Dei Sepolcri di Ugo Foscolo

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Il carme Dei Sepolcri, un componimento di 295 versi endecasillabi sciolti, venne pubblicato a Brescia nel 1807, la composizione del carme risale al 1806. Nella primavera di questo anno Foscolo, da poco rientrato in Italia dalla Francia, si reca a Venezia dove ha modo di partecipare a una discussione nel salotto di Isabella Teotochi sulla opportunità di estendere l’editto napoleonico di Saint Cloud a tutta l’Italia. L’editto stabiliva che i cimiteri fossero collocati fuori dell’abitato e che le lapidi delle tombe fossero tutte uguali. In seguito a questa discussione Foscolo scrive il carme che contiene un’ampia riflessione sull’utilità delle tombe.
I Sepolcri sono immaginati come un’epistola indirizzata a Ippolito Pindemonte, poeta e amico di Foscolo, che aveva partecipato alla discussione tenutasi nel salotto della Teotochi sull’editto di Saint Cloud e stava componendo un poema intitolato I cimiteri.
Nel carme Foscolo sostiene l’utilità etica e civile delle tombe e si dichiara contrario alla legge napoleonica sui cimiteri che rendeva non distinguibili le tombe degli uomini virtuosi e degni di memoria da quelle degli uomini malvagi e dannosi per la società.
Foscolo afferma l’importanza della tomba come luogo del ricordo, sulla tomba si crea una  “corrispondenza d’amorosi sensi” (v.30). Grazie alla tomba la persona morta continua a vivere nel ricordo dei vivi “spesso per lei si vive con l’amico estinto e l’estinto con noi” (vv.32-33). Solo per chi non ha amato la tomba è priva di significato “Sol chi non lascia eredità d’affetti, poca gioia ha dell’urna” (vv.41-42).
Nella lontana preistoria gli uomini, non più “umane belve”(v.92), hanno imparato a seppellire i corpi dei morti; da allora le tombe sono stati luoghi sacri, in cui si è conservata e tramandata la virtù dei padri e la pietà dei figli. Il culto delle tombe è alla base della civiltà.
Presso i popoli privi di virtù, deboli e corrotti, le tombe e i monumenti funerari sono privi di senso, infatti i nobili e ricchi italiani vivono come morti sepolti nei loro palazzi.
Ma le tombe dei grandi uomini  sono di esempio per gli uomini forti e coraggiosi.
Felice è la città di Firenze che nella chiesa di Santa Croce accoglie le spoglie di alcuni dei grandi italiani del passato: Nicolò Machiavelli, Michelangelo Buonarroti, Galileo Galilei, accanto a questi Foscolo ricorda i fiorentini Dante Alighieri e Francesco Petrarca.
Gli italiani animati dall’amore per la patria  troveranno in queste tombe l’ispirazione per le loro imprese.
Così le tombe greche a Maratona ricordano il valore dei soldati che combatterono per la libertà contro i Persiani. Mentre nessuna tomba ricorda Ulisse che ha sottratto con l’inganno le armi ad  Aiace.
Poi il tempo distrugge le tombe, ma la memoria degli uomini degni di essere ricordati è conservata dai poeti. Cassandra predice che Omero  eternerà il ricordo dei principi greci e troiani ed Ettore sarà onorato dove “fia santo e lagrimato il sangue per la patria versato, e finché il Sole risplenderà su le sciagure umane” (vv.293-295).
I contemporanei lessero il carme come un testo politico che esortava gli italiani a prendere esempio dal passato e a nutrire nel proprio cuore l'”amor di patria”. Oggi il carme “sembra ormai lontano da noi, irrimediabilmente invecchiato: il capolavoro più compiuto e definitivo del Foscolo è anche quello che oggi meno attrae, che sembra irrecuperabile alla sensibilità contemporanea” (G.Ferroni, Storia della letteratura italiana, vol.III, Einaudi, 1991, p.61)

Nella Lettera a Monsieur Guillon su la sua incompetenza a giudicare i poeti italiani, scritta per rispondere alle critiche dello studioso francese, Foscolo così riassume il contenuto del suo poema:
Dalla Lettera a M. Guillon: estratti esplicativi.
1-90: I monumenti inutili a’ morti giovano a’ vivi perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene; solo i malvagi, che si sentono immeritevoli di memoria, non la curano; a torto dunque la legge accomuna la sepoltura de’ tristi, dei degl`illustri e degl’infami.
91-150 : Istituzione delle sepolture nata col patto sociale. Religione per gli estinti derivata dalle virtù domestiche. Mausolei eretti dall’amor di patria agli eroi. Morbi e superstizioni de’ sepolcri promiscui nelle chiese cattoliche. Usi funebri de’ popoli celebri. lnutilità de’ monumenti nelle nazioni corrotte e vili.
151-212: Le reliquie degli eroi destano a nobili imprese, e mobilitano le città che le raccolgono; esortazione agl’Italiani di venerare i sepolcri de’ loro illustri concittadini; quei monumenti ispireranno l’emulazione agli studi e l’amor della patria, come le tombe di Maratona nutriano ne’ Greci l’aborrîmento a’ Barbari.
213-295: Anche i luoghi ov’erano le tombe de’ grandi, sebbene non vi rimanga vestigio, infiammano la mente dei generosi. Quantunque gli uomini d’egregia virtù siano perseguitati vivendo, e il tempo distrugga i loro monumenti, Ia memoria della virtù e dei monumenti vive immortale negli scrittori, e si rianima negli ingegni che coltivano le Muse. Testimonio il sepolcro d’IIo, scoperto dopo tante età da’ viaggiatori che l’amor delle lettere trasse a peregrinare alla Troade; sepolcro privilegiato dai fati perché protesse il corpo d’EIettra da cui nacquero i Dardanidi autori dell’origine di Roma e della prosapia (stirpe) dei Cesari signori del mondo.

Dei Sepolcri vv.151-197
A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande 1 155
che, temprando lo scettro a’ regnatori,
gli allor ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l’arca di colui 2 che nuovo Olimpo
alzò in Roma a’ Celesti; e di chi 3 vide 160
sotto l’etereo padiglion rotarsi
più Mondi, e il Sole irradiarli immoto,
onde all’Anglo 4 che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento:
te 5 beata, gridai, per le felici 165
aure pregne di vita, e pe’ lavacri
che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli 170
popolate di case e d’oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi:
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco 6,
e tu i cari parenti e l’idïoma 175
dèsti a quel dolce di Calliope labbro 7,
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d’un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste;
ma più beata che in un tempio 8 accolte 180
serbi l’Itale glorie, uniche forse
da che le mal vietate 9 Alpi e l’alterna
onnipotenza delle umane sorti,
armi e sostanze t’invadeano, ed are
e patria, e, tranne la memoria, tutto. 185
Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all’Italia,
quindi trarrem gli auspici 10.
E a questi marmi venne spesso Vittorio 11 ad ispirarsi.
Irato a’ patrii Numi; errava muto 190
ove Arno è più deserto, i campi e il cielo
desîoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura,
qui posava l’austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza. 195
Con questi grandi abita eterno: e l’ossa
fremono amor di patria.

1Machiavelli

2Michelangelo

3Galileo

4Newton

5Firenze

6Dante

7Petrarca

8Santa Croce

9mal difese

10auguri

11Alfieri

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