Giovanni Berchet: la sola vera poesia è la popolare

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Il poeta, dunque, sbalza fuori dalle mani della natura in ogni tempo, in ogni luogo. Ma per quanto esimio egli sia, non arriverà mai a scuotere fortemente l’animo de’ lettori suoi, né mai potrà ritrarne alto e sentito applauso, se questi non sono ricchi anch’essi della tendenza poetica passiva. Ora siffatta disposizione degli animi umani, quantunque universale, non è in tutti gli uomini egualmente squisita.
Lo stupido Ottentoto, sdraiato sulla soglia della sua capanna, guarda i campi di sabbia che la circondano, e s’addormenta. Esce de’ suoi sonni, guarda in alto, vede un cielo uniforme stenderseli sopra del capo, e s’addormenta. Avvolto perpetuamente tra il fumo del suo tugurio e il fetore delle sue capre, egli non ha altri oggetti, dei quali domandare alla propria memoria l’immagine, pe’ quali il cuore gli batta di desiderio. Però alla inerzia della fantasia e del cuore in lui tiene dietro di necessità quella della tendenza poetica.
Per lo contrario un Parigino agiato ed ingentilito da tutto il lusso di quella gran capitale, onde pervenire a tanta Civilizzazione, è passato attraverso una folla immensa di oggetti, attraverso mille e mille combinazioni di accidenti. Quindi la fantasia di lui è stracca, il cuore allentato per troppo esercizio. (…).
Basti a te per ora il sapere che tutte le presenti nazioni d’Europa (l’italiana anch’essa, né piú né meno)sono formate da tre classi d’individui: l’una di Ottentoti; l’una di Parigini; e l’una, per ultimo, che comprende tutti gli altri individui leggenti ed ascoltanti, non eccettuati quelli che, avendo anche studiato ed esperimentato quant’altri, pur tuttavia ritengono attitudine alle emozioni. A questi tutti io do nome di popolo.
(…)
La gente ch’egli cerca, i suoi veri lettori stanno a milioni nella terza classe. E questa, cred’io, deve il poeta moderno aver di mira, da questa deve farsi intendere, a questa deve studiar di piacere, s’egli bada al proprio interesse ed all’interesse vero dell’arte. Ed ecco come la sola vera poesia sia la popolare. (…)
La poesia de’ primi è classica, quella de’ secondi è romantica. Cosí le chiamarono i dotti d’una parte della Germania, che dinanzi agli altri riconobbero la diversità delle, vie battute dai poeti moderni. Chi trovasse a ridire a questi, vocaboli, può cambiarli a posta sua. Però io stimo di poter nominare con tutta ragione poesia de’ morti la prima, e poesia de’ vivi la seconda. Né temo d’ingannarmi dicendo che Omero, Pindaro, Sofocle, Euripide ec. ec., al tempo loro, furono in certo modo romantici, perché non cantarono le cose degli Egizzi o de’ Caldei, ma quelle dei loro Greci; siccome il Milton non cantò le superstizioni omeriche, ma le tradizioni cristiane.
in “Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo” di Giovanni Berchet

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