Vita di Alessandro Manzoni

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1785-1810 : dalla nascita alla conversione.
Alessandro Manzoni nasce a Milano il 7 marzo del 1785, da Giulia Beccaria ; il padre non è il marito della madre, Don Pietro Manzoni, ma il suo amante Giovanni Verri, il più giovane dei fratelli Verri. Dopo la sua nascita la madre diede il figlio a balia e non se ne occupò più.
Dopo alcuni anni la giovane Giulia conobbe Carlo Maria Imbonati, un giovane uomo ricco, nobile e bello. I due si innamorarono, Giulia chiese la separazione dal marito e nel 1796 si recò con l’amante a Parigi.
Manzoni, rimasto con il padre, cresce tra Milano e Lecco, frequenta le scuole dei Padre Somaschi e Barnabiti. Per reazione alle idee conservatrici del padre e alla rigida e bigotta educazione religiosa ricevuta fa proprie le idee rivoluzionarie, anticlericali e atee d’oltralpe, ne è testimonianza il poemetto in terzine intitolato Del trionfo della libertà, scritto a quindici anni nel 1801 in occasione della pace di Lunéville, che ricostituiva la Repubblica Cisalpina.
Nel giugno del 1805, appena compiuti i vent’anni, Manzoni raggiunge la madre a Parigi. Era appena morto Carlo Maria Imbonati e Giulia era rimasta sola. Da allora madre e figlio vivranno insieme. Il giovane Manzoni scrive il carme, rimasto incompiuto, In morte di Carlo Imbonati in cui l’amante della madre gli appare in sogno  e lo esorta a un ideale di vita austero e virtuoso. A Parigi Manzoni conosce Claude Fauriel di cui diviene amico.
Tornati in Italia madre e figlio si recano nella villa di Brusuglio, a nord di Milano, lasciata in eredità a Giulia da Imbonati. Nel frattempo muore Pietro Manzoni, che lascia i propri beni in eredità al figlio. Giulia si preoccupa di trovare moglie al figlio; viene scelta una giovane fanciulla, Enrichetta Blondel, figlia di un ricco imprenditore svizzero, trasferitosi nel bergamasco. Nel febbraio del 1808 Alessandro ed Enrichetta si sposano a Milano con rito calvinista.
Pochi mesi dopo il matrimonio gli sposi partono per Parigi, dove nasce la prima dei nove figli della coppia, Giulia. Di questi nove figli, solo tre, Pietro, Enrico e Vittoria, sopravviveranno al padre.
Nel 1810 a Parigi Enrichetta e Manzoni si sposano secondo il rito cattolico. Enrichetta si era avvicinata alla religione cattolica sotto la guida dell’abate Degola, un cattolico giansenista; ai colloqui religiosi della moglie assisteva anche Manzoni.
Il 2 aprile del 1810 durante i festeggiamenti per il matrimonio di Napoleone e Maria Teresa d’Austria, Manzoni perde Enrichetta tra la folla, rifugiatosi in preda a un stato di malessere nella chiesa di San Rocco, Manzoni pregò Dio di fargli ritrovare la moglie sana e salva. La conversione avvenne quel giorno in quella chiesa, secondo quello che ne raccontarono amici e figli, perché Manzoni di questo fatto non parlò, né scrisse mai. Quel malessere, la vertigine che lo prese quel giorno, era la prima crisi di nervi di cui lo scrittore avrebbe sofferto in seguito.
Enrichetta con una cerimonia solenne abiurò alla fede calvinista e fece la professione di fede cattolica. Manzoni e la madre presero a seguire gli incontri e le pratiche religiose di Enrichetta.
Nel giugno del 1810 ritornarono in Italia, la loro educazione religiosa venne affidata a un prete di Busto Arsizio, Luigi Tosi, anch’egli giansenista come il Degola.
1810-1827 : dalla conversione a I Promessi Sposi.
I Manzoni vivono a Milano d’inverno, nella bella stagione si trasferiscono nella villa di Brusuglio.
Nel 1813, nella casa del nonno, Cesare Beccaria, nasce Pietro, il primo figlio maschio di Manzoni. Con i soldi dell’eredità del padre di Enrichetta viene acquistata la casa milanese in Via del Morone. Il 20 aprile del 1814, da questa casa Manzoni assiste all’assassinio del ministro delle Finanze del Regno d’Italia Giuseppe Prina, trucidato durante una rivolta dal popolo milanese. Negli anni tra il 1812 e il 1815, Manzoni ha scritto La risurrezione, Il Natale, Il nome di Maria, La Passione, i primi Inni sacri; a questi si aggiungerà La Pentecoste nel 1822 e il frammento Il Natale del 1833, scritto nel 1835 per ricordare la morte di Enrichetta.
Gli Inni Sacri vogliono essere poesie nuove, diverse  dai precedenti componimenti neoclassici che Manzoni ha rinnegato; nel 1809 scrive a Fauriel parlando dei versi dell’Urania, un poemetto mitologico che stava componendo, « sono molto scontento di questi versi, soprattutto per la loro completa mancanza di interesse ; non è così che bisogna farne, io ne farò forse di peggiori, ma non ne farò più come questi. ». La poesia degli Inni Sacri rifiuta la mitologia del neoclassicismo e il sentimentalismo e l’individualismo romantici, è una poesia corale, espressione del sentimento collettivo dei cattolici, storica, perché celebra gli eventi della storia di Gesù.
Nel 1816 inizia a scrivere una tragedia Il conte di Carmagnola, ambientata in Italia nel XV secolo. È un nuovo esperimento letterario, Manzoni non vuole scrivere una tragedia classica secondo le regole aristoteliche dell’unità di azione, tempo e spazio. Il modello di Manzoni è Shakespeare, « un barbaro che non era privo di ingegno », come lo definisce nei Promessi Sposi. Manzoni ha fatto proprie le idee romantiche sull’arte e la poesia, l’imitazione dei modelli, il rispetto delle regole, la perfezione formale non sono più i criteri validi di un’opera artistica. Per Manzoni l’opera d’arte deve essere vera, utile, interessante; il poeta non inventa, ma ricostruisce la storia meglio dello storico stesso, come scrive nella Lettera a Monsieur Chauvet, il critico francese che aveva criticato Il conte di Carmagnola. Manzoni aderisce al romanticismo milanese del Conciliatore e fa propria la polemica anti-classicista per una poesia popolare, utile, che si rivolga a un pubblico borghese sempre più ampio. Nel 1816 Giovanni Berchet (1783-1851) pubblica la Lettera Semiseria in cui afferma che « la sola vera poesia è quella popolare », ovvero la poesia scritta per quella terza classe che sta tra gli Ottentoti (gli stupidi ignoranti) e i Parigini (i sofisticati intellettuali), composta da mille e mille persone che “pensano, leggono, scrivono, fremono e sentono le passioni tutte”. A questi lettori si deve rivolgere il poeta moderno con le sue opere.
In questi anni a Milano Manzoni è inquieto, soffre di angosce, malesseri, crisi di nervi, progetta di tornare a Parigi. Porta avanti stancamente un’opera religiosa Le osservazioni sulla morale cattolica. Enrichetta non vuole partire “temeva soprattutto l’ambiente che li aspettava. Era quello un mondo che poteva distogliere suo marito dalla vita religiosa ; era un mondo di increduli. Ed egli traversava ora un momento particolare ; trascurava da qualche tempo le pratiche religiose” (N.Ginzburg, La famiglia Manzoni, Einaudi, p.47). Nel settembre 1819 la famiglia Manzoni parte. Ma a Parigi la salute di Manzoni peggiora, sviene, non mangia, non si alza dal letto.
Nell’estate del 1820 si prepara il viaggio di ritorno. Arrivano a Brusù, Brusuglio. Enrichetta nell’inverno scopre di essere di nuovo incinta, è la sua nona gravidanza.
Manzoni sta scrivendo una nuova tragedia, intitolata Adelchi, ambientata in Italia durante il regno longobardo; i longobardi rappresentano gli austriaci, i dominatori del presente,  mentre gli italiani sono “un volgo disperso che nome non ha” (I coro dell’Adelchi).
Nella primavera del 1821 inizia un romanzo Fermo e Lucia, il futuro I promessi sposi. Scrive le odi Marzo 1821, pubblicata solo nel 1848, e Il cinque maggio per la morte di Napoleone.
In agosto nasce una bambina, Clara, Enrichetta si ammala di febbre puerperale e rischia di morire. In inverno è di nuovo incinta e partorirà un’altra bambina Vittoria nel settembre del 1822. A novembre Manzoni pubblica l’Adelchi dedicandolo alla moglie.
In alcuni testi, scritti tra il 1820 e il 1823, espone le sue idee sul romanticismo e sulla poesia sono la Prefazione al Carmagnola , la Lettera a M. C (Chauvet) sull’unità di tempo e luogo nella tragedia, la lettera al marchese D’Azeglio Sul Romanticismo.
La salute di Manzoni migliora, scrive al Fauriel “lavoro. E i miei nervi mi lasciano abbastanza quieto il resto del tempo”. Il romanzo lo assorbe completamente e vi lavora ininterrottamente fino al giugno del 1827, quando  pubblica  I promessi sposi.
1827-1873 : la revisione del romanzo e gli ultimi anni di vita.
Enrichetta ha dato alla luce il suo penultimo figlio Filippo, nel 1826,  ha trentanove anni e non ha mai smesso di ammalarsi tra una gravidanza e l’altra.
Manzoni progetta di riscrivere il romanzo utilizzando il toscano. Alla metà di luglio del 1827 partono tutti, in tredici in due carrozze, lui, la madre, la moglie, sei figli e la servitù, diretti in Toscana. Durante il viaggio la carrozza dei bambini si ribaltò contro un dosso oltre il quale era un dirupo con in fondo un fiume. A settembre arrivarono a Firenze.
In un mese il romanzo viene “risciacquato in Arno”, con l’aiuto di due letterati toscani Gaetano Cioni e Giovanni Battista Niccolini.
Il romanzo ha successo, in un mese e mezzo tutte le copie stampate sono vendute ed è stato tradotto in francese con il titolo Les fiancés. Manzoni riceve lettere di ammiratori e aspiranti scrittori che gli chiedono pareri sulle proprie opere.
Intanto Giulia, la primogenita, comincia a essere malata sempre più spesso, Enrichetta è disperata per il fratello malato molto gravemente e prossimo a morire e per una nuova penosa gravidanza, l’ultima figlia Matilde nasce nel 1830.
Nell’agosto del 1831 Enrichetta scrisse alla cugina Carlotta de Blasco, alla quale non scriveva più da molti anni “Non mi posso rimproverare un istante d’indifferenza o d’oblio, no, mia buona cugina ; avrete saputo come la mia povera salute sia stata spesso a lungo in condizioni pessime, avrete saputo che sono stata per parecchi anni nell’incapacità assoluta di leggere e di scrivere una parola per via della vista, la quale, pur essendo ora migliorata un poco, non mi consente un impegno continuato, e se posso scrivere, è un poco per forza d’abitudine e sempre con fatica. ….Quanti cambiamenti da quando non ci siamo viste, mia cara Carlotta ! Un secolo mi sembra sia passato ! Dovete sapere come sia numerosa la mia famiglia, debbo farvi fare un po’ di conoscenza con i miei figli che sono nel numero di 8 [Clara è morta a due anni] avendo avuto io tuttavia 12 parti, ma i figli che Dio ha degnato di conservarmi sono robusti e ben dotati dalla natura : avendo tutti grazie a Dio buon carattere e intelligenza. (…) Dopo Giulia, viene mio figlio Pietro che è alto di tutta la testa più del padre, ha compiuto 18 anni, poi viene Cristina di 16 anni, Sofia di 14, Enrico di 12, Vittorina di 9, Filippo di 5 e mezzo e la mia piccola Matilde di soli 13 mesi che mi è tanto cara e ci sembra tanto interessante come fosse il nostro primo bambino” (ibidem pp.121-122)
Due anni e mezzo dopo Enrichetta, stremata dai parti e dalle malattie muore nel giorno di Natale del 1833, a quarantadue anni. Nel 1834 morirà Giulia, la prima figlia, nel 1841 Cristina, nel 1845 Sofia, nel 1856 Matilde e nel 1868 Filippo.
Nel 1837 Manzoni si sposa con Teresa Borri, una vedova di nobile famiglia, di trentotto anni. Teresa Borri aveva già un figlio, dopo il matrimonio si trasferì nella casa di Manzoni in Via Morone, le liti con la suocera cominciarono subito.
Manzoni intanto scriveva La Storia della Colonna Infame che pensava di pubblicare con la nuova edizione riveduta e illustrata del romanzo del 1840. Ne La Storia della Colonna Infame Manzoni raccontava del processo e della condanna a morte di Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora, accusati di essere untori nel 1630 ; nel luogo della casa distrutta di uno degli accusati era stato ordinato dai giudici di innalzare una colonna da chiamarsi infame a ricordo della colpa e della punizione dei condannati. È il testo più illuministico di Manzoni, che vuole dimostrare che “que’ giudici condannarono degl’innocenti che essi, con la più ferma persuasione dell’efficacia delle unzioni e con una legislazione che ammetteva la tortura, potevano riconoscere innocenti” (da Introduzione a La Storia della Colonna Infame).
Dopo l’edizione dei Promessi del ‘27 Manzoni non scrisse più opere letterarie ma solo saggi  tra i quali  Del romanzo storico (1845), in cui ripudia il romanzo a favore della storia, ribaltando la posizione che aveva assunto negli anni venti; il saggio Della lingua italiana, rimasto incompiuto, in cui aveva raccolto le sue osservazioni sulla lingua; il Saggio comparativo sulla rivoluzione francese e la rivoluzione italiana del 1859, incompiuto.
Nel 1841 era morta la madre Giulia e nel 1861 la seconda moglie Teresa.
Nel 1860 venne nominato senatore del Regno d’Italia, in seguito presiedette la Commissione per l’unificazione della lingua, per cui scrisse nel 1868 una relazione Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, nella quale sosteneva la necessità di adottare il fiorentino parlato come lingua comune dell’Italia. Morì a Milano nel 1873 ; è sepolto nel Famèdio del Cimitero monumentale di Milano.

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