Di cosa parliamo quando parliamo d’amore (rev.0)

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Blumen Mythos, Paul Klee, 1918

What we talk about when we talk about Love, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore è il titolo della omonima raccolta di racconti scritti da Raymond Carver
english.wikipedia.org/Raymond_Carver.

La più antica poesia d’amore è scritta da una donna

Pari agli dei mi sembra
quell’uomo: che siede di fronte a te
e ti ascolta mentre dolcemente parli e ridi

A me il cuore batte forte e ho paura.
Ti vedo e non ho più voce

la lingua mi si spezza; un brivido sottile
corre nel corpo, gli occhi  si oscurano
gli orecchi rimbombano

Sudo, tremo
Divento più verde dell’erba e sento
la morte vicina

(Saffo frammento  in Liriche e frammenti, Giulio Einaudi Editori, 1965)

A Roma quando un uomo  comincia a scrivere d’amore si ricorda dell’antica poesia della donna greca; la poetessa è Saffo e il poeta Catullo. Per chi non li conoscesse: la prima nata a Lesbo, isola dell’Egeo, nel VII secolo a.C., autrice di alcuni dei più noti frammenti della lirica greca, il secondo di Verona vissuto nel I secolo a.C., al tempo di Cesare e Cicerone. Quando a Roma per essere veri uomini , non bisognava occuparsi di amore e di donne, Catullo scrive un libro in cui molte poesie, quelle che avranno più notorietà tra i posteri, sono poesie d’amore; qualche tempo fa c’era una Tshirt con su scritto

Odi et amo, quare id faciam fortasse requiris
nescio sed fieri sentio et excrucior
(Catullo, Liber, 85)

Odio e amo perché lo faccio forse mi chiederai
non lo so ma sento che avviene e sto in croce

In mezzo c’era stato Platone

“Impara bene, Socrate” disse ” se vuoi riflettere un momento anche sull’ambizione degli uomini: potresti restar scosso dall’irragionevolezza della cosa, se non tieni a mente ciò che ho detto, e metti a fuoco l’incredibile attrazione umana per l’eros di divenire famosi e di lasciare eredità di gloria eterna (…). Pensi davvero che Alcesti sarebbe morta al posto di Admeto, Achille per Patroclo, (…), se non si fossero convinti che la loro memoria di eroi sarebbe stata immortale? E noi infatti li ricordiamo. Penso che tutti facciano di tutto per questa immortalità, infatti sono innamorati dell’immortalità. C’è gente fisicamente feconda. Questi cercano la donna, anzitutto, verso di lei portano il loro eros. Con il fare figli si assicurano immortalità, felicità, memoria. Ma c’è anche chi nell’anima … sì c’è chi diviene gravido nell’anima, più che nel corpo. Gravido sì, della cosa di cui è naturale che si ingravidi l’anima per poi partorirla. Che cos’è questa cosa? Il pensiero e tutte le altre virtù. (…) Capita che un ragazzo resti incinto di queste cose. Poi crescendo sente il desiderio di dare vita, di creare. Allora si guarda intorno e cerca il bello nel quale creare, non creerà mai nel brutto. E’ fecondo, perciò s’abbraccia ai corpi belli, non certo a i brutti. Se incontra un’anima bella, pura, nobile, s’abbraccia a quest’anima e al corpo di questa, e con lui discorre della virtù che un uomo deve avere e comincia a educarsi. Diciamo che si unisce al “suo bello”. E facendo l’amore con lui crea e poi partorisce ciò di cui era incinto da tanto tempo. Il risultato è che tra i due si stabilisce un unione più forte che se avessero insieme dei veri figli: perché hanno il legame di creature più belle e immortali. Chiunque preferirebbe per sé la nascita di tale figli piuttosto che quella di figli di carne. (…) Eh sì, quando uno partendo, dalle cose concrete di quaggiù, attraverso un giusto eros per i giovani, elevandosi, comincia a scorgere quel bello, potrebbe già quasi sfiorare la perfezione. Questo significa puntare, con buon metodo, alle cose dell’eros, o esservi guidati da altri: cominciare da queste bellezze particolari, concrete, e mirando al bello, elevarsi, come per una scala di gradini, prima da un corpo a due corpi, poi da due a tutti i corpi belli; e dai corpi belli alle azioni umane belle; e dalle azioni belle alle varie scienze belle; e dalle belle scienze finire a quel famoso sapere, che altro non è se non scienza di quell’assoluto bello.”  (Platone, Simposio, pp.115-117, 121-122, Oscar Mondadori, 1987)

L’amore di Saffo e Catullo e quello di Platone hanno dato alla cultura occidentale i due principali, anche se non unici, modelli di amore: l’amore come passione incomprensibile e distruttiva, l’amore come processo di elevazione e miglioramento di sé.
Questi modelli li troviamo ancora in due libri del periodo romantico.

Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuore più compassionevole. Mi pare che tutto s’abbellisca a’ miei sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de’ zefiri fra le frondi son oggi più soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano sotto a’ miei piedi; non fuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Il mio ingegno è tutto bellezza e armonia. Se dovessi scolpire o dipingere la Beltà, io sdegnando ogni modello terreno la troverei nella mia immaginazione. O Amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terra la sacra poesia, solo alimento degli animali generosi che tramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle più tarde generazioni, spronandole con le voci e co’ pensieri spirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccendi ne’ nostri petti la sola virtù utile a’ mortali, la Pietà, per cui sorride talvolta il labbro dell’infelice condannato ai sospiri: e per te rivive sempre il piacere fecondatore degli esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e morte. Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe ingrata; gli animali, nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il Mondo, pianto, terrore e distruzione universale. Adesso che l’anima mia risplende di un tuo raggio, io dimentico le mie sventure; io rido delle minacce della fortuna, e rinunzio alle lusinghe dell’avvenire. (Ugo Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis)

Tutta la violenza di queste parole si abbatté sull’infelice. In preda alla disperazione si gettò ai piedi di Lotte, le afferrò le mani, se le premette sugli occhi, sulla fronte, un presagio del suo orrendo proposito traversò l’animo di lei. I suoi sensi si smarrirono strinse le mani di lui, se le premette al seno, con un moto di pietà si chinò su di lui, le loro guance ardenti si toccarono. 
Il mondo sparì. Egli l’abbracciò, se la strinse al petto, le coprì le trepide labbra balbettanti di baci furiosi… “Werher!” gridò lei con voce soffocata, divincolandosi “Werther!…” e con debole mano respinse il suo petto. “Werther!” gridò con l’autorità del più nobile sentimento…
Egli non si oppose, aprì le braccia  e insensato le cadde ai piedi: Ella si alzò, sconvolta e angosciata, tremante d’amore e di collera, e disse: “E’ l’ultima volta! Werther! Non mi vedrà mai più!…” (W.Goethe,I dolori del giovane Werther)