Italo Calvino racconta L’Orlando Furioso: Il palazzo incantato, canto XII ottave 18-20

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Il poema che stiamo percorrendo è un labirinto nel quale si aprono altri labirinti. Nel cuore del poema c’è un trabocchetto, una specie di vortice che inghiotte a uno a uno i principali personaggi: il palazzo incantato del Mago Atlante. Già il Mago ci aveva fatto incontrare, tra le giogaie dei Pirenei, un castello tutto d’acciaio; poi l’aveva fatto dissolvere nel nulla. Ora, in mezzo a un prato non lontano dalle coste della Manica, vediamo sorgere un palazzo che è un vortice di nulla, nel quale si rifrangono tutte le immagini del poema.
Attraversando un bosco, Ruggiero sente un grido: vede un gigante in lotta con un cavaliere. Sotto un colpo di mazza del gigante il cavaliere cade: dall’elmo slacciato esce un’onda di capelli biondi: è Bradamante! Ruggiero insegue il gigante che fugge trascinando la guerriera esanime e sparisce in un palazzo di marmo dalla porta d’oro. Ruggiero entra, percorre sale e logge e scale; si perde; perlustra il palazzo da cima a fondo più volte: nessuna traccia né del rapitore né della rapita.
Come Cerere cercava Proserpina rapita da Plutone, così rapimenti e ricerche affannose si intrecciano per le contrade della Francia. Anche a Orlando, a suo tempo, quando andava in cerca d’Angelica, era successa la stessa identica storia che a Ruggiero: veder rapire la sua bella, inseguire il rapitore, entrare in un misterioso palazzo, girare e girare per androni e corridoi deserti. Ossia: il palazzo è deserto di quel che si cerca, e popolato solo di cercatori. Atlante ha dato forma al regno dell’illusione; se la vita è sempre varia e imprevista e cangiante, l’illusione è monotona, batte e ribatte sempre sullo stesso chiodo.
Questi che vagano per androni e sottoscala, che frugano sotto arazzi e baldacchini sono i più famosi cavalieri cristiani e mori: tutti sono stati attratti nel palazzo dalla visione d’una donna amata, d’un nemico irraggiungibile, d’un cavallo rubato, d’un oggetto perduto. Non possono più staccarsi da quelle mura: se uno fa per allontanarsene, si sente richiamare, si volta e l’apparizione invano inseguita è là, affacciata a una finestra, che implora soccorso.

Tutti cercando il van, tutti gli dànno
colpa di furto alcun che lor fatt’abbia:
del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno;
ch’abbia perduta altri la donna, arrabbia;
altri d’altro l’accusa: e così stanno,
che non si san partir di quella gabbia;
e vi son molti, a questo inganno presi,
stati le settimane intiere e i mesi.
(canto XII ottava 12)

Tosto che pon dentro alla soglia il piede,
per la gran corte e per le loggie mira;
né più il gigante né la donna vede,
e gli occhi indarno or quinci or quindi aggira.
Di su di giù va molte volte e riede;
né gli succede mai quel che desira:
né si sa imaginar dove sì tosto
con la donna il fellon si sia nascosto.

Poi che revisto ha quattro volte e cinque
di su di giù camere e loggie e sale,
pur di nuovo ritorna, e non relinque
che non ne cerchi fin sotto le scale.
Con speme al fin che sian ne le propinque
selve, si parte: ma una voce, quale
richiamò Orlando, lui chiamò non manco;
e nel palazzo il fe’ ritornar anco.

Una voce medesma, una persona
che paruta era Angelica ad Orlando,
parve a Ruggier la donna di Dordona,
che lo tenea di se medesmo in bando.
Se con Gradasso o con alcun ragiona
di quei ch’andavan nel palazzo errando,
a tutti par che quella cosa sia,
che più ciascun per sé brama e desia.
(canto XII, ottave 18-20)

Lo stesso grido d’aiuto, la stessa visione che a Ruggiero parve di Bradamante e a Orlando parve Angelica, a Bradamante parrà Ruggiero. Il desiderio è una corsa verso il nulla, l’incantesimo di Atlante concentra tutte le brame inappagate nel chiuso d’un labirinto, ma non muta le regole che governano i movimenti degli uomini nello spazio aperto del poema e del mondo.
Anche Astolfo capita da quelle parti. Nel suo veloce giro del mondo è passato un momento a casa, in Inghilterra, e adesso è di ritorno in Francia. Mentre sta bevendo a una fontana, un contadinello gli ruba il cavallo Rabicano: o almeno, così pare. Fatto sta che, inseguendo il ladruncolo e il cavallo, anche Astolfo finisce nel palazzo incantato.
Ma con Astolfo non c’è incantesimo che valga. Nel libro magico che gli ha regalato la fata Logistilla è spiegato tutto sui palazzi di quel tipo. Astolfo va dritto alla lastra di marmo della soglia: basta sollevarla perché tutto il palazzo vada in fumo. In quel momento viene raggiunto da una folla di cavalieri: sono quasi tutti amici suoi, ma invece di dargli il benvenuto gli si parano contro come se volessero passarlo a fil di spada. – Ehi, sono Astolfo, non mi riconoscete? Macché: quelli gridavano: – Ecco il gigante! Dàgli al rapitore! Al ladro, al ladro! – Ognuno un’accusa diversa ma tutte piene d’accanimento e d’ira.
Cos’era successo? Atlante, vedendosi a mal partito, era ricorso a un ultimo incantesimo: far apparire Astolfo ai vari prigionieri del palazzo come l’avversario inseguendo il quale ciascuno di loro era entrato là dentro. Ma ad Astolfo basta dar fiato al suo corno per disperdere mago e magia e vittime della magia. Il palazzo, ragnatela di sogni e desideri e invidie si disfa: ossia cessa d’essere uno spazio esterno a noi, con porte e scale e mura, per ritornare a celarsi nelle nostre menti, nel labirinto dei pensieri.
Occorre osservare che se ora, per comodità d’esposizione, abbiamo raccontato l’arrivo del liberatore Astolfo come immediatamente susseguente all’intrappolamento degli altri paladini, il poema in realtà segue un altro ritmo, ci arriva lentamente dopo un intervallo che dura ben dieci canti: dieci canti in cui la battaglia di Parigi, tra atti di eroismo incendi carneficine, cambia le sorti della guerra tra pagani e cristiani. Già ci eravamo accorti che da quell’epopea erano assenti quasi tutti i più famosi campioni; solo la robusta presenza di Rodomonte torreggiava nella mischia. Finalmente sappiamo dove s’erano cacciati tutti gli altri. Atlante li aveva sequestrati nel suo labirinto, e ora ridà loro libero corso per le vie del poema. Atlante o Ariosto? La parte dell’incantatore che vuol ritardare il compiersi del destino e la parte del poeta che ora aggiunge personaggi alla storia, ora ne sottrae ora li aggruppa, ora li disperde, si sovrappongono fino a identificarsi. La giostra delle illusioni è il palazzo, è il poema, è tutto il mondo.
Italo Calvino racconta l’Orlando Furioso, Einaudi Scuola, pp.65-69
link: Italo Calvino

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