Poesia comica: poesie di Cecco Angiolieri, Rustico Filippi, Dante Alighieri, Folgòre da San Gimignano (testo e parafrasi).

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Cecco Angiolieri è un poeta di Siena, contemporaneo di Dante.
Nelle sue poesie Cecco sfoga il suo umor nero con lamenti e rabbiose imprecazioni, odia il padre per la sua avarizia, prega Becchina, la sua amata, di amarlo, deride se stesso mettendo in mostra i propri vizi e guai.
Le sue poesie sembrano autobiografiche, ma in realtà appartengono allo stile comico che vuole il realismo, l’amplificazione parodistica, l’autoironia, il gioco e la burla di tutto e tutti.
Di seguito quattro famosi sonetti di Cecco Angiolieri e un sonetto indirizzato a Dante Alighieri a proposito del sonetto “Oltre la spera che più larga gira” nella Vita Nuova di Dante.

Testi: Cecco Angiolieri: La mia malinconia è tanta e tale;  – Becchin’amor! – Che vuo’, falso tradito?;  S’i’ fosse foco, arderéi ’l mondo; Tre cose solamente m’ènno in grado; Dante Alighier, Cecco, tu’ serv’amico. Rustico Filippo: Oi dolce mio marito Aldobrandino. Dante Alighieri: Chi udisse tossir la malfatata. Folgòre da San Gimignano: Di marzo sí vi do una peschiera.

testo parafrasi
La mia malinconia è tanta e tale,
ch’i’ non discredo che, s’egli ’l sapesse
un che mi fosse nemico mortale,
che di me di pietade non piangesse.
5 Quella, per cu’ m’avven, poco ne cale;
che mi potrebbe, sed ella volesse,
guarir ’n un punto di tutto ’l mie male,
sed ella pur: – I’ t’odio – mi dicesse.
Ma quest’è la risposta c’ho da lei:
10 ched ella non mi vol né mal né bene,
e ched i’ vad’a far li fatti mei;
ch’ella non cura s’i’ ho gioi’ o pene,
men ch’una paglia che le va tra’ piei:
mal grado n’abbi Amor, ch’a le’ mi diène
La mia malinconia è così grande e grave,
che credo che, se la conoscesse
uno, che fosse mio nemico mortale,
avrebbe pietà di me.
Quella, che me la provoca, non se ne cura;
se lo volesse, mi potrebbe
guarire in un momento di tutto il mio male
se soltanto mi dicesse “ti odio”.
Ma la risposta che ho da lei è:
che non mi vuole né bene né male,
e che io vada a fare i fatti miei;
che ella non si cura se ho gioie o pene,
più di un filo di paglia che le vada tra i piedi:
maledetto sia Amore, che a lei mi diede.
– Becchin’amor! – Che vuo’, falso tradito?
– Che mi perdoni. – Tu non ne se’ degno.
– Merzé, per Deo! – Tu vien’ molto gecchito.
– E verrò sempre. – Che sarammi pegno?
5 – La buona fé. – Tu ne se’ mal fornito.
 – No inver’ di te. – Non calmar, ch’i’ ne vegno.
– In che fallai? – Tu sa’ ch’i’ l’abbo udito.
– Dimmel’, amor. – Va’, che ti vegn’ un segno!
– Vuo’ pur ch’i’ muoia? – Anzi mi par mill’anni.
10 – Tu non di’ ben. – Tu m’insegnerai.
– Ed i’ morrò. – Omè che tu m’inganni!
– Die tel perdoni. – E che, non te ne vai?
– Or potess’io! – Tègnoti per li panni?
– Tu tieni ’l cuore. – E terrò co’ tuoi’ guai.
– Becchina, amore mio! – Che vuoi, bugiardo traditore ?
Che mi perdoni. – Tu non ne sei degno.
Te ne prego, perdio! – Sei molto umile.
E sempre lo sarò. – Che mi dai in pegno della promessa ?
La mia buona fede. – Non ne hai molta.
Non nei tuoi confronti. – Non mi ingannare, perché l’ho provata.
In che cosa ho sbagliato ? – Certamente, l’ho saputo.
Dimmelo, amore. – Va via, che ti prenda un colpo !
Vuoi proprio che muoia ? – Non vedo l’ora.
Non dici cose belle. – Insegnami tu.
Allora morirò. – Mi prendi in giro !
Che Dio ti perdoni. – Perché non te ne vai ?
Se potessi ! – Ti tengo per i vestiti ?
Mi tieni il cuore. – E continuerò a tenerlo per tua disgrazia.
S’i’ fosse foco, arderéi ’l mondo;
s’ i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;
5 s’i’ fosse papa, allor serei giocondo,
 ché tutti cristïani imbrigarei;
s’i’ fosse ’mperator, ben lo farei:
a tutti tagliarei lo capo a tondo.
S’i fosse morte, andarei a mi’ padre;
10 s’i’ fosse vita, non starei con lui:
similemente farìa da mi’ madre.
S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.
Se fossi fuoco, brucerei il mondo ;
se fossi vento, lo tempesterei ;
se fossi acqua lo annegherei,
se fossi Dio, lo sprofonderei ;
se fossi papa, allora sarei felice,
perché metterei nei guai tutti i cristiani ;
se fossi imperatore, farei bene questo:
A tutti attorno taglierei il capo.
Se fossi la morte, andrei da mio padre;
se fossi la vita, non starei con lui :
lo stesso farei con mia madre.
Se fossi Cecco, come sono e fui,
prenderei le donne giovani e belle:
quelle zoppe e vecchie le lascerei agli altri.
Tre cose solamente m’ènno in grado,
le quali posso non ben ben fornire:
cioè la donna, la taverna e ’l dado;
queste mi fanno ’l cuor lieto sentire.
5 Ma sì me le convene usar di rado,
ché la mie borsa mi mett’al mentire;
e quando mi sovvien, tutto mi sbrado,
ch’i’ perdo per moneta ’l mie disire.
E dico: – Dato li sia d’una lancia!-
10 Ciò a mi’ padre, che mi tien sì magro,
che tornare’ senza logro di Francia.
Ché fora a torli un dinaro più agro,
la man di pasqua che si dà la mancia,
che far pigliar la gru ad un bozzagro
Tre cose solamente mi piacciono,
che però non posso avere come mi piacerebbe:
cioè la donna, il cibo e il gioco ;
queste mi fanno essere felice.
Ma le devo usare raramente,
perché non ho denari nella borsa ;
e quando penso a ciò, mi viene una rabbia da urlare,
perché per colpa dei soldi non posso soddisfare i miei desideri.
E dico : – Che gli venga un colpo!-
Questo a mio padre, che mi tiene così a stecchetto,
che non tornerei più magro da un viaggio in Francia.
Perché sarebbe più difficile tirargli fuori un soldo,
la mattina di pasqua quando si dà la mancia,
che far prendere a una poiana* una gru.
*piccolo uccelo rapace, che non sarebbe ingrado di catturare un uccelo grande come una gru.
Dante Alighier, Cecco, tu’ serv’amico,
si raccomand’a te com’a segnore;
e sì ti prego per lo dio d’Amore,
il qual è stat’un tu’ signor antico,
5 che mi perdoni s’i’ spiacer ti dico,
ché mi dà sicurtà ’l tu’ gentil cuore;
quel ch’i’ vo dire è di questo tenore:
ch’al tu’ sonetto in parte contraddico.
Ch’al meo parer nell’una muta dice
10 che non intendi su’ sottil parlare,
di que’ che vide la tua Beatrice;
e puoi hai detto a le tue donne care
che be lo ’ntendi: e dunque, contradice
a sé medesmo questo tu’ trovare
Dante Alighieri, Cecco, tuo servo e amico,
si raccomanda a te come al proprio signore ;
e così ti prego per il dio Amore,
che è stato un tuo antico signore,
che tu mi perdoni se una cosa spiacevole cosa ti dico,
ma il tuo cuore gentile mi rassicura :
quello che voglio dire è questo :
il tuo sonetto in una sua parte contraddico.
Infatti secondo me in una terzina dice
che tu non intendi le parole difficili
di quello* che vide la tua Beatrice ;
e poi dici alle tue care donne
che bene lo intendi ; e dunque contraddice
a sé stessa questa tua poesia.
*nel sonetto di Dante: il sospiro che salito in cielo vede Beatrice in gloria

Rustico Filippo è poeta fiorentino, ghibellino, risulta morto tra il 1291 e il 1300. Soprannominato Barbutus, il Barbuto, è ricordato come autore di poesie contro le donne e di stile comico.
Di seguito un suo famoso sonetto che ha come protagonista la moglie di “Aldobrandino”.

Oi dolce mio marito Aldobrandino,
rimanda ormai il farso suo a Pilletto,
ch’egli è tanto cortese fante e fino
che creder non déi ciò che te n’è detto.
5 E no star tra la gente a capo chino,
ché non se’ bozza, e fòtine disdetto;
ma, sì come amorevole vicino,
co noi venne a dormir nel nostro letto.
Rimanda il farso ormai, più no il tenere,
10 ché mai non ci verà oltre tua voglia,
poi che n’ha conosciuto il tuo volere.
Nel nostro letto già mai non si spoglia.
Tu non dovéi gridare, anzi tacere:
ch’a me non fece cosa ond’io mi doglia.
O mio dolce marito Aldobrandino,
restituisci a Piletto il suo farsetto,
che egli è un ragazzo così gentile e fidato,
che non devi credere a quello che ti dicono di lui.
E non startene a capo chino tra la gente,
perché non sei cornuto, te lo assicuro io ;
ma, come un amorevole vicino ,
venne a dormire con me nel nostro letto.
Rimandagli il farsetto ora, non lo tenere più,
perché non ci verrà più se tu non vuoi,
dal momento che ora conosce il tuo volere.
Nel nostro letto non si spoglierà più.
Tu non dovevi gridare, ma tacere :
perché a me non ha fatto nulla di male.

Anche Dante scrive poesie in stile comico. Questo sonetto è il primo della tenzone con Forese Donati, suo amico poeta.

Chi udisse tossir la malfatata
moglie di Bicci vocato Forese,
potrebbe dir ch’ell’ha forse vernata
ove si fa ’l cristallo in quel paese.
5 Di mezzo agosto la truovi infreddata;
or sappi che de’ far d’ogni altro mese…;
E non le val perché dorma calzata,
merzé del copertoio c’ha cortonese.
La tosse, ’l freddo e l’altra mala voglia
10 no l’addovien per omor ch’abbia vecchi
ma per difetto ch’ella sente al nido.
Piange la madre, c’ha più d’una doglia,
dicendo: “Lassa, che per fichi secchi
messa l’avre’ ’n casa del conte Guido!
Chi udisse tossire la sciagurata
moglie di Forese soprannominato Bicci,
potrebbe dire che ella forse ha preso freddo
nel paese dove si fa il cristallo.
A metà agosto la trovi raffreddata:
pensa come deve essere negli altri mesi…;
e non le serve dormire con i calzini,
per colpa della coperta che è “cortonese”*.
La tosse, il freddo e l’altra indisposizione,
non ce l’ha per via degli uomori vecchi,
ma per il difetto che sente nel “nido”.
Sua madre si dispera, perché ha più di un dispiacere,
dicendo: “Povera me, che con una piccola dote,
l’avrei sistemata in casa del conte Guido”.
* il “copertoio cortonese” ha significato sessuale, il “difetto .. al nido” pure.

Folgóre da San Gimignano è ricordato in alcuni documenti del 1305 e 1332. Ha scritto una serie di sonetti dedicati ai mesi dell’anno e ai giorni della settimana e alcuni sonetti politici. I sonetti dei mesi, come quelli dei giorni, hanno come modello il plazer provenzale, componimento che elenca cose piacevoli.

Di marzo sí vi do una peschiera
di trote, anguille, lamprede e salmoni,
di dèntici, dalfini e storioni,
d’ogn’altro pesce in tutta la riviera;
5 con pescatori e navicelle a schiera,
e barche, saettie e galeoni,
le qua’ vi portino a tutte stagioni
a qual porto vi piace alla primiera ;
che sia fornito di molti palazzi,
10 d’ogn’altra cosa, che vi sie mestiero,
e gente v’abbia di tutti sollazzi.
Chiesa non v’abbia mai né monistero;
lasciate predicar i preti pazzi,
ché hanno assai bugie e poco vero.
Di marzo vi dono una peschiera
di trote, anguille, lamprede e salmoni,
di dentici, delfini e storioni,
e ogni altro pesce in tutta la riviera;
con pescatori e navicelle a schiera,
e barche, saettie e galeoni,
le quali vi portino in ogni tempo
immediatamente al porto che vi piace:
dove vi siano molti palazzi,
ogni altra cosa che vi sia necessaria,
e vi sia gente di tutti i divertimenti.
Non vi siano chiese né monasteri:
lasciate predicare i preti pazzi,
perché dicono molte bugie e poche cose vere.

Testi in Poeti del Duecento, volume 2 tomo 1 Poesia didattica dell’Italia Centrale, Poesia “realistica” toscana, a cura di Gianfranco Contini, Classici Ricciardi Mondadori, 1995.