Decadentismo simbolismo estetismo

Print Friendly, PDF & Email

 

Egon Schiele, Amicizia, 1913

Con decadentismo si indica un movimento artistico sorto a Parigi verso il 1880 tra gli intellettuali bohemiens della rive gauche della Senna noti per la loro vita sregolata e maudit. Questi artisti erano nella vita e nell’arte provocatori e rivoluzionari. I loro detrattori li chiamarono decadenti ed essi fecero proprio il nome, indifferenti al significato dispregiativo del termine.
Nel 1886 fondarono alcune riviste tra cui una intitolata “Le Decadent”.
Nella poesia Languore Paul Verlaine scrive “Sono l’impero alla fine della decadenza (…) Tutto è bevuto, mangiato! Più niente da dire!” non resta che il languore, la spossatezza fisica e spirituale.
I decadenti rifiutano la società borghese, capitalistica, industrializzata, che considerano una società in disfacimento.
Mario Praz nel suo saggio La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica considera il decadentismo un movimento che prosegue il Romanticismo.
Il termine ha anche un utilizzo più ampio, come categoria storiografica, che abbraccia un periodo più o meno ampio, compreso tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, e vuole definire tutta una serie di manifestazioni artistiche e culturali.   
L’immagine che l’artista decadente dà di sé è quella di un uomo  sofferente, malato, estraneo al mondo, un diverso inetto  e inadeguato, ma  la sua diversità e inadeguatezza sono  il segno di una superiorità.

L’Albatros di Charles Baudelaire
Sovente, per divertirsi, le ciurme
Catturano degli albatri, grandi uccelli marini,
che seguono, pigri compagni di viaggio,
il veliero che scivola sugli amari abissi.
E li hanno appena deposti sul ponte,
che questi re dell’azzurro, impotenti e vergognosi,
abbandonano miseramente le grandi ali bianche
come remi ai loro fianchi.
Questo alato viaggiatore, com’è goffo e leggero!
Lui, poco fa così bello, com’è comico e brutto!
Qualcuno gli stuzzica il becco con la pipa,
un altro scimmiotta, zoppicando, l’infermo che volava!
Il poeta è come il principe delle nuvole
Che abituato alla tempesta ride dell’arciere;
esiliato sulla terra fra gli scherni,
non riesce a camminare per le sue ali di gigante.

All’artista disperato, angosciato, malato restano uniche ancore di salvezza: l’arte e la bellezza, unica alternativa alla vita borghese, che disprezza e rifiuta.
Tra gli artisti decadenti, alcuni  esaltano la propria diversità dai borghesi, per questi artisti l’unico valore è l’arte, la vita vale solo in quanto è opera d’arte. E’ la posizione degli esteti. 
Ma per altri artisti essere artisti significa essere incapaci di vivere, essere inetti; “Ho imparato a scrivere non a vivere”, scrive Cesare Pavese.
I più importanti artisti decadenti sono Paul  Verlaine, Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmè, Joris Karl Huysmans, Oscar Wilde, in Italia Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio. Le opere di riferimento per comprendere gli elementi più significativi degli artisti decadenti sono l’antologia curata da Verlaine I poeti maledetti, le raccolte di Arthur Rimbaud Una stagione all’inferno e Illuminazioni, i testi teorici e le raccolte poetiche di Mallarmé, il romanzo A rebours di  Huysmans, Il piacere di D’Annunzio, Il ritratto di Dorian Gray di Wilde.
Charles Baudelaire e Edgar Allan Poe sono considerati dagli artisti decadenti i loro precursori e maestri.

Il termine utilizzato nella letteratura anglosassone per definire il periodo decadente è modernismo. Il termine definisce un movimento culturale  nato alla fine del XIX secolo, prosecuzione del Romanticismo,  in seguito alle profonde trasformazioni prodotte nella civiltà occidentale dalla Rivoluzione Industriale. Il motivo di fondo del modernismo è la critica dell’ordine sociale borghese e della sua visione del mondo.  “The modernists, carrying the torch of Romanticism, taught us that linearity, rationality, consciousness, cause and effect, (…), and middle-class moral conventions are not the whole story” (John Barth, The literature of exhaustion, 1979).

Temi delle opere degli artisti decadenti

L’inconscio.  In Storia della follia nell’età classica Michel Foucault descrive come, a partire dalla fine del Seicento, la ragione espelle fuori da sé la follia attraverso “il grande isolamento”; matti, vagabondi, prostitute, bestemmiatori,  disoccupati vengono rinchiusi negli ospedali europei, i devianti vengono considerati colpevoli dei loro mali. Il rapporto intimo tra ragione e follia esistito nel Medioevo e durato fino al Rinascimento è finito, “l’uomo moderno non parla più con il folle” afferma Foucault. Sono i poeti decadenti a riprendere il dialogo con quella parte di sé che la ragione ha ridotto al silenzio e considera folle. A questa parte nascosta i grandi artisti decadenti danno volto e forma nelle loro opere. “È falso dire: Io penso: si dovrebbe dire io sono pensato. – Scusi il gioco di parole. Io è un altro.” scrive  Arthur Rimbaud nel 1871.  Freud era perfettamente consapevole del suo debito con gli scrittori decadenti per la sua scoperta dell’ inconscio.

La bellezza. L’ideale di bellezza decadente è molto diverso da quello classico, che è armonia, equilibrio, razionalità. La bellezza decadente, già descritta  da Shelley in Sulla Medusa di Leonardo da Vinci, ispira orrore ed turbamento, in lei si mescolano morte e angoscia. E’  l’angelo o demone dell’Inno alla Bellezza di Baudelaire, che scende come ritmo, profumo, luce  e rende l’universo meno odioso e gli istanti meno pesanti. La “Bellezza maledetta” di Jean des Esseintes, il protagonista di A rebours  “la Bestia mostruosa, indifferente, irresponsabile, insensibile che  come Elena di Troia  avvelena tutto ciò che avvicina, che vede, che tocca” (A rebours, cap.V)  

L’eros. L’artista decadente rifiuta la morale borghese e libera la rappresentazione dell’eros dal tabù del sesso. Il sesso, anche nei suoi aspetti morbosi e perversi, è  al centro delle opere dei decadenti.

La femme fatale
Simbolo della sessualità come forza potente e malefica è la femme fatale, la donna perversa e fatale, la più famosa è Salomè, che seduce e provoca morte. Accanto al protagonista maschile dei romanzi di autori decadenti, di solito un nevrotico depravato e instabile, c’è una donna antagonista, amante o moglie, che causa il dissesto psicologico del maschio protagonista.
Tra la fine dell’Ottocento e il Novecento la misoginia, frutto dell’inganno ordito dagli uomini a proprio danno e della paura delle donne, che in questi anni cominciano a rivendicare e conquistare un ruolo e uno spazio autonomi e diversi da quelli fino ad allora imposti dagli uomini, raggiunge uno dei suoi culmini storici. Quadri, poesie e romanzi, si popolano di donne perverse e aggressive, donne-vampiro, sirene ammaliatrici, Salomè omicide, oppure, esempi di sottomissione e sacrificio di sé, di donne esangui e morenti o folli come l’Ofelia di Amleto. In dotti saggi di medici e filosofi, come L’inferiorità mentale della donna del medico tedesco Moebius del 1900, e Sesso e carattere del filosofo austriaco Weininger del 1903, si teorizza l’inferiorità della donna e la si associa a quella di altre categorie oggetto di paura e disprezzo come gli ebrei.

La malattia.  La malattia, che spesso è follia, diviene  metafora del “male di vivere”, sia come realtà vissuta dall’artista, sia come tema delle opere. Vicende, personaggi, stati d’animo rappresentati sono sempre negativi, espressione di crisi, sconfitta, dolore. Il negativo si oppone polemicamente all’ottimismo del tardo Ottocento. La critica borghese, anti-decadente considera l’arte decadente un’arte malata e i decadenti dei malati. Benedetto Croce, critico letterario e storico importante del Novecento, definì Pascoli e D’Annunzio malati di nervi. Per la critica marxista il decadentismo era la manifestazione patologica della crisi della borghesia.
In realtà l’arte dei decadenti non è malata , ma piuttosto è un’arte della “malattia”.
L’arte infatti “è sempre un atto virtuale che segue leggi di creazione intelligente, mentre la vita è una serie di atti “naturali” in gran parte subiti e conoscibili solo a posteriori” (Elio Gioanola, Decadentismo, 1980, p.61). Perciò la vita  è malattia, mentre l’arte  vede e rappresenta la malattia.

Estetismo
L’estetismo è la teoria dell’arte per l’arte, che implica il rifiuto dell’utilità dell’arte e la rivendicazione della completa gratuità del bello e quindi l’affermazione dell’autonomia dell’arte. Il termine designa sia la poetica dell’arte per l’arte, del culto della bellezza, fine ultimo e supremo dell’artista, sia un atteggiamento di scandalistico rifiuto delle norme della vita borghese, teso a realizzare il mito del fare della vita un’opera d’arte, secondo la convinzione che l’arte sia superiore alla vita. Oscar Wilde nel saggio del 1889 The Decay of lying afferma “Life imitates Art far more than Art imitates Life” (la vita imita l’arte molto più di quanto l’arte non imiti la vita).

Simbolismo
Il Simbolismo è un movimento poetico sorto a Parigi negli ultimi anni ottanta  che ha come modelli i poeti romantici dell’inizio del secolo e alcuni poeti della seconda metà del secolo, Baudelaire, Rimbaud, Verlaine.
Per i poeti simbolisti la natura è  un “un tempio dove pilastri viventi lasciano uscire parole confuse” , l’uomo vi passa  tra “una foresta di simboli” ,  profumi, colori e suoni si rispondono come “lunghi echi che si confondono in una unità tenebrosa e profonda, vasta come la notte e la chiarezza”  (Corrispondenze, I fiori del male, C.Baudelaire).  La Natura non è il libro  di Galileo “scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.”
Non lo scienziato, ma il poeta “ colui…. che sulla vita plana e, sicuro, intende la segreta lingua dei fiori e delle cose mute”  (Elevazione, op.cit.), intende la lingua della Natura. “Il poeta si fa veggente mediante un lungo immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi”, il poeta diviene così “il gran malato, il gran criminale, il gran maledetto e il sommo Sapiente. Poiché giunge all’ignoto” scrive Rimbaud nella Lettera del veggenteQuesta conoscenza non ha nulla a che vedere con la conoscenza positiva, razionale delle cose.
Non esistono più un oggetto e un soggetto  dell’attività conoscitiva, oggetto e soggetto sono un’unica entità. “Il vero atteggiamento conoscitivo allora diventa non già sforzo di astrazione intellettiva, ma abbandono alla suggestione delle recondite e misteriose voci della coscienza profonda, là dove la natura parla con voce non ancora adulterata dalle manifestazioni dell’intelletto”. (E.Gioanola, op.cit., p.55). 
Per i poeti simbolisti “realtà e linguaggio non sono due cose separate” (E.Gioanola, op.cit., p.105), ma coincidono; “Io dico un fiore ! E fuori dell’oblio ove la mia voce relega ogni contorno, (…), musicalmente si leva, idea autentica e soave l’assente da ogni mazzo” (Mallarmé, Crisi di verso).  La poesia crea “un vero e proprio sistema sostitutivo della realtà” (E.Gioanola, op.cit., p.106), un mondo virtuale completamente sciolto dal mondo delle cose e degli uominiLa parola poetica è  simbolo, ovvero, secondo l’etimologia del termine,  una parte dell’intero, da utilizzarsi come segno che basta a se stesso, la parola poetica è suono prima che significato “Musica prima di ogni altra cosa” (Verlaine, Arte poetica). 
La poesia simbolista opera un rinnovamento del linguaggio poetico, le figure retoriche più utilizzate  sono l’analogia e la sinestesia; la sperimentazione in campo metrico porta al dissolvimento delle forme metriche tradizionali. Poesia pura e assoluta, la poesia simbolista non ha fini morali, educativi, civili. 
 
La tensione della potenza creatrice è propria solo dei simbolisti maggiori; ciò che si diffonde come gusto simbolista è l’evocazione musicale, il linguaggio allusivo e raffinato, l’immaginazione anti naturalistica.
Con il simbolismo si ha una definitiva rottura delle convenzioni  della poesia. D’ora in avanti non esisterà più un codice di riferimento valido per tutti, “chiunque può, con il suo modulo e il suo orecchio individuali, comporsi uno strumento: basta che vi soffi, lo strofini o lo batta con scienza. … Ogni anima è una melodia, che il flauto e la viola di ognuno sono ordinati a riannodare.” (Mallarmé, op.cit.)
Non c’è più un codice, la tradizione poetica con le sue forme, stili, lessico, attraverso il quale esprimere messaggi, ma ad ogni messaggio corrisponde un codice. La poesia moderna si caratterizza proprio per la continua creazione di nuove forme.  Negli ultimi cento anni l’arte  è diventata per definizione  il luogo del possibile, del diverso, della sperimentazione.

Voyelles di Arthur Rimbaud

testo in lingua traduzione
A noir, E blanc, I rouge, U vert, O bleu : voyelles,
Je dirai quelque jour vos naissances latentes :
A, noir corset velu des mouches éclatantes
Qui bombinent autour des puanteurs cruelles,
Golfes d’ombre ; E, candeur des vapeurs et des tentes,
Lances des glaciers fiers, rois blancs, frissons d’ombelles ;
I, pourpres, sang craché, rire des lèvres belles
Dans la colère ou les ivresses pénitentes ;
U, cycles, vibrements divins des mers virides,
Paix des pâtis semés d’animaux, paix des rides
Que l’alchimie imprime aux grands fronts studieux
O, suprême Clairon plein des strideurs étranges,
Silence traversés des Mondes et des Anges :
– O l’Oméga, rayon violet de Ses Yeux !
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu : vocali,
dirò un giorno le vostre nascite nascoste :
A, nera, corsetto peloso delle mosche scintillanti
che ronzano attorno puzze crudeli,
golfi di ombre; E, biancori di vapori e di tende
Lance di ghiacciai fieri, re bianchi, brividi di infiorescenze;
I porpore, sangue sputato, riso di belle labbra
Nella collera o nelle ubriacature penitenti;
U, cicli, vibrazioni divine di mari verdi,
pace dei pascoli disseminati di animali, pace delle rughe
che l’alchimia stampa sulle grandi fronti studiose;
O, suprema tromba piena di stridori strani,
silenzi attraversati dai Mondi e dagli Angeli:
– O l’Omega, raggio viola dei Suoi occhi!