Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni

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La commedia si apre a Venezia in casa di Pantalone de’ Bisognosi, nel momento della promessa di matrimonio tra sua figlia Clarice e Silvio. Clarice era promessa a Federigo Rasponi, ma questi è stato ucciso a Torino e Pantalone ha pensato di sistemare la figlia con un nuovo matrimonio.
Proprio mentre Silvio e Clarice si stanno scambiando la promessa irrompe sulla scena Arlecchino, che si presenta come il servitore di Federigo Rasponi gettando lo scompiglio tra i presenti. In realtà Federigo Rasponi, che subito dopo entra in scena, è Beatrice Rasponi, la sorella del defunto Federigo, venuta a Venezia indossando i panni del fratello per cercare il suo amato, Florindo Aretusi, fuggito da Torino dopo aver assassinato Federigo.
La trama si complica ancor di più quando  Arlecchino trova come suo secondo padrone, proprio Florindo Aretusi, l’innamorato di Beatrice. Per servire i suoi due padroni Arlecchino è costretto a inventare trucchi e inganni, tanto più che Beatrice e Florindo sono alloggiati entrambi nella locanda di Brighella.
L’intreccio culmina, all’inizio dell’atto terzo, quando Arlecchino , per errore scambia il contenuto dei bauli che appartengono ai suoi due padroni. Così si vede costretto a spiegare a Florindo come mai nel suo baule si trovi un suo ritratto e a Beatrice perché nel suo si trovino due lettere da lei scritte a Florindo. Arlecchino si libera dalla spiacevole situazione raccontando ad entrambi di avere avuto tali oggetti da un suo precedente padrone defunto,  Beatrice e Florindo credono ciascuno che l’altro sia morto e si disperano. La situazione, apparentemente irrimediabile, si risolve con un incontro casuale  tra i due innamorati. Tutti alla fine convolano a nozze Beatrice e Florindo, Clarice e Silvio e anche Arlecchino, dopo aver rivelato di avere servito due padroni,  prende in moglie Smeraldina.

Di seguito l’introduzione di Goldoni alla commedia e due brani scelti dal primo e secondo atto. Le stesse scene sono nel video della messa in scena di Strehler del Piccolo Teatro di Milano, Ferruccio Soleri interpreta  Arlecchino. (link Arlecchino servitore di due padroni di Giorgio Strehler)

L’autore a chi legge
Goldoni presenta la commedia come una commedia giocosa e poco rispettosa del verosimile. Come molte commedie di Goldoni, Il servitore di due padroni ebbe una prima stesura, risalente al 1745, in forma di canovaccio, contenente solo le principali indicazioni di battute e movimenti per gli attori, che recitavano all’improvviso, e una successiva scrittura completa del testo della commedia in occasione della pubblicazione nel 1753 delle commedie.

Troverai, Lettor carissimo, la presente Commedia diversa moltissimo dall’altre mie, che lette
avrai finora. Ella non è di carattere, se non se carattere considerare si voglia quello del Truffaldino, che un servitore sciocco ed astuto nel medesimo tempo ci rappresenta: sciocco cioè in quelle cose le quali impensatamente e senza studio egli opera, ma accortissimo allora quando l’interesse e la malizia l’addestrano, che è il vero carattere del villano.
Ella può chiamarsi piuttosto Commedia giocosa, perché di essa il gioco di Truffaldino forma
la maggior parte. Rassomiglia moltissimo alle commedie usuali degl’Istrioni, se non che scevra mi pare di tutte quelle improprietà grossolane, che nel mio Teatro Comico ho condannate, e che dal Mondo sono oramai generalmente aborrite. Improprietà potrebbe parere agli scrupolosi, che Truffaldino mantenga l’equivoco della sua doppia servitù, anche in faccia dei due padroni medesimi soltanto per questo, perché niuno di essi lo chiama mai col suo nome; che se una volta sola, o Florindo, o Beatrice, nell’Atto terzo, dicessero Truffaldino, in luogo di dir sempre il mio Servitore, l’equivoco sarebbe sciolto e la commedia sarebbe allora terminata. Ma di questi equivoci, sostenuti dall’arte dell’Inventore, ne sono piene le Commedie non solo, ma le Tragedie ancora; e quantunque io m’ingegni d’essere osservante del verisimile in una Commedia giocosa, credo che qualche cosa, che non sia impossibile, si possa facilitare. Sembrerà a taluno ancora, che troppa distanza siavi dalla sciocchezza l’astuzia di Truffaldino; per esempio: lacerare una cambiale per disegnare la scalcherìa di una tavola, pare l’eccesso della goffaggine. Servire a due padroni, in due camere, nello stesso tempo, con tanta prontezza e celerità, pare l’eccesso della furberia. Ma appunto quel ch’io dissi a principio del carattere di Truffaldino: sciocco allor che opera senza pensamento, come quando lacera la cambiale;  astutissimo quando opera con malizia, come nel servire a due tavole comparisce. Se poi considerar vogliamo la catastrofe della Commedia, la peripezia, l’intreccio, Truffaldino non fa figura da protagonista, anzi, se escludere vogliamo la supposta vicendevole morte de’ due amanti, creduta per opera di questo servo, la Commedia si potrebbe fare senza di lui; ma anche di ciò abbiamo infiniti esempi, quali io non adduco per non empire soverchiamente i fogli; e perché non mi credo in debito di provare ciò che mi lusingo non potermi essere contraddetto; per altro il celebre Molière istesso mi servirebbe di scorta a giustificarmi. Quando io composi la presente Commedia, che fu nell’anno 1745, in Pisa, fra le cure legali, per trattenimento e per genio, non la scrissi io già, come al presente si vede. A riserva di tre o quattro scene per atto, le più interessanti per le parti serie, tutto il resto della Commedia era accennato soltanto, in quella maniera che i commedianti sogliono denominare “a soggetto”; cioè uno scenario disteso, in cui accennando il proposito, le tracce, e la condotta e il fine de’ ragionamenti, che dagli Attori dovevano farsi, era poi in libertà de’ medesimi supplire all’improvviso, con adattate parole e acconci lazzi, spiritosi concetti. In fatti fu questa mia Commedia all’improvviso così bene eseguita da’ primi Attori che la rappresentarono, che io me ne compiacqui moltissimo, e non ho dubbio a credere che meglio essi non l’abbiano all’improvviso adornata, di quello possa aver io fatto scrivendola. I sali del Truffaldino, le facezie, le vivezze sono cose che riescono più saporite, quando prodotte sono sul fatto dalla prontezza di spirito, dall’occasione, dal brio. Quel celebre eccellente comico, noto all’Italia tutta pel nome appunto di Truffaldino, ha una prontezza tale di spirito, una tale abbondanza di sali e naturalezza di termini, che sorprende: e volendo io provvedermi per le parti di lui. Questa Commedia l’ho disegnata espressamente per lui, anzi mi ha egli medesimo l’argomento proposto, argomento un po’ difficile in vero, che ha posto in cimento tutto il genio mio per la Comica artificiosa, e tutto il talento suo per l’esecuzione.
L’ho poi veduta in altre parti da altri comici rappresentare, e per mancanza forse non di merito, ma di quelle notizie che dallo scenario soltanto aver non poteano, parmi ch’ella decadesse moltissimo dal primo aspetto. Mi sono per questa ragione indotto a scriverla tutta, non già per obbligare quelli che sosterranno il carattere del Truffaldino a dir per l’appunto le parole mie, quando di meglio ne sappian dire, ma per dichiarare la mia intenzione, e per una strada assai dritta condurli al fine. Affaticato mi sono a distendere tutti i lazzi più necessari, tutte le più minute osservazioni, per renderla facile quanto mai ho potuto, e se non ha essa il merito della Critica, della Morale, della istruzione, abbia almeno quello di una ragionevole condotta e di un discreto ragionevole gioco. Prego però que’ tali, che la parte del Truffaldino rappresenteranno, qualunque volta aggiungere del suo vi volessero, astenersi dalle parole sconce, da’ lazzi sporchi; sicuri che di tali cose ridono soltanto quelli della vil plebe, e se ne offendono le gentili persone.

 

PERSONAGGI
Pantalone de’ Bisognosi
Clarice, sua figliuola
Il Dottore Lombardi
Silvio, di lui figliuolo
Beatrice, torinese, in abito da uomo sotto nome di Federigo Rasponi
Florindo Aretusi, torinese di lei amante
Brighella, locandiere
Smeraldina, cameriera di Clarice
Truffaldino, servitore di Beatrice, poi di Florindo
Un cameriere della locanda, che parla
Un servitore di Pantalone, che parla
Due facchini, che parlano
Camerieri d’osteria, che non parlano
La scena si rappresenta in Venezia

ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera in casa di Pantalone
Pantalone, il Dottore, Clarice, Silvio, Brighella, Smeraldina, un altro Servitore di Pantalone.
SILVIO Eccovi la mia destra, e con questa vi dono tutto il mio cuore (a Clarice, porgendole la
mano).
PANTALONE Via, no ve vergognè; dèghe la man anca vu. Cusì sarè promessi, e presto presto sarè maridai (a Clarice).
CLARICE Sì caro Silvio, eccovi la mia destra. Prometto di essere vostra sposa.
SILVIO Ed io prometto esser vostro. (Si danno la mano.)
DOTTORE Bravissimi, anche questa è fatta. Ora non si torna più indietro.
SMERALDINA (Oh bella cosa! Propriamente anch’io me ne struggo di voglia).
PANTALONE Vualtri sarè testimoni de sta promission, seguida tra Clarice mia fia e el sior Silvio, fio degnissimo del nostro sior dottor Lombardi (a Brighella ed al Servitore).
BRIGHELLA Sior sì, sior compare, e la ringrazio de sto onor che la se degna de farme (a Pantalone).
PANTALONE Vedeu? Mi son stà compare alle vostre nozze, e vu se testimonio alle nozze de mia fia. Non ho volesto chiamar compari, invidar parenti, perchè anca sior Dottor el xè del mio temperamento; ne piase far le cosse senza strepito, senza grandezze. Magneremo insieme, se goderemo tra de nu, e nissun ne disturberà. Cossa diseu, putti, faremio pulito? (a Clarice e Silvio).
SILVIO Io non desidero altro che essere vicino alla mia cara sposa.
SMERALDINA (Certo che questa è la migliore vivanda).
DOTTORE Mio figlio non è amante della vanità. Egli è un giovane di buon cuore. Ama la vostra figliuola, e non pensa ad altro.
PANTALONE Bisogna dir veramente che sto matrimonio el sia stà destinà dal cielo, perché se a Turin no moriva sior Federigo Rasponi, mio corrispondente, savè che mia fia ghe l’aveva promessa a elo, e no la podeva toccar al mio caro sior zenero (verso Silvio).
SILVIO Certamente io posso dire di essere fortunato. Non so se dirà così la signora Clarice.
CLARICE Caro Silvio, mi fate torto. Sapete pur se vi amo; per obbedire il signor padre avrei
sposato quel torinese, ma il mio cuore è sempre stato per voi.
DOTTORE Eppur è vero; il cielo, quando ha decretato una cosa, la fa nascere per vie non
prevedute. Come è succeduta la morte di Federigo Rasponi? (a Pantalone).
PANTALONE Poverazzo! L’è stà mazzà de notte per causa de una sorella… No so gnente. I gh’ha dà una ferìa e el xè restà sulla botta.
BRIGHELLA Elo successo a Turin sto fatto? (a Pantalone).
PANTALONE A Turin.
BRIGHELLA Oh, povero signor! Me despiase infinitamente.
PANTALONE Lo conossevi sior Federigo Rasponi? (a Brighella).
BRIGHELLA Siguro che lo conosseva. So stà a Turin tre anni e ho conossudo anca so sorella. Una zovene de spirito, de corazo; la se vestiva da omo, l’andava a cavallo, e lu el giera innamorà de sta so sorella. Oh! chi l’avesse mai dito!
PANTALONE Ma! Le disgrazie le xè sempre pronte. Orsù, no parlemo de malinconie. Saveu cossa che v’ho da dir, missier Brighella caro? So che ve diletè de laorar ben in cusina. Vorave che ne fessi un per de piatti a vostro gusto.
BRIGHELLA La servirò volentiera. No fazzo per dir, ma alla mia locanda tutti se contenta. I dis
cusì che in nissun logo i magna, come che se magna da mi. La sentirà qualcossa de gusto.
PANTALONE Bravo. Roba brodosa, vedè, che se possa bagnarghe drento delle molene de pan. (Si sente picchiare). Oh! i batte. Varda chi è, Smeraldina.
SMERALDINA Subito (parte, e poi ritorna).
CLARICE Signor padre, con vostra buona licenza.
PANTALONE Aspettè; vegnimo tutti. Sentimo chi xè.
SMERALDINA (torna) Signore, è un servitore di un forestiere che vorrebbe farvi un’imbasciata. A me non ha voluto dir nulla. Dice che vuol parlar col padrone.
PANTALONE Diseghe che el vegna avanti. Sentiremo cossa che el vol.
SMERALDINA Lo farò venire (parte).
CLARICE Ma io me ne anderei, signor padre.
PANTALONE Dove?
CLARICE Che so io? Nella mia camera.
PANTALONE Siora no, siora no; stè qua. (Sti novizzi non vòi gnancora che i lassemo soli) (piano al Dottore).
DOTTORE (Saviamente, con prudenza) (piano a Pantalone).

La scena XV dell’ atto II prende luogo nella locanda di Brighella,dove alloggiano Florindo e Beatrice. Essi sono giunti a Venezia in cerca l’uno dell’altra. Arlecchino si vede costretto a soddisfare le esigenze dei suoi due padroni e fa di tutto purché l’inganno non venga svelato. In questa scena è impegnato a servire contemporaneamente la cena ai suoi due padroni.
ATTO SECONDO
SCENA QUINDICESIMA
Un Cameriere con un piatto, poi Truffaldino, poi Florindo, poi Beatrice ed altri Camerieri.
CAMERIERE: Quanto sta costui a venir a prender le vivande?                                                   TRUFFALDINO (dalla camera): Son qua, camerada; cossa me deu?
CAMERIERE: Ecco il bollito. Vado a prender un altro piatto (parte).
TRUFFALDINO: Che el sia castrà, o che el sia vedèllo? El me par castrà. Sentimolo un pochetin (ne assaggia un poco). No l’è né castrà, né vedèllo: l’è pegora bella e bona (s’incammina verso la camera di Beatrice).
FLORINDO: Dove si va? (l’incontra).
TRUFFALDINO: (Oh poveretto mi!).
FLORINDO: Dove vai con quel piatto?
TRUFFALDINO: Metteva in tavola, signor.
FLORINDO: A chi?
TRUFFALDINO: A vussioria.
FLORINDO: Perché metti in tavola prima ch’io venga a casa?
TRUFFALDINO: V’ho visto a vegnir dalla finestra. (Bisogna trovarla).
FLORINDO: E dal bollito principi a metter in tavola, e non dalla zuppa?
TRUFFALDINO: Ghe dirò, signor, a Venezia la zuppa la se magna in ultima.
FLORINDO: Io costumo diversamente. Voglio la zuppa. Riporta in cucina quel piatto.
TRUFFALDINO: Signor sì la sarà servida.
FLORINDO: E spicciati, che voglio poi riposare.
TRUFFALDINO: Subito (mostra di ritornare in cucina).
FLORINDO: (Beatrice non la ritroverò mai?) (entra nell’altra camera in prospetto).
Truffaldino, entrato Florindo in camera, corre col piatto e lo porta a Beatrice.
CAMERIERE: (torna con una vivanda) E sempre bisogna aspettarlo. Truffaldino (chiama).
TRUFFALDINO: (esce di camera di Beatrice) Son qua. Presto, andè a parecchiar in quell’altra camera, che l’è arrivado quell’altro forestier, e portè la minestra subito.
CAMERIERE: Subito (parte).
TRUFFALDINO: Sta piatanza coss’èla mo? Bisogna che el sia el fracastor (assaggia). Bona, bona, da galantomo (la porta in camera di Beatrice. Camerieri passano e portano l’occorrente per preparare la tavola in camera di Florindo). Bravi. Pulito. I è lesti come gatti (verso i Camerieri). Oh se me riuscisse de servir a tavola do padroni; mo la saria la gran bella cossa. (Camerieri escono dalla camera di Florindo e vanno verso la cucina). Presto, fioi, la menestra.     CAMERIERE: Pensate alla vostra tavola, e noi penseremo a questa (parte).
TRUFFALDINO: Voria pensar a tutte do, se podesse. (Cameriere torna colla minestra per Florindo). Dè qua a mi, che ghe la porterò mi; andè a parecchiar la roba per quell’altra camera. (Leva la minestra di mano al Cameriere e la porta in camera di Florindo).
CAMERIERE: E’ curioso costui. Vuol servire di qua e di la. Io lascio fare: già la mia mancia bisognerà che me la diano. Truffaldino esce di camera di Florindo.
BEATRICE: Truffaldino (dalla camera lo chiama).
CAMERIERE: Eh! servite il vostro padrone (a Truffaldino).
TRUFFALDINO: Son qua (entra in camera di Beatrice; i Camerieri portano il bollito per Florindo).
CAMERIERE: Date qui (lo prende).
Camerieri partono.Truffaldino esce di camera di Beatrice con i tondi sporchi.
FLORINDO: Truffaldino (dalla camera lo chiama forte).
TRUFFALDINO: De qua (vuol prendere il piatto del bollito dal Cameriere).
CAMERIERE: Questo lo porto io.
TRUFFALDINO: No sentì che el me chiama mi? (gli leva il bollito di mano e lo porta a Florindo).
CAMERIERE: È bellissima. Vuol far tutto. (I Camerieri portano un piatto di polpette, lo danno al Cameriere e partono).
CAMERIERE: Lo porterei io in camera, ma non voglio aver che dire con costui. (Truffaldino esce di camera di Florindo con i tondi sporchi). Tenete, signor faccendiere; portate queste polpette al vostro padrone.
TRUFFALDINO: Polpette? (prendendo il piatto in mano).
CAMERIERE: Sì, le polpette ch’egli ha ordinato (parte).
TRUFFALDINO: Oh bella! A chi le òi da portar? Chi diavol de sti padroni le averà ordinade? Se ghel vago a domandar in cusina, no voria metterli in malizia; se fallo e che no le porta a chi le ha ordenade, quell’altro le domanderà e se scoverzirà l’imbroio. Farò cussi… Eh, gran mi! Farò cusì; le spartirò in do tondi, le porterò metà per un, e cusì chi le averà ordinade, le vederà (prende un altro tondo di quelli che sono in sala, e divide le polpette per metà). Quattro e quattro. Ma ghe n’è una de più. A chi ghe l’òia da dar? No voi che nissun se n’abbia per mal; me la magnerò mi (mangia la polpetta). Adesso va ben. Portemo le polpette a questo (mette in terra l’altro tondo, e ne porta uno da Beatrice).
CAMERIERE: (con un bodino all’inglese) Truffaldino (chiama)
TRUFFALDINO: Son qua (esce dalla camera di Beatrice).
CAMERIERE: Portate questo bodino…
TRUFFALDINO: Aspettè che vegno (prende l’altro tondino di polpette, e lo porta a Florindo).
CAMERIERE: Sbagliate; le polpette vanno di la.
TRUFFALDINO: Sior si, lo so, le ho portade de là; e el me padron manda ste quattro a regalar a sto forestier (entra). CAMERIERE: Si conoscono dunque, sono amici. Potevano desinar insieme.
TRUFFALDINO: (torna in camera di Florindo) E cusì, coss’elo sto negozio? (al Cameriere).
CAMERIERE: Questo è un bodino all’inglese.
TRUFFALDINO: A chi valo?
CAMERIERE: Al vostro padrone (parte).
TRUFFALDINO: Che diavolo è sto bodin? L’odor l’è prezioso, el par polenta. Oh, se el fuss polenta, la saria pur una bona cossa! Voi sentir (tira fuori di tasca una forchetta). No l’è polenta, ma el ghe someia (mangia). L’è meio della polenta (mangia).
BEATRICE: Truffaldino (dalla camera lo chiama).
TRUFFALDINO: Vegno (risponde colla bocca piena).
FLORINDO: Truffaldino (lo chiama dalla sua camera).
TRUFFALDINO: Son qua (risponde colla bocca piena, come sopra). Oh che roba preziosa! Un altro bocconcin, e vegno (segue a mangiare).
BEATRICE: (esce dalla sua camera e vede Truffaldino che mangia; gli dà un calcio e gli dice) Vieni a servire (torna nella sua camera). Truffaldino mette il bodino in terra, ed entra in camera di Beatrice.
FLORINDO: (esce dalla sua camera) Truffaldino (chiama). Dove diavolo è costui?
TRUFFALDINO: (esce dalla camera di Beatrice) L’è qua (vedendo Florindo).
FLORINDO: Dove sei? Dove ti perdi?
TRUFFALDINO: Era andà a tor dei piatti, signor.
FLORINDO: Vi è altro da mangiare?
TRUFFALDINO: Anderò a veder.
FLORINDO: Spicciati, ti dico, che ho bisogno di riposare (torna nella sua camera).
TRUFFALDINO: Subito. Camerieri, gh’è altro? (chiama). Sto bodin me lo metto via per mi (lo nasconde).
CAMERIERE: Eccovi l’arrosto (porta un piatto con l’arrosto).
TRUFFALDINO: Presto i frutti (prende l’arrosto).
CAMERIERE: Gran furie! Subito (parte).
TRUFFALDINO: L’arrosto lo porterò a questo (entra da Florindo).
CAMERIERE: Ecco le frutta, dove siete? (con un piatto di frutta).
TRUFFALDINO: Son qua (di camera di Florindo).
CAMERIERE: Tenete (gli dà le frutta). Volete altro?
TRUFFALDINO: Aspettè (porta le frutta a Beatrice).
CAMERIERE: Salta di qua, salta di là; è un diavolo costui. TRUFFALDINO Non occorr’altro. Nissun vol altro.
CAMERIERE: Ho piacere.
TRUFFALDINO: Parecchiè per mi.
CAMERIERE: Subito (parte).
TRUFFALDINO: Togo su el me bodin; evviva, l’ho superada, tutti i è contenti, no i vol alter, i è stadi servidi. Ho servido a tavola do padroni, e un non ha savudo dell’altro. Ma se ho servido per do, adess voio andar a magnar per quattro (parte)