Approfondimento: La fine amour

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Scrivere d’amore a noi sembra “normale”, non c’è libro, film, o serie televisiva che non racconti una storia d’amore, ma per molto tempo l’amore è stato un argomento sconveniente per poeti e scrittori. I poeti latini, Catullo, Tibullo, Properzio, sapevano che scrivere poesie d’amore era motivo di disprezzo e che i veri poeti trattavano argomenti più elevati. Virgilio considera l’amore una passione funesta, causa di sconvolgimento e disordine interiore e quando il suo eroe incappa nella storia d’amore con Didone lo fa ravvedere prontamente e lo rimette sulla retta via del suo destino di eroe. Del resto anche Ulisse abbandona due bellissime donne, Calipso e Circe, che avevano cercato di trattenerlo dal suo viaggio verso Itaca.

Ma in Europa a partire dalla fine dell’ XI secolo si comincia o ricomincia a cantare l’amore e in un certo senso non si smetterà più.
L’amore cantato dai poeti provenzali e francesi è una creazione letteraria, un oggetto culturale, che nutre i sogni e i desideri degli uomini delle corti e delle città da un capo all’altro dell’Europa. Questa letteratura di evasione si afferma come espressione di una cultura indipendente dalla cultura degli uomini di Chiesa, che non poteva accettare l’esaltazione dell’amore profano, del desiderio maschile e del piacere che deriva dalle donne.

La fine amour o amore cortese, espressione coniata dallo studioso di poesia medievale Gastons Paris, era un gioco. Protagonisti di questo gioco sono un giovane uomo non sposato e una dama, una giovane donna sposata. “Tutto comincia con uno sguardo. La metafora è quella di una freccia che penetra attraverso gli occhi, si conficca nel profondo del cuore, lo accende, vi porta il fuoco del desiderio. Da allora, ferito d’amore, l’uomo pensa solo a impadronirsi di questa donna. “ (Georges Duby, Il modello cortese, in Storia delle donne. Il Medioevo, pp.310-311, Economica Laterza) Come in tutti i giochi il giocatore era animato dalla speranza di vincere; vincere era, come nella caccia, catturare la preda, ovvero la donna. La donna era la posta in gioco, il bersaglio del gioco, che valeva tanto più quanto più era difficile da conquistare. La donna si concedeva, ma gradualmente. Il rituale prescriveva che accettasse di essere prima abbracciata, poi che offrisse le labbra al bacio, infine che si abbandonasse a tenerezze sempre più spinte, il cui effetto era di esacerbare il desiderio dell’uomo. La prova per eccellenza era l’assaig, che consisteva nel giacere nudi a fianco della donna nuda, ma senza approfittare di tale vicinanza. Il piacere dell’uomo era differito e in realtà poteva non realizzarsi mai. Il piacere culminava così nel desiderio. E’ qui che l’amore cortese rivela la sua natura onirica, di immaginazione fantastica.

L’amore cortese era un gioco immaginario inventato da uomini per uomini. Leggendo queste poesie si può pensare che le dame delle corti provenzali e francesi fossero come Ginevra e le altre donne cantate dai trovatori. Ma non è così. In questi testi “non è la donna, ma l’uomo in primo piano. Tutte le cose sono state composte per lo svago degli uomini. Preciso: uomini di guerra, cavalieri. Più precisamente ancora per giovani. Giovani e cavalieri, tutti i personaggi eroici dei quali i romanzieri e i poeti celebrano le imprese lo sono, e le figure femminili che li circondano, vi sono sistemate solo per valorizzare questi uomini, per mettere in risalto le loro qualità virili. (…) questi poemi non mostrano la donna. Mostrano l’immagine che se ne facevano gli uomini.” (op.cit., p. 315).

Le poesie d’amore tuttavia avevano una relazione con l’esistenza reale degli uomini e delle donne del tempo ed è per questo che ebbero un grande successo in Europa.

Nelle corti medievali uomini e donne vivevano separati da una barriera. Questa barriera era meno rigida che in altre culture, per esempio nei paesi islamici, ma tuttavia era sufficiente a ostacolare la comunicazione tra universo maschile e universo femminile e a introdurre incomprensione e diffidenza. La donna, da cui gli uomini erano allontanati fin da bambini, diventava un oggetto misterioso e lontano, per il quale si provava attrazione, ma che nello stesso tempo provocava malessere e paura.

Tra i nobili del XII secolo il matrimonio aveva una grande importanza perché era attraverso i matrimoni che si garantiva l’appartenenza alla nobiltà. Il matrimonio era perciò rigidamente controllato e non prevedeva l’amore tra i coniugi, il cui unico scopo era quello di generare eredi e mantenere stabili i patrimoni di famiglia. Proprio per diminuire la frammentazione del patrimonio di famiglia si cercava di limitare i matrimoni e nelle famiglie molti giovani uomini potevano essere costretti a rimanere celibi. Giovani uomini celibi per i quali la conquista di una donna sposata a un fratello maggiore, a uno zio o al proprio signore rappresentava un’impresa a cui aspirare. L’amore cortese, adultero e pericoloso cantato dai poeti provenzali e francesi era qualcosa di molto reale nelle corti feudali del XII secolo.

I poeti insegnarono ai giovani cavalieri un codice di comportamento capace di limitare il disordine che la loro virilità poteva provocare. Questo codice insegnava ai giovani non ancora sposati a padroneggiare le loro pulsioni e i loro sentimenti e rafforzava i valori della fedeltà e della sottomissione al signore, perché l’amante doveva costringersi a servire una donna, che era considerata inferiore all’uomo.

Infatti l’amore cortese proponeva la devozione verso una donna che era posta in una posizione di superiorità, era la signora che guidava, consigliava, la confidente a cui il giovane cavaliere si rivolgeva per ottenere i benefici del signore, che era il vero detentore del potere nella corte. La posizione dominante assegnata alla donna era funzionale all’esaltazione della forza e del valore dell’uomo, tanto più la donna era difficile da conquistare tanto più era gloriosa la vittoria. Così l’amore cortese contribuì a creare un’immagine di donna più controllabile, meno inquietante e sfuggente per gli uomini.

Il modello di rapporto amoroso proposto da queste opere piano piano si impose anche nella vita reale e modificò l’atteggiamento degli uomini verso le donne. “Ascoltando le canzoni e i romanzi, gli uomini che desideravano essere civili dovettero riconoscere che la donna non è soltanto un corpo di cui ci si impadronisce per goderne un istante o che s’insemina perché allevi discendenti e prolunghi la durata di un lignaggio. Impararono che è anche necessario conquistare il suo cuore, cioè assicurarsi la sua benevolenza, e che bisogna per questo considerare l’intelligenza, la sensibilità, e le virtù caratteristiche dell’essere femminile”. (op.cit. p.327)

Divenne segno di distinzione, di cortesia “corteggiare” le donne. Con il tempo quello che i poeti avevano descritto come un’impresa eccezionale e pericolosa divenne un esercizio di educazione, il cui scopo principale era quello di rafforzare il controllo dell’individuo sul proprio corpo. L’amore cortese insegnando agli uomini a controllare la propria brutalità contribuì a migliorare la condizione delle donne europee e a far sì che i rapporti tra maschile e femminile assumessero un aspetto singolare, per il quale ancora adesso, nonostante la profonda trasformazione che le relazioni tra i sessi hanno subito negli ultimi anni, la civiltà occidentale si distingue più nettamente dalle altre.
Fonte: Georges Duby, Il modello cortese, in Storia delle donne. Il Medioevo, pp.310-329, Economica Laterza

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