Approfondimento: L’infinito e la teoria del piacere

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L’INFINITO
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani 5
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce 10
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare. 15

 

 

La teoria del piacere
Nelle pagine 165-183 dello Zibaldone scritte tra il 12 e il 23 luglio del 1820 Leopardi presenta quella che chiama la “teoria del piacere”.
L’uomo desidera il piacere, ossia la felicità. Questo desiderio è infinito perché è congenito alla vita e termina con lei. Nessun piacere terreno ha però carattere infinito, tutte le cose terrene sono limitate in durata ed estensione. L’uomo desidera un piacere illimitato senza potere raggiungerlo mai.

[165] Il sentimento della nullità di tutte le cose, la in-
sufficienza di tutti i piaceri a riempierci l’animo, e la ten-
denza nostra verso un infinito che non comprendiamo,
forse proviene da una cagione semplicissima, e più mate-
riale che spirituale. L’anima umana (e così tutti gli esseri
viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira unica-
mente, benchè sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla
felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere.
Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perché è
ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può aver
fine in questo o quel piacere che non può essere infinito,
ma solamente termina colla vita. E non ha limiti 1. nè per
durata, 2. nè per estensione. Quindi non ci può essere
nessun piacere che uguagli 1. nè la sua durata, perchè
nessun piacere è eterno, 2. nè la sua estensione, perchè
nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta
che tutto esista limitatamente e tutto abbia confini, e sia
circoscritto. (…) Se tu desideri un cavallo, ti pare di desiderarlo come cavallo,
e come
un tal piacere, ma in fatti lo desideri come piacere astratto e
illimitato. Quando giungi a possedere il cavallo,[166]trovi
un piacere necessariamente circoscritto, e senti un vuoto
nell’anima, perchè quel desiderio che tu avevi effettiva-
mente, non resta pago. (…) E perciò tutti i piaceri debbono esser misti
di dispiacere, come proviamo, perchè l’anima nell’otte-
nerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè
una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desi-
derio illimitato.(Zib. 165-166)

Leopardi osserva che nell’uomo esiste una facoltà di immaginazione capace di immaginare piaceri infiniti perciò grazie a essa il piacere infinito che non si trova nella realtà si trova nell’immaginazione, che produce speranza e illusioni. Questa facoltà opera nel poeta che crea poesie con parole e immagini indefinite e opera nel lettore che prova piacere in queste immagini e parole.

“Veniamo alla inclinazione dell’uomo all’infinito. Indipendentemente dal desiderio del piacere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono. Considerando la tendenza innata dell’uomo al piacere, è naturale che la facoltà immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni della immaginazione del piacere. E stante la detta proprietà di questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei piaceri che non esistano, e figurarseli infiniti 1. in numero, 2. in durata, 3. e in estensione. Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nella immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni ec. Perciò non è maraviglia 1. che la speranza sia sempre maggior del bene, 2. che la felicità umana non possa consistere se non se nella immaginazione e nelle illusioni.” (Zib.167-168)