustione 13 il tentare di far maliziosi i semplici e far veder lume a quelle talpe le quali con grandissima circospezione la madre natura avea create cieche.

1 cacciato dal Parnaso. L’autore fa riferimento alla condanna all’Indice dei libri proibiti delle opere di Machiavelli, nel 1559, al tempo del Concilio di Trento

2 pericoloso

3 prigioniero

4 la quarantia criminale è una magistratura penale composta di quaranta membri, un tempo operante in Firenze

5 Lo studio della storia trasforma i lettori in tanti Machiavelli, l’autore vuole dire che Machiavelli dice ciò che chiunque legga con attenzione può capire, perciò perché mandare alle fiamme l’opera di Machiavelli e conservare i libri di storia?

6 Dal momento che

7 l’inganno, la dissimulazione

8 il pubblico ministero, che sostiene l’accusa

9 inizia qui una lunga metafora che descrive la nuova colpa di Machiavelli: è stato scoperto nottetempo mentre metteva denti posticci alle pecore (i sudditi), rendendo quindi un grave danno ai pecorai (i principi), che avrebbero dovuto mungere e tosare i loro animali (quindi sfruttare i sudditi) armandosi di corazza e guanti di ferro

10 diminuisse, andasse in rovina

11 corazza che protegge il petto e guanto metallico

12 fortificazioni

13 in disordine, in sconvolgimento