Il Decameron di Giovanni Boccaccio

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Interno di Santa Maria Novella dove si incontrano i dieci giovani del Decameron e decidono di lasciare Firenze dipinto di Fabio Borbottoni, 1820-1902

Interno di Santa Maria Novella dove all’inizio del Decameron si incontrano i dieci giovani, dipinto di Fabio Borbottoni, 1820-1902.

Il Decameron è l’opera più famosa di Giovanni Boccaccio, scritto tra il 1349-51, è una raccolta di cento novelle in prosa. Il titolo Decameron significa in greco dieci giorni. Dieci infatti sono i giorni nei quali dieci giovani, tre giovani e sette giovani donne si raccontano le cento novelle del Decameron.
Boccaccio immagina che in occasione della terribile peste del 1348 dieci giovani si allontanino da Firenze per sfuggire al contagio e rifugiatisi in una villa in campagna trascorrano lietamente il tempo tra giochi, canti, danze, banchetti e racconti.
Ogni giorno viene eletta una regina o un re della giornata che stabilisce il tema delle novelle al quale i narratori devono attenersi, due giornate : la prima e la nona sono a tema libero, uno dei narratori di nome Dioneo racconta sempre liberamente senza tenere conto del tema della giornata.
I temi delle dieci giornate.
Riportiamo le rubriche che enunciano il tema delle novelle e le regine e i re di ciascuna delle  dieci giornate:
Prima giornata: Pampinea è la regina e ciascuno racconta ciò che gli fa più piacere. Tra le novelle più note: quella di Ser Ciappelletto e quella dell’ebreo Melchisedech.
Prima giornata  Comincia la prima giornata del Decameron, nella quale dopo la dimostrazione fatta dall’autore, per che cagione avvenisse di doversi quelle persone, che appresso si mostrano, ragunare (radunare) a ragionare insieme, sotto il reggimento di Pampinea si ragiona di quello che più aggrada a ciascheduno.
Seconda giornata: avventure a lieto fine grazie alla fortuna. La regina è Filomena. Le novelle più famose di questa giornata sono quella di Andreuccio da Perugia e quella della bella Alatiel.
Seconda giornata  nella quale, sotto il reggimento di Filomena, si ragiona di chi, da diverse cose infestato, sia, oltre alla sua speranza, riuscito a lieto fine.
Terza giornata: avventure a lieto fine grazie all’ingegno. E’ regina Neifile. In questa giornata una delle tante novelle anticlericali, quella di Masetto da Lamporecchio, scelta da Pasolini per il suo film sul Decameron.
Terza giornata  nella quale si ragiona, sotto il reggimento di Neifile, di chi alcuna cosa molto da lui desiderata con industria acquistasse o la perduta ricoverasse.
Quarta giornata: è re Filostrato vengono raccontate novelle di amori infelici. Tre le novelle da ricordare, quella di Ghismunda, figlia del principe di Salerno Tancredi, quella di Lisabetta da Messina e dei suoi crudeli fratelli e quella di Simona e Pasquino, non nobili come Giulietta e Romeo, ma altrettanto innamorati l’uno dell’altro.
Quarta giornata  nella quale, sotto il reggimento di Filostrato, si ragiona di coloro li cui amori ebbero infelice fine.
Quinta giornata: Fiammetta è la regina della giornata dedicata agli amori felici. Le novelle più note della quinta giornata sono quella di Nastagio degli Onesti, a cui si ispirò il pittore Sandro Botticelli per un suo dipinto, e quella di Federigo degli Alberighi, una novella molto triste nonostante il lieto fine.
Quinta giornata nella quale, sotto il reggimento di Fiammetta, si ragiona di ciò che ad alcuno amante, dopo alcuni fieri o sventurati accidenti, felicemente avvenisse.
Sesta giornata: la regina è Elissa, le novelle raccontano di personaggi che si liberano dai guai con risposte intelligenti. I protagonisti delle novelle di questa giornata sono sconosciuti come il fornaio Cisti o il cuoco Chichibio, o famosi come Giotto e Cavalcanti.
Sesta giornata  nella quale sotto il reggimento d’Elissa, si ragiona di chi con alcuno leggiadro motto, tentato, si riscosse, o con pronta risposta o avvedimento fuggì perdita o pericolo o scorno.
Settima giornata: Dioneo è il re, è la prima delle due giornate dedicate alle beffe in cui si raccontano le beffe che le mogli fanno ai mariti. La più nota di questa giornata è la novella di Peronella che insieme all’amante si prende gioco del marito senza che lui si accorga di nulla, Boccaccio prende ispirazione da un racconto delle Metamorfosi  dello scrittore latino Apuleio.
Settima giornata  nella quale, sotto il reggimento di Dioneo, si ragiona delle beffe, le quali, o per amore o per salvamento di loro, le donne hanno già fatte a’ lor mariti, senza essersene avveduti o sì.
Ottava giornata: la regina è Lauretta e si raccontano le beffe che gli uomini fanno alle donne e le donne agli uomini. Il più famoso dei beffati di queste novelle è Calandrino vittima di Bruno e Buffalmacco.
Ottava giornata  nella quale, sotto il reggimento di Lauretta, si ragiona di quelle beffe che tutto il giorno o donna ad uomo, o uomo a donna, o l’uno uomo all’altro si fanno.
Nona giornata: la regina è Emilia, le novelle hanno tema libero, ciascuno racconta quello che vuole. Ancora beffe, tra le più divertenti quella di Calandrino a cui fanno credere di essere “incinto” e quella di una badessa che se ne va in giro per il convento con in testa le mutande del suo amante.
Nona giornata  nella quale sotto il reggimento d’Emilia, si ragiona ciascuno secondo che gli piace e di quello che più gli aggrada.
Decima giornata: il re è Panfilo, nell’ultima giornata si ritorna seri, le novelle raccontano di uomini e donne che compiono imprese straordinarie per nobiltà e spirito di sacrificio, tra tutte spicca l’ultima novella che ha come protagonista Griselda, Petrarca la apprezzò al punto da  tradurla in latino.
Decima giornata  Finisce la nona giornata del Decameron incomincia la decima ed ultima nella quale sotto il reggimento di Pànfilo si ragiona di chi liberalmente ovvero magnificamente alcuna cosa operasse intorno a fatti d’amore o d’altra cosa
.
Il proemio del Decameron e la dedica alle donne.
Nel proemio il poeta spiega quale sia l’intento della sua opera: confortare le donne che soffrono per amore. Egli per primo da giovane ha ricevuto  conforto e ora ritiene giusto darlo a sua volta a chi, come lui un tempo, soffre d’amore. A differenza degli uomini innamorati che hanno molti modi per distrarsi : possono uscire, andare a caccia, a pesca, a cavalcare, le donne  più facilmente sono afflitte dalla malinconia e da pensieri dolorosi . Al termine del proemio l’autore dice che leggendo le cento novelle del Decameron le donne potranno insieme svagarsi e imparare qualcosa di utile.
« Umana cosa è aver compassione degli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto, li quali già hanno di conforto avuto mestiere (bisogno), et hannol trovato in alcuni: fra’ quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli. (…) E chi negherà questo (conforto), quantunque egli si sia, non molto più alle vaghe donne che agli uomini convenirsi donare? Esse dentro à dilicati petti, temendo e vergognando, tengono l’amorose fiamme nascose, le quali quanto più di forza abbian che le palesi coloro il sanno che l’hanno provate: e oltre a ciò, ristrette dà voleri, dà piaceri, dà comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse dimorano e quasi oziose sedendosi, volendo e non volendo in una medesima ora, seco rivolgendo diversi pensieri, li quali non è possibile che sempre sieno allegri. E se per quegli alcuna malinconia, mossa da focoso disio, sopravviene nelle lor menti, in quelle conviene che con grave noia si dimori, se da nuovi ragionamenti non è rimossa: senza che elle sono molto men forti che gli uomini a sostenere; il che degli innamorati uomini non avviene, sì come noi possiamo apertamente vedere. Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi, non manca l’andare a torno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare, pescare, cavalcare, giucare o mercatare: de’ quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sè e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, con un modo o con altro, o consolazion sopraviene o diventa la noia minore.
Adunque, acciò che in parte per me s’amendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sì come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi più avara fu di sostegno, in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago e ’l fuso e l’arcolaio, intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistelenzioso tempo della passata mortalità fatta, e alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. Nelle quali novelle piacevoli e aspri casi d’amore e altri fortunati avvenimenti si vederanno così né moderni tempi avvenuti come negli antichi; delle quali le già dette donne, che queste leggeranno, parimente diletto delle sollazzevoli cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pigliare, in quanto potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare: le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire. (…) »

Umana Cosa Radio3 (settembre 2013 – gennaio 2014 programma sul Decameron di Boccaccio in occasione dei settecento anni dalla nascita) con Maurizio Fiorella. Prima puntata: Il proemio la dedica alle lettrici con Bianca Pitzorno e Lucia Battaglia Ricci. link alla pagina del programma


La poetica del Decameron.
La poetica del Decameron è insieme edonistica e pedagogica. Edonistica perché le novelle dilettano e consolano, ovvero danno piacere (edoné in greco), pedagogica perché insegnano qualcosa : « in quanto potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare », ovvero le lettrici e i lettori leggendo potranno imparare come comportarsi nei diversi casi della vita.
L’introduzione alla prima giornata: la peste e la fuga da Firenze in campagna.
La prima giornata si apre con una lunga introduzione in cui Boccaccio spiega come i dieci giovani si siano incontrati, perché abbiano deciso di allontanarsi da Firenze e  di trascorrere il tempo raccontandosi novelle. E’ qui che si trova la descrizione della peste del 1348. Per sfuggire alla peste i giovani, incontratisi nella chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, decidono di abbandonare la città e di rifugiarsi in campagna. Lo spazio della campagna e il tempo trascorso lontano dalla città ( due settimane durante le quali i dieci giovani si raccontano novelle per dieci giorni, escludendo, per motivi religiosi, i venerdì e i sabati), divengono uno spazio di ordine e equilibrio, un tempo di piacere e di vita gioiosa che si contrappongono allo spazio e al tempo pieni di disordine, dolore e morte che invade la città durante l’epidemia di peste.
Raccontare novelle è un antidoto al disordine morale e civile, al dolore, alla morte, è affermazione del desiderio di vita, piacere, ordine civile e morale da parte dei dieci giovani.
Nell’introduzione alla prima giornata Boccaccio descrive il primo incontro dei giovani scappati da Firenze e rifugiatisi in campagna con queste parole «Non era di molto spazio sonata nona, che la reina, levatasi, tutte l’altre fece levare, e similmente i giovani, affermando esser nocivo il troppo dormire di giorno; e così se n’andarono in uno pratello, nel quale l’erba era verde e grande né vi poteva d’alcuna parte il sole; e quivi sentendo un soave venticello venire, sì come volle la lor reina, tutti sopra la verde erba si puosero in cerchio a sedere, a’ quali ella disse così: – Come voi vedete, il sole è alto e il caldo è grande, né altro s’ode che le cicale su per gli ulivi; per che l’andare al presente in alcun luogo sarebbe senza dubbio sciocchezza. Qui è bello e fresco stare, e hacci, come voi vedete, e tavolieri e scacchieri, e puote ciascuno, secondo che all’animo gli è più di piacere, diletto pigliare. Ma se in questo il mio parer si seguisse, non giucando, nel quale l’animo dell’una delle parti convien che si turbi senza troppo piacere dell’altra o di chi sta a vedere, ma novellando (il che può porgere, dicendo uno, a tutta la compagnia che ascolta diletto) questa calda parte del giorno trapasseremo. Voi non avrete compiuta ciascuno di dire una sua novelletta, che il sole fia declinato e il caldo mancato, e potremo dove più a grado vi fia andare prendendo diletto; e per ciò, quando questo che io dico vi piaccia (ché disposta sono in ciò di seguire il piacer vostro), faccianlo; e dove non vi piacesse, ciascuno infino all’ora del vespro quello faccia che più gli piace. Le donne parimente e gli uomini tutti lodarono il novellare. – Adunque, disse la reina, se questo vi piace, per questa prima giornata voglio che libero sia a ciascuno di quella materia ragionare che più gli sarà a grado. E rivolta a Panfilo, il quale alla sua destra sedea, piacevolmente gli disse che con una delle sue novelle all’altre desse principio. Laonde Panfilo, udito il comandamento, prestamente, essendo da tutti ascoltato, cominciò così. »
La cornice e i temi del Decameron.
Il Decameron non è solo una raccolta di cento novelle, ma queste sono inserite in una cornice che racconta le dieci giornate trascorse dai dieci giovani. Ogni giornata si apre con una introduzione e si chiude con una conclusione, nella quale è inclusa una canzone cantata da uno dei dieci narratori, tutte le  novelle sono precedute da un breve commento dei narratori.  La cornice è importante perché tiene unite le novelle e dà loro una chiave di comprensione e interpretazione.
La critica ha individuato nelle novelle del Decameron tre temi principali: la fortuna, l’ingegno e  l’amore.
La fortuna.
La fortuna del Decameron è il caso, la sorte, non c’è disegno divino, non c’è provvidenza nel mondo decameroniano, le cose accadono per caso. Contro il caso, forza che incombe sull’uomo e lo sovrasta, l’uomo ha un’unica arma per lottare : l’ingegno, l’intelligenza. E solo contro il caso può lottare l’intelligenza umana, contro ciò che è predeterminato ogni atto di intelligenza è inutile e impotente. Nelle novelle del Decameron uomini e donne continuamente sono in lotta per sfuggire la sfortuna o tentare di volgere la cattiva in buona sorte.
L’ingegno.
L’ingegno è la capacità dell’uomo di risolvere situazioni difficili, avverse, di trarsi d’impaccio, di scampare un pericolo, di rifarsi di una perdita. Accanto ai furbi, agli astuti, ma anche alle donne e agli uomini intelligenti e lungimiranti, prudenti e avveduti, gli sciocchi, gli sprovveduti, gli ingenui che vengono beffati e derisi.
L’amore.
Infine l’amore è il terzo grande tema delle novelle boccacciane. Nel Decameron l’amore è una pulsione naturale alla quale è inutile tentare di resistere, come Boccaccio spiega nell’introduzione alla quarta giornata dove racconta la novella delle papere.  Nelle novelle del Decameron l’amore è passione profonda e seria oppure gioco piacevole e leggero e non è mai presentato come vergogna o peccato.
La conclusione: Boccaccio difende la sua opera dalle critiche.
Nella conclusione l’autore difende la sua opera dalle critiche che le sono state rivolte : in primo luogo Boccaccio confuta l’accusa di avere raccontato, e per di più indirizzandole alle donne, cose sconvenienti e in un linguaggio eccessivamente libero. Il poeta si difende affermando che ciò non è vero, e che se pure fosse vero questo non gli deve essere imputato come colpa: la realtà va descritta anche nei suoi aspetti più bassi e poco gradevoli; inoltre spesso il male non sta nella cosa in sè, ma in chi legge o vede e intende in modo perverso. « E se forse pure alcuna particella è in quelle, alcuna paroletta più liberale che forse a spigolistra (bigotta bacchettona) donna non si conviene, le quali più le parole pesano che ’fatti e più d’apparer s’ingegnano che d’esser buone, dico che più non si dee a me esser disdetto d’averle scritte, che generalmente si disdica agli uomini e alle donne di dir tutto dì “foro e caviglia e mortaio e pestello e salsiccia e mortadello” (termini di uso comune che possono avere un doppio senso equivoco), e tutto pieno di simiglianti cose. Senza che alla mia penna non dee essere meno d’autorità conceduta che sia al pennello del dipintore, il quale senza alcuna riprensione, o almen giusta, lasciamo stare che egli faccia a san Michele ferire il serpente con la spada o con la lancia, e a san Giorgio il dragone dove gli piace; ma egli fa Cristo maschio ed Eva femina, e a Lui medesimo che volle per la salute della umana generazione sopra la croce morire, quando con un chiovo e quando con due i piè gli conficca in quella. (…)
Boccaccio rivendica, nelle ultime righe del brano riportato, il suo diritto a rappresentare la realtà per come è, in tutti i suoi aspetti. Per questo si utilizza per il Decameron la categoria di realismo.
Infine l’autore passa in rassegna le altre accuse a lui rivolte : che le novelle sono troppo lunghe, troppo scanzonate, di avere parlato male dei frati, da tutte Boccaccio si libera in poche righe e tanta ironia, e si congeda ringraziando e rivolgendo un ultimo pensiero alle sue «piacevoli donne». « E lasciando omai a ciascheduna e dire e credere come le pare, tempo è da por fine alle parole, Colui (Dio) umilmente ringraziando che dopo sì lunga fatica col suo aiuto n’ha al desiderato fine condotto. E voi, piacevoli donne, con la sua grazia in pace vi rimanete, di me ricordandovi, se ad alcuna forse alcuna cosa giova l’averle lette. »
Il realismo del Decameron.
Con questo termine si intende il tentativo dello scrittore di rendere la realtà di luoghi, ambienti, situazioni, epoche storiche nei suoi racconti di invenzione , facendo sì che invenzione e rappresentazione della realtà risultino strettamente intrecciate.
Nelle novelle troviamo personaggi nobili, leali, virtuosi, onesti, santi, ma anche malvagi, disonesti, traditori, truffatori, peccatori, mercanti, nobili e popolani, preti e monache, uomini intelligenti e prudenti e altri ingenui e sciocchi, donne sensibili e oneste e altre lascive e corrotte ; è presente tutta la gamma dei ceti sociali, dai più elevati (re, nobili, ricchi banchieri, potenti prelati) sino ai più umili (operai, contadini, servi).
Vastissima è anche la varietà di luoghi e ambienti : si va dalle corti ai bassifondi, dalla città alla campagna, dai luoghi vicini e noti – Firenze e le altre città della Toscana e dell’Italia – a terre e mari esotici, l’ambientazione storica varia invece dal XII al XIV secolo.
Stile e lingua del Decameron.
Alla varietà di tipi umani e di luoghi geografici e ambienti sociali corrisponde la varietà dei registri linguistici e stilistici delle novelle.
Nella cornice e in molte delle parti narrative delle novelle il tono è elevato e la prosa è costituita da periodi ampi e complessi sul modello della prosa letteraria latina, fatto che rende la prosa decameroniana talora di difficile lettura. Nelle novelle e soprattutto nelle loro parti dialogate vi è una grande varietà di registri stilistici e lingustici: comico, grottesco, elegiaco, tragico; le strutture sintattiche e le scelte lessicali sono semplici e colloquiali oppure elaborate e raffinate.
Nel XVI secolo la prosa di Boccaccio diviene il modello della prosa letteraria, così come la lirica di Petrarca diviene il modello della poesia. E’ Pietro Bembo, letterato veneziano, che in una sua famosa opera Prose della volgar lingua del 1525 propone ai letterati italiani due modelli: Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.

Un pensiero su “Il Decameron di Giovanni Boccaccio

  1. THIERRY Yolande

    Grazie. Sono francese e vivo in Italia da moltissimi anni. Ho sempre desiderato leggere il Decameron ma l’impegno e il tempo richiesti mi hanno sempre fatto ritardare la lettura. Oggi, 14 marzo, in tempo di isolamento forzato a causa dell’epidemia di Covid19, e con il vostro aiuto, finalmente apro la bella edizione dei Millenni, comprata anni fa.

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